Folk Tale

La barba del Conte

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Pocapaglia era un paese così erto, in cima a una collina dai fianchi così ripidi, che gli abitanti, per non perdere le uova che appena fatte sarebbero rotolate giù nei boschi, appendevano un sacchetto sotto la coda delle galline.

Questo vuol dire che i Pocapagliesi non erano addormentati come si diceva, e che il proverbio Tutti sanno che a Pocapaglia / L'asino fischia e il suo padrone raglia era una malignità dei paesi vicini, i quali ce l'avevano coi Pocapagliesi solo per il fatto che erano gente tranquilla, che non gli piaceva litigare con nessuno.

- Sì, sì, - era tutto quello che rispondevano i Pocapagliesi, - aspettate che torni Masino, e vedrete chi raglierà di più, tra voi e noi.

Masino era il più sveglio dei Pocapagliesi e il più benvoluto da tutto il paese. Non era robusto più degli altri, anzi, a vederlo non gli si sarebbe dato un soldo, ma era furbo dalla nascita. Sua madre, appena nato, vedendolo così piccino, per tenerlo in vita e irrobustirlo un po', gli aveva fatto fare un bagno nel vino caldo. Suo padre, per scaldare il vino, ci aveva messo dentro un ferro di cavallo rosso come il fuoco. Così Masino aveva preso attraverso la pelle la furbizia che c'è nel vino e la resistenza che c'è nel ferro. Dopo questo bagno, perché si rinfrescasse, sua madre l'aveva messo in culla in un guscio di castagna ancora verde, che, essendo amaro, dà intelligenza.

In quei tempi, mentre i Pocapagliesi aspettavano il ritorno di Masino, che da quando era partito soldato non aveva fatto più ritorno al paese e adesso pareva fosse dalle parti dell'Africa, cominciarono a succedere a Pocapaglia fatti misteriosi. Ogni sera capitava che buoi e vacche che tornavano dal pascolo in pianura venivano rubati dalla Maschera (Nota 1 Masca o Mascra nei dialetti piemontesi equivale a strega.) Micillina.

La Maschera Micillina stava appostata nei boschi sotto il paese e bastava un suo soffio per portare via un bue. I contadini, a sentirla frusciare nei cespugli dopo il tramonto, battevano i denti e cascavano tramortiti, tanto che si diceva: La Maschera Micillina / Ruba i buoi dalla cascina, / Guarda con l'occhio storto, / E ti stende come morto.

I contadini la notte presero ad accendere dei grandi falò perché la Maschera Micillina non s'azzardasse a uscire dai cespugli. Ma la Maschera s'avvicinava senza farsi sentire al contadino che stava da solo a far la guardia alle bestie vicino al falò, lo tramortiva con un soffio, e alla mattina quando si svegliava non trovava più né vacche né buoi, e i compagni lo sentivano piangere e disperarsi e darsi pugni sulla testa. Tutti allora si mettevano a battere i boschi per cercare tracce delle bestie, ma non trovavano che ciuffi di pelo, forcine, e orme di piedi lasciate qua e là dalla Maschera Micillina.

Andò avanti così per mesi e mesi, e le vacche sempre chiuse in stalla diventavano tanto magre che per pulirle non ci voleva più la spazzola ma un rastrello che passasse tra costola e costola. Nessuno osava più portare le bestie alla pastura, nessuno osava più entrare nel bosco, e i funghi porcini del bosco, siccome nessuno li coglieva, diventavano grossi come ombrelli.

A rubare negli altri paesi la Maschera Micillina non ci andava, perché sapeva che gente tranquilla e senza voglia di litigare come a Pocapaglia non c'era in nessun posto, e ogni sera quei poveri contadini accendevano un falò nella piazza del paese, le donne e i bambini si chiudevano nelle case, e gli uomini restavano intorno al grande fuoco a grattarsi la testa e a lamentarsi. Gratta e lamenta oggi, gratta e lamenta domani, i contadini decisero che bisognava andare dal Conte a chiedere aiuto.

Il Conte abitava in cima al paese, in una grande cascina rotonda, con intorno un muraglione seminato di cocci di vetro. E una domenica mattina, tutti insieme, arrivarono col cappello in mano, bussarono, gli fu aperto, entrarono nel cortile davanti alla casa rotonda del Conte, tutta ringhiere e finestre sprangate. Intorno al cortile c'erano seduti i soldati del Conte, che si lisciavano i baffi con l'olio per farli luccicare e guardavano brutto i contadini. E in fondo al cortile, su una sedia di velluto, c'era il Conte, con la barba nera lunga lunga, che quattro soldati con quattro pettini stavano pettinando dall'alto in basso.

Il più vecchio dei contadini si fece coraggio e disse: - Signor Conte, abbiamo osato di venire fino a lei, per dirle qual è la nostra sventura che tutte le bestie andando nel bosco c'è la Maschera Micillina che se le piglia, - e così, tra sospiri e lamenti, con gli altri contadini che facevano sempre segno di sì, gli raccontò tutta la loro vita di paura.

Il Conte restò zitto.

- E noi siamo qui venuti, - disse il vecchio, - per osare di chiedere un consiglio a Sua Signoria.

Il Conte restò zitto.

- E siamo qui venuti, - aggiunse, - per osare di chiedere a Sua Signoria la grazia di venirci in aiuto, perché se ci concede una scorta di soldati potremmo portare di nuovo in pastura le nostre bestie.

Il Conte scosse il capo. - Se concedo i soldati, - disse, - devo concedere anche il capitano...

I contadini stavano a sentire, con un filo di speranza.

- Ma se mi manca il capitano, - fece il Conte, - allora, alla sera, con chi potrò giocare a tombola?

I contadini si misero in ginocchio: - Ci aiuti, signor Conte, per pietà! - I soldati intorno sbadigliavano e si ungevano i baffi.

Il Conte scosse ancora il capo e disse: Io sono il Conte e conto per tre / E se la Maschera non l'ho mai vista / Vuol dire che di Maschere non ce n'è.

A quelle parole i soldati sempre sbadigliando presero i fucili e a passo lento caricarono i contadini a baionetta in canna, finché non sgombrarono il cortile.

Tornati sulla piazza, scoraggiati, i contadini non sapevano più cosa fare. Ma il più vecchio, quello che aveva parlato al Conte, disse: - Qui bisogna mandare a chiamare Masino!

Così si misero a scrivere una lettera a Masino e la mandarono in Africa. E una sera, mentre erano raccolti come al solito attorno al falò della piazza, Masino ritornò. Figuratevi le feste, gli abbracci, le marmitte di vino caldo con le spezie! E - Dove sei stato! - e - Cos'hai visto? - e - Sapessi quanto siamo disgraziati!

Masino prima li lasciò raccontare loro, poi si mise a raccontare lui: - Nell'Africa ho visto cannibali che non potendo mangiare uomini mangiavano cicale, nel deserto ho visto un pazzo che per scavare acqua s'era fatto crescere le unghie dodici metri, nel mare ho visto un pesce con una scarpa e una pantofola che voleva essere re degli altri pesci perché nessun altro pesce aveva scarpe né pantofole, in Sicilia ho visto una donna che aveva settanta figli e una pentola sola, a Napoli ho visto gente che camminava stando ferma perché le chiacchiere degli altri la spingeva avanti; ho visto chi la vuol nera, ho visto chi la vuol bianca, ho visto chi pesa un quintale, e chi è grosso come una scaglia, ho visto tanti che hanno paura, ma mai come a Pocapaglia.

I contadini chinarono il capo, pieni di vergogna, perché Masino trattandoli da paurosi, li aveva toccati nel punto debole. Ma Masino non voleva prendersela con i suoi compaesani. Si fece raccontare tutti i particolari della storia della Maschera e poi disse: - Adesso faccio tre domande e dopo, suonata la mezzanotte, andrò a prendervi la Maschera e ve la porterò qui.

- Domanda! Domanda! - dissero tutti.

- La prima domanda è al barbiere. Quanti sono venuti da te questo mese?

E il barbiere rispose: Barbe lunghe e barbe corte, / Barbe molli e barbe storte, / Capelli ricci e capelli brutti, / Le mie forbici li han tagliati tutti.

- E ora a te, ciabattino, quanti ti hanno portato gli zoccoli da aggiustare, questo mese?

- Ahimè, - disse il ciabattino, Facevo zoccoli di legno e cuoio, / Ben ribattuti chiodo per chiodo, / Facevo scarpe di seta e serpente, / Ma ora non han soldi e non mi fan far più niente.

- Terza domanda a te, cordaio: quante corde hai venduto in questo mese?

E il cordaio: Corde ritorte, corde filate, / Corde di paglia a strisce e intrecciate, / Corde da pozzo, di vimini e spago, / Grosse un braccio, sottili un ago, / Forti di ferro, molli di strutto, / In questo mese ho venduto tutto.

- Basta così, - disse Masino, e si coricò accanto al fuoco. - Adesso dormo due ore perché sono stanco. A mezzanotte svegliatemi, e andrò a prendere la Maschera -. Si coprì la faccia col cappello e s'addormentò.

I contadini stettero zitti fino a mezzanotte, trattenendo perfino il respiro per paura di svegliarlo. A mezzanotte Masino si riscosse, sbadigliò, bevve una tazza di vino caldo, sputò tre volte nel fuoco, s'alzò senza guardare nessuno di quelli che gli stavano intorno, e prese per la via del bosco.

I contadini rimasero ad aspettare, guardando il fuoco che diventava brace, e la brace che diventava cenere, e la cenere che diventava nera, fino a quando non tornò Masino. E chi si portava dietro Masino, tirandolo per la barba? Il Conte, il Conte che piangeva, tirava calci, chiedeva pietà.

- Ecco la Maschera! - gridò Masino. E poi subito: - Dove l'avete messo il vino caldo?

Il Conte, sotto gli occhi sgranati di tutti i paesani, cercò di farsi più piccolo che poteva, si sedette per terra tutto rannicchiato come una mosca che ha freddo.

- Non poteva essere uno di voi, - spiegò Masino, - perché siete andati tutti dal barbiere e non avete pelo da perdere nei cespugli; e poi c'erano quelle impronte di scarpe grosse e pesanti mentre voi andate scalzi. E non poteva essere uno spirito perché non avrebbe avuto bisogno di comprare tante corde per legare le bestie rubate e portarle via. Ma dov'è questo vino caldo?

Il Conte, tutto tremante, cercava di nascondersi nella barba che Masino gli aveva arruffato e strappato per tirarlo fuori dai cespugli.

- E come mai ci tramortiva con lo sguardo? - domandò un contadino.

- Vi dava una legnata in testa con un bastone coperto di stracci, così sentivate solo un soffio per aria, non vi lasciava il segno, e vi svegliavate con la testa pesante.

- E le forcine che perdeva? - domandò un altro.

- Gli servivano per legarsi la barba sulla testa, come i capelli delle donne.

I contadini erano stati a sentire in silenzio, ma quando Masino disse: - E adesso, cosa volete farne? - scoppiò una tempesta di grida: - Lo bruciamo! Lo peliamo! Lo leghiamo a un palo da spaventapasseri! Lo chiudiamo in una botte e lo facciamo rotolare! Lo mettiamo in un sacco con sei gatti e sei cani!

- Pietà! - diceva il Conte con un fil di voce.

- Fate così, - dice Masino, - vi restituirà le bestie e vi pulirà le stalle. E visto che gli è piaciuto andar di notte nei boschi, sia condannato a continuare ad andarci tutte le notti, a far fascine per voialtri. E dite ai bambini che non raccolgano mai le forcine che troveranno per terra, perché sono quelle della Maschera Micillina, che non riuscirà più a tenersi in ordine i capelli e la barba.

E così fu fatto. Poi Masino partì per il giro del mondo, e lungo il giro gli capitò di fare una guerra dopo l'altra, tutte così lunghe che ne venne il proverbio: O soldatin di guerra, / Mangi mal, dormi per terra, / Metti la polvere nei cannon, / Bim-Bon!


Text viewBook