Folk Tale

Il soldato napoletano

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU410
LanguageItalian
OriginItaly

Tre soldati avevano disertato il reggimento e s'erano dati alla campagna. Uno era romano, uno fiorentino e il più piccolo era napoletano. Dopo aver girato la campagna in lungo e in largo, li colse il buio mentre erano in un bosco. E il romano che era il più anziano disse: - Ragazzi, non è giro da mettersi a dormire tutti e tre; bisogna far la guardia un'ora per uno.

Cominciò lui, mentre gli altri due, buttati i sacchi per terra e srotolate le coperte, si misero a dormire. Era quasi finita l'ora di guardia, quando dal bosco uscì un gigante.

- Che stai a fare tu qua? - chiese al soldato.

E il romano senza neanche guardarlo in faccia: - Non ho da render conto a te.

Il gigante gli si fa addosso, ma il soldato, più svelto di lui, caccia la sciabola e gli taglia la testa. Poi prende la testa con una mano, il corpo con l'altra e va a buttare tutto in un pozzo. Ripulisce la sciabola ben bene, la rinfodera, e chiama il compagno che gli doveva dare il cambio. Ma prima di svegliarlo pensò: "È meglio che non gli dica niente, se no questo fiorentino si mette paura e scappa". Così quando il fiorentino, svegliato, gli chiese: - S'è visto niente? - lui rispose: - No, no, è tutto calmo, - e andò a dormire.

Il fiorentino si mise di guardia, ed ecco che anche a lui, proprio quando stava per finire la sua ora, si presentò un gigante uguale all'altro e gli domandò: - Be', che stai a fare qui di bello?

E lui: - Non ho da render conto né a te né a nessuno.

Il gigante gli s'avventa contro, ma il soldato fa più presto di lui e gli stacca la testa dal corpo con una sciabolata. Poi prende testa, prende corpo e butta tutto nel pozzo. Era venuta l'ora del cambio e pensò: "A quel fifone del napoletano è meglio che non gli dica niente. Se sa che qui succedono cose di questo genere, taglia la corda e buona notte al secchio".

Difatti quando il napoletano gli chiese: - T'è successo niente? - gli rispose: - Niente; puoi startene tranquillo, - e andò a dormire.

Il soldato napoletano se ne stette di guardia per quasi un'ora, e il bosco era tutto silenzioso. A un tratto, si sente un passo tra le fronde ed esce un gigante. - Che stai a fare, qui?

- E a te che t'importa? - fece il napoletano. Il gigante alzò su di lui una mano che l'avrebbe schiacciato come una frittata, ma il soldato più svelto di lui alzò la durlindana e gli staccò il capo di netto. Poi lo prese e lo buttò nel pozzo. Ora avrebbe dovuto svegliare di nuovo il romano, ma invece pensò: "Prima voglio vedere un po' di dove veniva quel gigante". E si cacciò nel bosco. Scorse una luce e s'avvicinò a una casetta. Mise l'occhio al buco della serratura e vide tre vecchie accanto al fuoco che discorrevano.

- È suonata mezzanotte e i mariti nostri non si vedono, - diceva una delle vecchie.

- Che gli sia successo qualcosa? - diceva un'altra.

E la terza: - Quasi quasi ci sarebbe da andargli un po' incontro, che ne dite?

- Andiamo subito, - disse la prima. - Io prendo la lanterna che fa vedere fino a cento miglia lontano. - E io, - fece la seconda, - prenderò la spada che a ogni giro stermina un esercito.

E la terza: - E io il fucile che riesce ad ammazzare la lupa del palazzo del Re.

- Andiamo, - e aprirono la porta.

Il napoletano con la sua salacca era lì dietro lo stipite che le aspettava. Uscì la prima, con la lanterna in mano e il soldato, zunfete!, la fece restar secca senza nemmeno farle dire "amen". Scese la seconda e, zunfete!, andò a far terra da ceci. Scese la terza, e zunfete pure alla terza.

Il soldato ora aveva la lanterna, la spada e il fucile di quelle streghe, e volle subito provarli: "Vediamo un po' se è vero quel che stavano a dire queste tre rimbambite". Alzò la lanterna, e vide che cento miglia lontano c'era un esercito schierato con le lance e gli scudi a difendere un castello, e sulla loggia del castello c'era una lupa incatenata con gli occhi fiammeggianti. - Leviamoci una curiosità, - disse il soldato. Alzò la spada e le fece fare un giro in aria. Poi riprese la lanterna, guardò: tutti i soldati erano stesi in terra morti, con le lance spezzate, e i cavalli gambe all'aria. Allora prese il fucile e sparò alla lupa che morì sul colpo.

- Ora voglio andare a vedere da vicino, - disse il soldato.

Cammina cammina, arrivò al castello. Bussò, chiamò, nessuno rispondeva. Entrò, fece il giro di tutte le stanze e non si vedeva anima viva. Ma ecco che nella stanza più bella, seduta su una poltrona di velluto, c'era una bella giovane addormentata.

Il soldato le si avvicinò, ma quella continuava a dormire. Dal piede le s'era sfilata una pianella. Il soldato la raccolse e se la mise in tasca. Poi le diede un bacio e se ne andò in punta di piedi.

Se n'era appena andato, quando la fanciulla si svegliò. Chiamò le damigelle che erano nella stanza accanto, tutte addormentate anche loro. Anche le damigelle si svegliarono e accorsero. - L'incantesimo è rotto, l'incantesimo è rotto! Ci siamo svegliate! La Principessa s'è svegliata! Chi sarà stato il cavaliere che ci ha liberate?

- Presto, - disse la Principessa, - affacciatevi alle finestre e guardate se vedete qualcuno.

Le damigelle s'affacciarono e videro l'esercito sterminato e la lupa stecchita. Allora la Principessa disse: - Presto, correte da Sua Maestà mio padre e ditegli che qui è venuto un coraggioso cavaliere, che ha sconfitto l'esercito che mi teneva prigioniera, ha ammazzato la lupa che mi faceva la guardia, e mi ha tolto l'incantesimo dandomi un bacio -. Si guardò il piede nudo e disse: - E poi, m'ha portato via la pianella del piede sinistro.

Il Re, contento e felice, fece mettere gli affissi per tutto il paese: Chi si presenterà come salvatore di mia figlia, gliela darò in sposa, sia egli principe o straccione.

Intanto il napoletano era tornato dai compagni ed era già giorno. Li svegliò. - Perché non ci hai chiamato prima? Quanti turni di guardia ti sei fatti?

Il napoletano di raccontare tutte quelle cose non aveva voglia, e disse: - Tanto non avevo sonno, sono rimasto di guardia io.

Passarono dei giorni, e al paese della figlia del Re non s'era ancora presentato nessuno a pretendere la sua mano come legittimo salvatore. - Come va questa faccenda? - si chiedeva il Re.

Alla Principessa venne un'idea: - Papà, facciamo così: apriamo un'osteria nella campagna, con letti per dormire, e mettiamo sull'insegna: Qui si mangia, beve e dorme per tre giorni gratis. Ci si fermerà tanta gente e sapremo certo qualcosa.

Così fecero, e la figlia del Re faceva l'ostessa. Ecco che capitano i tre soldati, affamati come lupi. Passano, cantando come facevano sempre anche se tiravano la cinghia, leggono l'insegna e il napoletano fa: - Ragazzi, qui si mangia e dorme gratis.

E i compagni: - Sì, stacci a credere! Ci scrivono così per gabbare il prossimo.

Ma s'era fatta sull'uscio la Principessa ostessina che disse loro di entrare, che quel che diceva l'insegna era vero. I tre entrarono e la Principessa servì loro una cena da signori. Poi si sedette al loro tavolo, e disse: - Be', che ci avete di nuovo da raccontarmi, voialtri che venite da fuori? Io, in mezzo a questa campagna, non so mai niente di quel che succede.

- Che volete che vi raccontiamo, sora padrona? - fece il romano. E così, facendo il modesto, le raccontò la storia di quando era di guardia e gli s'era presentato il gigante e lui gli aveva tagliato la testa.

- To'! - fece il fiorentino, - a me pure m'è successo così, - e raccontò anche lui del suo gigante.

- E voi? - disse la Principessa al napoletano, - non v'è successo niente?

I compagni si misero a ridere. - Che volete che gli sia successo? È un fifone quest'amico nostro, che se sente muovere una foglia di notte piglia la fuga e non lo trovate più per una settimana.

- Perché lo trattate così, poveretto? - disse la giovane, e insistette che raccontasse anche lui.

Allora il napoletano disse: - Se lo volete sapere, anche a me mentre voi dormivate, m'è comparso un gigante, e l'ho ammazzato.

- Bum! - fecero i compagni sghignazzando. - Se solo lo vedevi morivi dalla tremarella! Basta: non vogliamo sentire più nulla. Andiamo a letto, - e lo lasciarono solo con l'ostessina.

L'ostessina faceva bere il napoletano e lo faceva continuare a raccontare. Così lui, a poco a poco le raccontò tutto: delle tre vecchie, della lanterna, del fucile, della spada, e della bella fanciulla addormentata che lui aveva baciata, e le aveva portato via una pianella.

- E ce l'avete ancora questa pianella?

- Eccola qui, - disse il soldato, traendola di tasca.

Allora la Principessa, tutta contenta, gli diede ancora da bere finché non cadde addormentato, poi disse al garzone: - Portatelo in quella camera che ho fatto preparare apposta; toglietegli i suoi abiti e mettetegli vestiti da Re sulla sedia.

Il napoletano la mattina si svegliò e si trovò in una camera tutta d'oro e di broccato. Andò per cercare i suoi vestiti e trovò abiti da Re. Si pizzicò per assicurarsi che non dormiva, e visto che da sé non si raccapezzava, suonò un campanello.

Entrarono quattro servitori in livrea, con grandi inchini: - Altezza, comandi. Ha riposato bene, Altezza?

Il napoletano faceva tanto d'occhi: - Ma siete impazziti? Che altezza e non altezza? Datemi i miei panni che voglio vestirmi, e facciamola finita con questa commedia.

- Ma si calmi, Altezza, si faccia fare la barba, si faccia pettinare.

- Dove sono i miei compagni? Dove avete messo la mia roba?

- Adesso vengono, adesso avrete tutto, ma permetta che la vestiamo, Altezza.

Quando vide che non c'era altro da fare per toglierseli di torno, il soldato li lasciò fare: lo sbarbarono, lo pettinarono, e gli misero gli abiti da Re. Poi gli portarono la cioccolata, la torta e i confetti. Finito di far colazione disse: - Ma i miei compagni li posso vedere, sì o no?

- Subito, Altezza.

E fecero entrare il romano e il fiorentino, che a vederlo vestito in quel modo restarono a bocca aperta. - Ma, di', come ti sei mascherato?

- Ne sapete qualcosa voialtri? Io ne so quanto voi.

- Chissà cos'hai combinato! - dissero i compagni. - Chissà quante bubbole hai raccontato ieri sera alla padrona!

- Io per regola vostra bubbole non ne ho raccontate a nessuno, - disse lui.

- E allora come va questa storia?

- Vi dirò io come va, - disse il Re entrando in quel momento con la Principessa vestita del suo manto più prezioso. - Mia figlia era sotto un incantesimo e questo giovanotto l'ha liberata.

E tra domande e risposte, si informarono di tutto quel che era successo.

- Per questo, - disse il Re, - lo faccio sposo di mia figlia e mio erede. In quanto a voialtri due, non vi preoccupate. Sarete fatti Duchi, perché se non aveste ammazzato gli altri due giganti, mia figlia non sarebbe stata salvata.

Furono fatte le nozze tra l'allegria generale.

Mangiarono pane a tozzi / E una gallina verminosa, / Viva la sposa, viva la sposa.


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