Folk Tale

Il Re superbo

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU871
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta un mercante che aveva una figlia e la sera la portava in società. Una sera questa figlia, stando in società, vide un signore che tirava fuor di tasca una tabacchiera e prendeva tabacco, e sul coperchio della tabacchiera c'era un ritratto. Era il ritratto del figlio del Re di Persia con sette veli sul viso, e la ragazza se ne innamorò.

Tornò a casa e disse a suo padre: - Papà, mi sono innamorata del figlio del Re di Persia; andatemelo a chiedere per sposo e portategli il mio ritratto.

Il figlio del Re di Persia era famoso per due cose: per quant'era bello e per quant'era superbo. Era tanto bello che per la sua bellezza esagerata non poteva essere visto da nessuno, anzi, per paura che qualcuno lo vedesse, portava sette veli sulla faccia, e stava sempre chiuso nella stanza del trono, senza parlare mai con anima viva, tranne che con sua madre.

Il mercante, quando sua figlia gli ebbe detto quello, le rispose: - Ragazza mia, è meglio che questo figlio del Re di Persia tu te lo togli dal cuore.

Ma la ragazza ormai era presa da una smania e non pensava ad altro. Cominciò a mettere in croce il padre, e tanto fece e tanto disse che il mercante, per non vederla più struggersi, decise d'andare lui in persona a trovare questo figlio del Re di Persia con sette veli sul viso, e di dirgli dell'amore di sua figlia per lui.

Lo ricevette la Regina, prese il ritratto della ragazza e andò a mostrarlo al figlio.

- Lo vuoi vedere, figlio mio, quel ritratto?

- Ditegli che lo butti nel gabinetto.

La Regina andò a riferire, e quel povero padre a supplicarla: - Ma quella povera figlia mia si strugge in lagrime!

- Figlio mio, - andò a dire la madre al Re superbo, - dice che la ragazza si strugge in lagrime!

- Allora dàgli questi sette fazzoletti!

- Ma mia figlia s'ammazza! - disse il povero padre quando la Regina gli portò i fazzoletti.

- Ha detto che s'ammazza, - fu riferito al Re superbo.

- Allora dàgli questo coltello che s'ammazzi pure.

Con queste crudeli risposte, il vecchio ritornò da sua figlia. La figlia restò un po' in silenzio, poi disse: - Padre, qui bisogna essere forti. Datemi un cavallo, una borsa di denari, e lasciatemi partire.

- Ma sei matta?

- Matta o non matta, voglio andare per il mondo.

Partì e andò per il mondo. Le si fece notte in mezzo alla campagna. Vide un lume. C'era una casa in cui una donna vegliava il figlio che stava per morire. La ragazza disse: - Andate a riposare; lo veglio io vostro figlio.

Mentre vegliava, le si spense il lume, e restarono tutti d'un colore. Cerca a tentoni un cerino e non lo trova. "Bisogna provare qui intorno se c'è qualcuno che m'accende un lume". Esce di corsa, gira intorno e laggiù vede un filo di luce. S'avvicina, e c'è una vecchia che metteva legna sotto una caldaia d'olio.

- Nonna mia, mi fai accendere il lume?

- Se m'aiuti, - le rispose la vecchia.

- Aiuti a che?

- A fare la fattura a un giovane, il figlio di quei contadini che abitano là, - e indicò la casa dove c'era quel ragazzo moribondo. - Quando quest'olio s'è consumato, il giovane è morto.

- T'aiuto, - disse la ragazza, - io metto la legna e tu guarda se la caldaia bolle.

La vecchia si sporge a vedere se la caldaia bolle e la ragazza l'agguanta per gli stinchi e la caccia dentro l'olio a capofitto finché non la sentì stecchita. Poi accese il lume, spense il fuoco, e corse a casa, dove il giovanotto bell'e guarito s'alzava già dal letto. Feste, allegrezza in quella povera casa. - Ma io vi sposo! - diceva il giovanotto. - Ma no, lasciate andare, - disse lei, e il giorno dopo, carica di regali, proseguì il suo viaggio.

Arrivò in un paese e si mise a servire in una casa di moglie e marito. Il marito, poveretto, erano anni che non s'alzava dal letto, malato di non si sa qual malattia, che nessun medico capiva. Alla ragazza, stando a servizio in quella casa, cominciarono a venire dei sospetti sulla moglie. Cominciò a tenerla d'occhio, e una sera si nascose dietro una tenda per vedere cosa faceva di notte. Ecco che la moglie arriva, sveglia il marito, gli dà da bere una tazza d'oppio, e appena lui si riaddormenta, apre uno scrignetto e dice: - Venite, figlie care, su che è ora.

Dallo scrigno uscirono fuori un groviglio di vipere, saltarono addosso all'addormentato e cominciarono a succhiargli il sangue. Quando le vipere furono sazie, la moglie le staccò, prese una piccola marmitta che teneva nascosta dietro a un quadro, fece sputare alle vipere tutto il sangue succhiato, s'unse ben bene i capelli, ripose le vipere e disse: Sopra l'acqua e sopra il vento, / Portami al noce di Benevento.

E sparì.

La ragazza, che fa? S'unge ben bene i capelli anche lei con quel sangue della marmitta, ripete le parole della donna, e tutt'a un tratto si trovò dentro una botte piena di streghe che ballavano e facevano sortilegi e incantesimi. Appena si fece giorno, la ragazza, per trovarsi a casa prima della padrona, pensò: "Qui bisogna trovare la controparola magica". E provò a dire: Sotto l'acqua e sotto il vento, / Lontan dal noce di Benevento.

E di colpo si ritrovò a casa. Quando la padrona ritornò, la trovò che riposava come se non fosse successo niente.

Ma la mattina dopo la ragazza disse al padrone: - Stanotte, fate finta di bere dalla tazza che vostra moglie vi porta ma non inghiottite neanche una goccia.

Il padrone fece così e restò sveglio. Quando la moglie andò per attaccargli le vipere, saltò su e l'uccise. Non era ancora spirata che già il marito era guarito. - Come ti posso ringraziare? - disse alla ragazza. - Non andartene più via; voglio tenerti con me per sempre.

Ma lei non ne volle sapere. Si prese tutto il denaro che il padrone le diede, e si rimise in viaggio.

Cammina cammina, ecco che arrivò in un altro paese e prese alloggio in una locanda. Il padrone della locanda aveva un figlio giovanotto, che da tanto tempo se ne stava a letto senza mangiare né bere, dormendo notte e giorno. Disse la ragazza: - Lasciate fare a me che lo guarisco.

La notte, si mise a fargli la guardia. Suonano le dieci: niente. Suonano le undici: niente. Suona la mezzanotte, e, tunfete! nel soffitto s'aprono due buchi, e cadono giù due fagotti, uno bianco e uno nero. Toccano terra, e il fagotto bianco diventa una bella signora, e il fagotto nero una fantesca che reggeva un vassoio con la cena. La signora diede uno schiaffetto all'addormentato e lo svegliò; poi gli apparecchiarono la tavola e cominciarono a far cena con lui come se nulla fosse. Quando si sentì cantare il gallo, la bella signora diede un altro schiaffetto al giovanotto, che subito si riaddormentò. Le due donne si raggomitolarono fino a diventare due fagotti, uno bianco e uno nero, e presero il volo per i buchi del soffitto.

A giorno, la ragazza disse ai genitori del malato: - Se volete che questo poverino vi guarisca, statemi a sentire. Dovreste fare cinque cose: primo, che tutti i galli del paese siano ammazzati; secondo, che tutte le campane siano legate; terzo, che sia preparata una coperta nera con tutte le stelle ricamate sopra e sia appesa fuor della finestra; quarto, che sotto la finestra ci accendiate un falò; quinto, che teniate un muratore sul tetto, pronto per turare i buchi.

La notte dopo, le due donne-fagotto scesero nella stanza e si misero a cenare col giovane. Ogni tanto guardavano fuor della finestra, attente a vedere se schiariva, ma c'era sempre lo stellato. Aspetta e aspetta, fuori era buio, galli non se ne sentivano, galline nemmeno; le due donne-fagotto vanno alla finestra per vedere com'era che questa notte non finiva mai. Allungano una mano e vedono che quello non era cielo ma coperta, e la coperta cadde tutt'a un tratto scoprendo il sole già alto nel cielo. Allora loro tutte affannate ridiventarono fagotti e saltarono verso il soffitto. Ma il muratore intanto aveva rimesso bene tegole, travi e intonaco, e si trovarono la via sbarrata. Fanno per buttarsi dalla finestra, ma vedono il falò lì sotto. A ogni modo, scelta non ne avevano, si buttarono giù, si bruciacchiarono e scapparono via. Nella fretta, però, si erano dimenticate di suonare il solito schiaffetto al giovanotto: così lui restò sveglio, liberato dalla fattura.

I parenti corsero ad abbracciarlo pazzi dalla contentezza. - Quella ragazza! Voglio sposare quella ragazza! - fu la prima cosa che lui disse. Ma lei, cucù! era altro che aveva in testa. Ricevette un mucchio di regali anche dai locandieri e continuò il suo viaggio.

Incontrò una vecchietta. - Dove vai?

E la ragazza rispose: - Vado cercando il Re superbo.

- Senti, - disse la vecchia, - so che hai tribolato la tua parte. Eccoti questa bacchettina del comando.

Chiedi quel che vuoi a lei e te lo farà. Sappi che il Re superbo sta in questo paese, - e la vecchietta svanì. La figlia del mercante allora andò di fronte al palazzo del Re superbo, batté la bacchettina del comando per terra e disse: - Comando! Comando che subito venga su un palazzo grande come quello del Re superbo, e con finestre in numero di sette come quelle sue, ma che questo palazzo sia fatto in modo che da un capo le finestre tocchino quelle del palazzo del Re e dall'altro capo ne siano lontane.

E subito, di fronte al palazzo del Re ne sorse un altro, tal quale come lei aveva comandato. Era mattina e il Re superbo s'alzò e vide che in faccia al suo c'era cresciuto quel bel palazzo mai visto prima. S'affacciò e di fronte alla sua finestra c'era quella più lontana dell'altro palazzo, e affacciata c'era una ragazza tanto bella che il Re superbo, per vederla meglio, si tolse il primo dei suoi veli, e subito disse ai servitori: - Prendete i due più bei braccialetti del tesoro e portateli a quella ragazza dirimpetto, chiedendola in sposa a nome mio.

I servitori andarono, coi braccialetti sui cuscini di velluto, a fare l'ambasciata. Ma la ragazza appena li vide rispose: - Questi braccialetti metteteveli per battenti giù al portone, che giusto ci mancano, - e li licenziò.

L'indomani la ragazza s'affacciò alla seconda finestra, e il Re superbo si levò un altro velo e s'affacciò alla seconda finestra anche lui. Poi mandò i servi a offrirle una collana di brillanti. - Questa collana, - disse lei, - mettetela come catena al cane, che lo tenete legato a una corda.

Al terzo giorno, la ragazza era alla terza finestra, e il Re superbo, senza più il terzo velo, affacciato alla terza finestra anche lui, le mandò i servitori con due orecchini di perle. - Questi orecchini, - disse lei, - metteteli come batacchi al sonaglio del cane.

Al quarto giorno, dalla quarta finestra, rispose ai servitori che portavano un prezioso scialle ricamato che lo usassero come zerbino, e al quinto giorno, poiché il Re, toltosi anche il quinto velo, le aveva mandato un anello di fidanzamento con un diamante grosso come una noce, disse che lo dessero per giocare ai bambini del portinaio.

Il sesto giorno le portarono la corona di regina. - Mettetela per treppiede sotto la pignatta.

Ma intanto erano arrivati alla settima finestra, a faccia a faccia, e il Re superbo s'era tolto dal viso l'ultimo velo, e tanto piacque alla figlia del mercante che disse: - Be', sì che ti sposo.

E così col pane e il tozzo / Una gallina verminosa / Evviva la sposa!


Text viewBook