Folk Tale

Il tignoso

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU810,314
LanguageItalian
OriginItaly

Un Re non aveva figli e n'era triste. In preda a questa tristezza, cavalcava per un bosco quando incontrò un signore su un cavallo bianco.

- Perché tanta tristezza, Maestà? - chiese il cavaliere.

- Non ho figli, - disse il Re, - e il mio Regno si perderà.

- Se volete avere un figlio, - disse il cavaliere, - firmate con me un contratto: che quando questo figlio avrà quindici anni, voi verrete qui nel bosco con lui e me lo darete.

- Pur d'averlo, - disse il Re, - firmerei qualsiasi patto, - e così il patto fu firmato, e il figlio nacque.

Era un bambino coi capelli d'oro e una croce d'oro in petto. Crebbe di giorno in giorno, sia in statura sia in sapienza. Prima dei quindici anni aveva già finito tutti gli studi, ed era esperto nell'arte delle armi. Quando mancavano tre giorni al compiersi dei quindici anni, il Re si rinchiuse nelle sue stanze e prese a piangere. La Regina non sapeva darsi ragione di quel pianto, finché il Re non le raccontò del contratto che stava per scadere, e allora pianse anch'essa senza potersi più frenare. Il figlio vedeva i genitori in lagrime, senza capire, e il padre disse: - Figliolo, ora ti porterò nel bosco, e ti consegnerò al tuo padrino, che ha sancito con un patto la tua nascita.

Così padre e figlio taciturni cavalcarono nel bosco. S'udì un altro scalpiccio di zoccoli; era il signore sul suo bianco cavallo. Il giovane passò al suo fianco, e, senza dir parola, il padre piangendo si voltò e tornò indietro. Il giovane continuò a cavalcare a fianco del signore sconosciuto, per luoghi del bosco mai prima percorsi. Finché non giunsero a un immenso palazzo, e il signore disse: - Figlioccio, qui dentro abiterai e sarai padrone. Tre cose sole ti proibisco: d'aprire questa finestrella, d'aprire quest'armadio, e di scendere nelle scuderie.

Il padrino a mezzanotte usciva sul suo cavallo bianco, e non tornava che all'alba. Il figlioccio dopo tre notti, quando restò solo, fu preso dalla curiosità d'aprire la finestrella proibita. L'aperse: fuori della finestra c'era fuoco e fiamme, perché era la finestra dell'Inferno. Il giovane guardò nell'Inferno per vedere se trovava qualcuno che conoscesse: e riconobbe la sua nonna. Anche la nonna lo riconobbe e gli gridò di là in fondo: - Nipote, nipote mio! Chi t'ha portato qua?

E il giovane rispose: - Il mio padrino!

- No, nipote mio, - disse la nonna, - quello non è il tuo padrino: è il Demonio. Scappa, nipote. Devi aprire l'armadio, prendere con te un setaccio, un sapone, un pettine. Poi scendi nelle scuderie e ritroverai il tuo cavallo. Fuggi, e quando il Demonio t'inseguirà, tu getta quei tre oggetti. Passerai il fiume Giordano, e allora non potrà più raggiungerti.

Dopo un minuto, già il giovane fuggiva sul suo cavallo chiamato Rafanello. Quando il padrino tornò e non trovò né lui né il cavallo, né gli oggetti nell'armadio, se la prese con le anime dannate e fece un inferno nell'Inferno. Poi cominciò l'inseguimento del fuggiasco. Il cavallo bianco del padrino correva cento volte più veloce di Rafanello, e l'avrebbe certo raggiunto, ma il figlioccio buttò a terra il pettine e il pettine si trasformò in un bosco così fitto che il padrino dovette penare un bel pezzo per districarsi. Quando si fu districato e riprese l'inseguimento, il figlioccio si lasciò quasi raggiungere e poi buttò il setaccio: il setaccio si trasformò in una palude, da cui il padrino non riuscì a tirarsi fuori che a stento, dopo molto sguazzare. L'aveva quasi raggiunto per la terza volta, quando il figlioccio buttò il sapone: e il sapone si trasformò in una montagna scivolosa, che da ogni parte il cavallo bianco puntasse gli zoccoli, erano più i passi che faceva indietro di quelli che faceva avanti. Intanto, il figlioccio era giunto sulla riva del fiume Giordano, e spronò Rafanello a buttarsi giù nella corrente. Rafanello a nuoto lo trasportò all'altra riva, e intanto il padrino che aveva valicato la montagna, non potendolo raggiungere perché era già nelle acque del Giordano, si sfogava facendo scoppiare tuoni, fulmini, vento, pioggia e grandine. Ma già il giovane risaliva sull'altra riva e cavalcava verso la nobile città di Portogallo.

A Portogallo, per non farsi riconoscere, il giovane pensò di nascondere i suoi capelli d'oro, e comprò da un macellaio una vescica di bue. Se la mise in testa, e così sembrava che fosse tignoso. Legò Rafanello in un prato, e nessuno poteva avvicinarsi a rubarlo, perché il cavallo, essendo stato nelle scuderie del Demonio, aveva imparato a mangiare i cristiani.

Con la vescica in testa, il giovane passeggiava davanti al palazzo del Re. Lo vide il giardiniere e, saputo che cercava lavoro, lo prese per garzone. La moglie del giardiniere, quando il marito lo condusse a casa, cominciò a litigare perché non voleva in casa un tignoso. Il marito, per farla contenta, lo mandò a stare in una capanna di legno lì vicino, e gli disse che non doveva più mettere piede in casa sua.

La notte, il giovane uscì zitto zitto dalla capanna e andò a slegare Rafanello. Si rivestì d'un abito rosso da Re, si tolse la vescica dal capo e la sua capigliatura d'oro splendette sotto la luna. A cavallo di Rafanello, si mise a fare gli esercizi per il giardino reale, saltando le siepi e le vasche, e faceva prove di destrezza come quella di gettare per aria tre anelli risplendenti che portava al dito medio, all'anulare e all'indice, dono di sua madre, e riprenderli sulla punta della spada.

Intanto, la figlia del Re di Portogallo stava affacciata alla finestra a guardare il giardino sotto la luna; e vide questo giovane cavaliere coi capelli d'oro, vestito di rosso, fare tutti quegli esercizi. "Chi può essere? Com'è potuto entrare nel giardino? - si disse. - Voglio guardare da che parte esce". Così lo vide, prima dell'alba, uscire da un cancello, che dava sul prato dove teneva legato il cavallo. Stette ancora in attesa, ma poco dopo vide entrare dallo stesso cancello il tignoso, garzone del giardiniere, e chiuse la finestra per non essere veduta.

La notte dopo si mise alla finestra ad aspettare. E vide il tignoso che usciva dalla capanna e dal cancello, e dopo poco entrò il cavaliere dai capelli d'oro, tutto vestito di bianco stavolta, che riprese a fare i suoi esercizi. Prima dell'alba uscì, e dopo poco ritornò il tignoso. La Reginella cominciò a sospettare che il tignoso avesse qualcosa a che fare col cavaliere.

La terza notte, successero tutte le stesse cose; solo che il cavaliere era vestito di nero. La Reginella si disse: "Il tignoso e il cavaliere sono la stessa persona".

L'indomani ella scese in giardino e disse al tignoso che le portasse dei fiori. Il tignoso fece tre mazzolini: uno più grande, uno così così e uno più piccolo; li mise in un cestino e glieli portò. Il mazzolino più grande era infilato nell'anello del dito medio, il mazzolino così così era infilato nell'anello dell'anulare, e il mazzolino piccolo nell'anello del mignolo. La Reginella riconobbe gli anelli e gli restituì il cestino pieno di doppie d'oro.

Il tignoso riportò il cestino al giardiniere con le doppie e tutto. Il giardiniere cominciò a litigare con la moglie. - Vedi? - le diceva. - Tu non vuoi che metta piede in casa nostra e la Reginella lo chiama nelle sue stanze e gli riempie il cestino di doppie d'oro!

L'indomani, la Reginella volle che il tignoso le portasse degli aranci. Il tignoso gliene portò tre: uno maturo, uno così così e uno acerbo e la Reginella li mise in tavola. Il Re disse: - Perché portate in tavola gli aranci acerbi?

- Li ha portati il tignoso, - disse la Reginella.

- Sentiamo questo tignoso, fatelo salire, - disse il Re, e, quando il tignoso fu condotto al suo cospetto, gli chiese perché aveva colto quei tre aranci a quel modo.

Rispose il tignoso: - Maestà, voi avete tre figlie, una è da sposare, l'altra così così, e l'ultima può aspettare ancora.

- È giusto, - disse il Re e proclamò un bando: Tutti coloro che pretendono la mano della mia figlia maggiore passino in rivista e chi avrà da lei il suo fazzoletto sarà il prescelto.

Ci fu una gran parata sotto le finestre reali. Prima passarono tutti i figli di famiglie regnanti, poi tutti i baroni, poi tutti i cavalieri, poi l'artiglieria e poi i fanti. Ultimo degli ultimi, veniva il tignoso. E la Reginella diede il fazzoletto a lui.

Quando seppe che la figlia aveva scelto il tignoso, il Re la cacciò di casa. Lei se ne andò a stare nella capanna del tignoso. Il tignoso le cedette il suo letto e lui s'accomodò in un giaciglio accanto al fuoco, perché - disse - un tignoso non può avvicinarsi alla figlia del Re. "Allora, è un tignoso davvero, - pensò la Reginella. - Mamma mia, cos'ho fatto!" Ed era già pentita.

Venne una guerra fra il Re di Portogallo e il Re di Spagna e tutti andarono a combattere. Dissero al tignoso: - Tutti vanno alla guerra e tu che ti sei preso la figlia del Re non ci vai? - E avevano già combinato di dargli un cavallo zoppo per farlo morire in battaglia. Il tignoso prese il cavallo zoppo, andò al prato dov'era legato Rafanello, si vestì tutto di rosso, mise una corazza che gli aveva regalato suo padre, e a cavallo di Rafanello andò alla guerra. Il Re di Portogallo si trovava attorniato da nemici: arrivò il cavaliere vestito di rosso, disperse i nemici e gli salvò la vita. In campo, nessun nemico gli si poteva avvicinare: menava fendenti a dritta e a manca e il suo cavallo metteva paura a ogni altra bestia. Così, quel giorno la battaglia fu vinta.

La figlia del Re andava ogni sera a palazzo a sentire le nuove della guerra. E le raccontarono di quel cavaliere vestito di rosso, con i capelli tutti d'oro, che aveva salvato la vita al Re e fatto vincere la battaglia. Lei pensò: "È il mio cavaliere, quello che vedevo la notte in giardino! E io sono andata a prendermi il tignoso!" Tornò tristemente alla sua capanna e trovò il tignoso addormentato accanto al fuoco, tutto rincantucciato nel suo vecchio mantello. La Reginella non poté trattenere le lagrime.

All'alba, il tignoso s'alzò, prese il cavallo zoppo e andò alla guerra. Ma prima, come al solito, passò dal prato a cambiare il cavallo zoppo con Rafanello e i suoi stracci con un vestito bianco e con la corazza e a togliersi la vescica di bue dai suoi capelli d'oro. Anche quel giorno, la battaglia fu vinta per l'intervento del cavaliere vestito di bianco.

La figlia del Re, sentendo la sera queste nuove notizie, e ritrovando il tignoso a dormire accanto al fuoco, si disperava sempre più della sua mala sorte.

Il terzo giorno, il cavaliere coi capelli d'oro si presentò in campo vestito tutto di nero. Stavolta c'era in campo il Re di Spagna in persona coi suoi sette figli maschi. E il cavaliere coi capelli d'oro si mise solo contro tutti e sette. Ne ammazzò uno, ne ammazzò due, alla fine restò vincitore su tutti, ma il settimo prima di morire lo ferì con la spada al braccio destro. Alla fine della battaglia il Re di Portogallo voleva che fosse medicato, ma già il cavaliere era scomparso, come le altre sere.

La figlia del Re quando seppe che il cavaliere coi capelli d'oro era stato ferito ne provò un gran dolore, perché era sempre innamorata di quello sconosciuto. E tornò a casa più amareggiata che mai contro il tignoso, e si mise a guardarlo con disprezzo, mentre stava rannicchiato accanto al fuoco. Così guardandolo, s'accorse che il mantello sbottonato lasciava intravedere un braccio fasciato, che sotto il mantello c'era un prezioso vestito di velluto nero, e che lì sotto alla vescica di bue spuntava una ciocca di capelli d'oro.

Il giovane, ferito, non s'era potuto cambiare come le altre sere e s'era buttato là, mezzo morto dalla fatica.

La figlia del Re soffocò un grido di sorpresa e gioia e apprensione insieme, e, silenziosa per non risvegliarlo, uscì dalla capanna e corse da suo padre: - Venite a vedere chi ha vinto le battaglie per voi! Venite a vedere!

Il Re con dietro tutta la Corte si recò alla capanna di legno. - Sì, è lui! - disse il Re riconoscendo nel finto tignoso il cavaliere. Lo svegliarono e volevano portarlo in trionfo, ma la figlia del Re aveva chiamato il cerusico a medicargli la ferita. Il Re voleva celebrare all'istante le nozze, ma il giovane disse: - Prima devo andarlo a dire a mio padre e a mia madre perché anch'io sono figlio di Re.

Il padre e la madre vennero e ritrovarono il figlio che credevano morto, e tutti si sedettero insieme al banchetto di nozze.


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