Folk Tale

La pelle di pidocchio

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU857
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta un Re che un giorno, mentre se n'andava a spasso lemme lemme, si trovò addosso un pidocchio. Pidocchio di Re, pensò, va rispettato. E invece di spidocchiarselo via, lo tenne da conto, se lo portò alla Reggia, e lo mise a ingrassare. Il pidocchio divenne grasso come un gatto e stava tutto il giorno su una sedia. Poi divenne grasso come un porco e lo dovettero mettere su una poltrona. Poi divenne grasso come un vitello e lo dovettero mettere in una stalla. Ma continuava a ingrassare e neanche nella stalla ci stava più, così il Re lo fece macellare. Quando fu macellato lo fece scorticare, e fece inchiodare la pelle sulla porta del palazzo. Poi fece uscire un editto che chi avesse indovinato di che bestia era quella pelle, gli avrebbe dato sua figlia in sposa; ma chi non indovinava sarebbe stato condannato a morte.

Appena uscì l'editto, per la Reggia cominciò una processione di gente che andavano per spiegar la cosa e ci rimettevano il collo. Il boia lavorava notte e giorno. La figlia del Re, di nascosto dal padre, aveva un innamorato e non ebbe pace finché non riuscì a sapere, attraverso certe serve che sapevano tutto, che quella pelle era pelle di pidocchio. La sera, quando l'innamorato venne come al solito sotto la sua finestra, gli disse piano: - Domani va' da mio padre, e digli che la pelle è di pidocchio -. Quello non capiva: - Di ginocchio?

- No, di pidocchio! - disse più forte la figlia del Re.

- Di finocchio?

- Pidocchio! Pidocchio! - gridò lei.

- Ah, capito! Domani ci vediamo, - e se ne andò.

Ma sotto alla finestra della figlia del Re aveva il suo banchetto un ciabattino gobbo, che s'era sentito tutta la conversazione. "Ora vediamo, - si disse, - chi ti sposa: se io o quello là". E detto fatto, senza neanche levarsi la parannanza, piglia e va dal Re. - Sacra Corona, ho l'onore d'essere venuto a indovinare la pelle che ci avete.

- Guarda d'indovinarci, - disse il Re, - perché già tanti ci hanno rimesso il collo.

- E vediamo se ce lo rimetto anch'io, - disse il gobbo. Il Re fece portare la pelle. Il gobbo la guardò bene, l'annusò, fece come se si sforzasse di pensarci su, e disse: - Sacra Corona, io ho l'onore di dirvi che questa pelle non ci vuol tanto per uno che se ne intende a capire di che bestia è: è pidocchio.

Il Re ci restò di pezza a vedere com'era stato svelto il gobbo; e, senza fiatare, perché parola di Re è parola di Re, chiamò sua figlia e lì su due piedi la dichiarò sposa legittima del gobbo. La poverina, che era ormai sicura di sposare l'indomani il suo innamorato, piombò in una disperazione senza fine.

Il gobbetto diventò Re e lei Regina. Ma a vivere con lui, le prese una malinconia da morire. Aveva con sé una vecchia cameriera che avrebbe dato un occhio pur di vederla ridere. Una mattina le disse: - Sacra Maestà, ho visto in giro pel paese tre gobbetti buffi che ballano suonano cantano e fanno sganasciare dalle risa. Vuole che li faccia salire alla Reggia così si diverte un po' anche lei?

- Ma va', sei matta? - disse la Regina. - Ci arriva a casa il Re gobbetto, li trova qui, e crede che li abbiamo fatti venire per canzonare lui!

- Non se ne prenda pena, - le disse la cameriera, - se nel frattempo venisse il Re gobbetto li nascondiamo nel cassone.

Così i tre gobbetti suonatori salirono dalla Regina e ne fecero quante Carlo in Francia. E la Regina, dàgli a sbudellarsi dalle risa. Sul più bello, gran scampanellata: è il Re gobbetto.

La cameriera prende i tre gobbi per la collottola, li ficca nel credenzone e chiude a chiave. - Sì, vengo, vengo! - e va ad aprire al Re. Fecero cena e dopo cena se n'andarono a passeggio.

L'indomani era giorno di ricevimento: ai tre gobbi non ci pensavano più. Il terzo giorno la Regina fece alla cameriera: - Ma quei gobbetti, di', dove sono andati a finire?

La cameriera si dà una mano sulla fronte. - Uh, Maestà mia! Chi se ne ricordava più! Sono ancora là nel credenzone!

Aprono subito e che ci trovano? I tre gobbi ingrugniti, morti stecchiti di fame e di soffocazione.

- E ora? - fece la Regina, tutta spaventata.

- Niente paura, ci penso io, - e la cameriera prese uno dei gobbi e lo ficcò in un sacco. Chiamò un facchino: - Senti, in questo sacco c'è un ladro che ho ammazzato con una sberla mentre stava rubando i gioielli della Corona -. Aprì il sacco e gli fa vedere la gobba. - Allora mettitelo in spalla e senza farti vedere da nessuno buttalo nel fiume. Quando torni penserò a te.

Il facchino si carica il sacco e va al fiume. E intanto quell'anima forcuta della cameriera caccia il secondo gobbo dentro un altro sacco, e lo mette accanto alla porta. Torna il facchino per essere pagato, e la cameriera gli fa: - Come vuoi che ti paghi se il gobbo è ancora qua?

- Ma a che gioco giochiamo? - fa il facchino. - L'ho buttato nel fiume proprio ora.

E la cameriera: - È segno che non l'hai buttato bene; se no non sarebbe qui.

Il facchino scuotendo il capo e bofonchiando si ricarica il sacco e se ne va. Quando torna alla Reggia un'altra volta, ritrova ancora il sacco con il gobbo e la cameriera tutta arrabbiata, che gli dice: - E poi non ho ragione che non lo sai buttare a fiume! Non lo vedi che è tornato un'altra volta?

- Ma se stavolta ci avevo legato pure un sasso!

- E tu legacene due! Guarda che se il sacco ritorna qua un'altra volta, non solo non ti pago, ma ti pigli un fracco di legnate.

Il facchino si riaccolla il sacco, va al fiume, gli lega due macigni e butta in acqua il terzo gobbo. Sta a guardare bene che non riaffiori, e torna alla Reggia.

Mentre il facchino saliva le scale, il Re gobbetto usciva di casa. Il facchino lo vede, pensa: "Dannazione! Il gobbo è scappato un'altra volta; ora quella strega mi vorrà anche bastonare!" Gli prese una stizza da mettersi a piangere; non ci vide più, agguantò il gobbo per il collo e gridò: - Ah boia d'un gobbo, non ti basta che t'ho buttato tre volte nel fiume! T'ho buttato con un sasso e sei tornato a galla, t'ho buttato con due e ancora ritorni! Ma che ci hai l'anima a rovescio? Ora te l'accomodo io, - e cominciò a stringergli la gola finché non gli uscì fuori un palmo di lingua. Poi se lo prese in collo e dritto dritto andò a buttarlo al fiume con quattro massi legati ai piedi.

Quando la Regina seppe che anche suo marito aveva fatto la fine degli altri tre gobbi, coprì il facchino di regali: quattrini, pietre preziose, prosciutti, cacio, vino. Non ci stette molto a pensarci su: si sposò il suo innamorato di prima e da quel giorno visse allegra e contenta.

Larga la foglia, stretta la via, / Dite la vostra che ho detto la mia.


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