Folk Tale

Il palazzo della regina dannata

Translations / Adaptations

Text titleLanguageAuthorPublication Date
The Palace of the Doomed QueenEnglishGeorge Martin1980
AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Viveva nei tempi passati una vecchia vedova che faceva la filatrice, e aveva tre figliole, filatrici pure loro. Per quanto s'affaticassero a filare mattino e sera, le tre filatrici non giungevano mai a mettere da parte un centesimo, perché il guadagno bastava appena alle loro spese.

Intanto, alla vecchia venne una gran febbre, e in due o tre giorni la ridusse in fin di vita. Chiamò intorno al letto le figliole tutte in lagrime, e disse:

- Non piangete; sono vecchia e piú che vecchia non si campa, sicché un giorno o l'altro vi doveva toccare di vedermi morta. Quello che mi rincresce è di lasciarvi cosí povere, ma avete un mestiere e potete campare; io intanto pregherò Dio che vi aiuti. Di dote non posso lasciarvi altro che i tre gomitoli di canapa filata che sono nell'armadio, - e detto questo, la madre spirò.

Dopo qualche giorno le sorelle discorrevano tra loro.

- Domenica è Pasqua, - dissero. - E non abbiamo da fare un pranzo come si deve.

Disse Maria, che era la maggiore:

- Venderò il mio gomitolo e ci compreremo il pranzo -.

Difatti, il giorno di Pasqua, portò il gomitolo al mercato. Era canapa filata come si deve, e lo vendette molto bene. Comprò pane, un quarto d'agnello e il vino. Tornava a casa con tutta questa roba, quando le corse addosso un cane, le addentò il quarto d'agnello e il pane, ruppe il fiasco, e scappò via, lasciandola mezza tramortita dalla paura. Maria tornò a casa a raccontare il fatto alle sorelle, e per quel giorno si sfamarono con un po' di pane nero.

- Domani voglio andare io, - disse Rosa, la mezzana, - vedremo se il cane mi darà noia.

Andò, vendette il suo gomitolo, comprò una coratella, il pane e il vino, e s'avviò a casa per un'altra strada. Ed ecco che quel cane corse addosso anche a lei, portò via la coratella e il pane, ruppe il fiasco e scappò. Rosa, che era piú coraggiosa di Maria gli corse dietro, ma non poté raggiungerlo e tornò a casa trafelata, a raccontare tutto alle sorelle. Anche quel giorno bisognò che facessero pranzo col pane nero.

- Domani ci andrò io, - disse Nina, la piú piccola, - e vediamo se il cane riesce a farla anche a me.

La mattina dopo, piú presto delle altre volte, prese il suo gomitolo, lo vendette e fece una buona provvista. Mentre tornava a casa per un'altra strada, le andò addosso quel cane, ruppe il fiasco e portò via tutto il resto. Nina prese a corrergli dietro, e corri, corri lo vide entrare in un palazzo.

Nina pensò: " Se mi vede qualcuno di qui dentro, gli dirò del cane che ci ha rubato il pranzo per tre giorni e mi farò ridare il danaro ", e cosí pensando entrò.

Salí le scale e c'era una bella cucina col fuoco acceso, e roba che bolliva in pentole e in tegami e uno spiedo con un quarto d'agnello. Nina alzò il coperchio d'una pentola e ci vide la carne che aveva comprato poco prima; guardò in un tegame e vide cuocere la coratella; nella madia c'erano i tre pani. Continuò a girare la casa e non vide anima viva; ma in tinello c'era una tavola apparecchiata per tre. " Pare proprio che ci abbiano apparecchiato il pranzo, - pensò Nina, - e con la nostra roba, per giunta! Se ci fossero le mie sorelle mi metterei a tavola! "

In quel momento sentí passare un barroccio per la strada; s'affacciò alla finestra e siccome il barrocciaio era uno di sua conoscenza, lo pregò d'avvisare le sue sorelle che le aspettava lí, e che c'era pronto un bel pranzo.

Quando le sorelle arrivarono, Nina raccontò loro ogni cosa e disse:

- Mettiamoci a tavola. Se vengono i padroni, spiegheremo che mangiamo del nostro.

Le sorelle non si fidavano tanto, ma la fame stringeva dappresso, cosí si misero a tavola. Era venuto buio, e d'improvviso le tre ragazze videro chiudere le finestre e accendersi i lumi. Non s'erano ancora riavute dalla meraviglia, quando videro il pranzo venire a posarsi da sé sulla tovaglia.

- Chiunque sia che ci risparmia la fatica, - disse Nina, - noi lo ringraziamo. E ora, sorelle mie, buon appetito, - e addentò l'agnello.

Le sorelle, con la paura in corpo che avevano, masticavano a fatica, e si guardavano intorno aspettandosi che da un momento all'altro saltasse fuori qualche mostro.

Nina invece diceva: - Se non ci volevano a pranzo qui, non dovevano apparecchiare per noi, accenderci i lumi, e servirci a tavola.

Dopo cena, cominciarono ad aver sonno e Nina le portò in giro per la casa, finché non trovarono una camera con tre bei letti preparati. - Ora andiamo a dormire, - disse.

-0 piuttosto, - dissero le sorelle, - torniamo a casa nostra, perché qui abbiamo paura.

-Brave grulle! - disse Nina. - S'è trovato il verso di star bene e dovremmo andarcene! Io per me vado a letto, sarà quel che sarà!

Le aveva già convinte a restare, quando dal fondo delle scale si sentí una voce:

- Nina, fammi lume.

Le sorelle si spaventarono. - Gesummaria! Chi sarà? Non ci andare, Nina!

-Io ci vado, - disse Nina. Prese il lume e scese le scale. Si trovò in una stanza dov'era una Regina incatenata che buttava fuoco dalla bocca dagli orecchi e dal naso.

-Nina, dimmi: vuoi far fortuna? - disse la Regina, parlando tra le fiamme.

- Sí.

-Ma bisogna che t'aiutino anche le tue sorelle.

-Glíelo dirò.

-Ma bada che dovete fare cose terribili, e se vi viene paura morirete.

- Le persuaderò.

-Va bene. Apri quei tre cassoni: sono pieni di vestiti da regina, tutti d'oro e di gemme. Sappi che io ero la Regina di Spagna; m'innamorai d'un giovane di questa città ed è per colpa sua che mi trovo dannata. Ora, dopo il male che m'ha fatto, vorrebbe sposarsi un'altra, ma io voglio che venga a soffrire con me com'è giusto. Domani mettiti il mio abito, acconciati a mia immagine e somiglianza, e poi affacciato alla ringhiera con un libro in mano. Vedrai che a una cert'ora passerà quel giovane e ti dirà: " Signora, gradisce una mia visita? " Tu digli di sí, invitalo a prendere il caffè, e dàgli questa tazza avvelenata. Quando cadrà morto portalo quaggiú, apri questo cassone, buttalo dentro, e accendigli intorno quattro candele. lo ero ricchissima: questo è il libro dei miei beni, col quale potrai rilevarli dalle mani dei fattori, che ora mi scroccano ogni cosa.

Nina tornò su e raccontò tutto alle sorelle. - Giurate d'aiutarmi, se no guai a voi! -

La mattina dopo si vestí da regina, divenne tutta simile alla morta e si affacciò alla ringhiera sfogliando un libro.

A una cert'ora senti un cavallo: veniva avanti un bel giovane e si fermò a guardarla. Nina gli fece un cenno di saluto.

-Gradirebbe una visita, Signora?

-Sì...

Il giovane smontò di cavallo e sali le scale.

-Ora berremo assieme una tazza di caffè.

-Volentieri -. Bevve dalla tazza avvelenata e cadde morto.

Nina chiamò le sorelle perché l'aiutassero a portar giú il cadavere, e poiché quelle si rifiutavano, disse:

- Se non venite ammazzo anche voi! -

Lei prese il morto per il capo, le sorelle per le gambe, scesero le scale, e c'era il cassone chiuso con le quattro candele accese ai lati.

Le sorelle tremavano e volevano lasciar cadere il morto e fuggire.

- Provate a scappare, - disse Nina, - e vedrete cosa vi faccio!

Le sorelle, che l'avevano vista alla prova, sapevano che non scherzava, e le obbedirono.

Nina aperse il cassone: dentro c'era la Regina seduta su un trono di fiamma. Le misero vicino il suo innamorato e lei lo prese per mano e gli disse:

- Vieni con me all'Inferno, scellerato. Cosí non m'abbandonerai mai piú.

E in quel momento il cassone si rinchiuse e sprofondò sotto terra con un gran frastuono.

Nina soccorse le sorelle che s'erano svenute, le riportò su e le fece riavere.

Poi rivendicarono tutti i beni dalle mani dei fattori e restarono padrone d'ogni cosa.

Le sorelle dopo qualche anno presero marito e Nina diede loro una dote da principesse; poi prese marito anche lei, e stette come una regina.


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