Folk Tale

Ari-ari, ciuco mio, butta danari!

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU563
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta la madre d'un figlio. Questa madre mandò questo figlio a studiare da un monaco, che gli insegnasse le cose di Dio, ma il figlio non aveva voglia d'imparar niente. Le vicine la consigliavano di mandarlo al collegio, che là c'era Maestro Refolo che te li istruisce nella dottrina come tanti passerotti. Maestro Refolo fece del suo meglio, ma non riuscì a ficcargli in testa neanche l'abbiccì. Finì per cacciarlo dal collegio; e lui se ne andò a casa facendo capriole dalla contentezza. Quando sua madre se lo vide di nuovo davanti, diede mano alla scopa e giù botte. - Vattene da casa mia, birbante! Non capitarmi più sotto gli occhi!

Uscì di casa e si mise per via. Cammina cammina, trovò un giardino senza mura. Siccome aveva fame, s'arrampicò su un pero e si mise a mangiar pere.

Mentr'era sul più bello, sentì: - Uhm, uhm! Qui c'è odore di carne umana! - e sotto il pero veniva ad annusare il Nanni-Orco, che era il padrone del giardino.

- Sì che sono carne umana, - disse il ragazzo dal pero. - Sono un povero ragazzo cacciato di casa da sua madre.

- Be', scendi, - disse il Nanni-Orco, - che ti porto a casa mia.

Lo portò a casa, lo rivestì a nuovo, e lo tenne con sé. - Ora starai con me e così non ti batterà più nessuno -. Tutte le mattine, il Nanni andava a lavorare e si portava il ragazzo dietro. Per due anni fece questa vita. Quando un giorno lo trovò che se ne stava mogio mogio.

- Che cos'hai che stai mogio? - gli chiese il Nanni.

- Voglio vedere la mamma mia, che chissà quanti pianti s'è fatta a non vedermi più.

Il Nanni disse: - Stai davvero in pena per la mamma tua? E allora ti lascerò andare a vederla. Ti darò un ciuco da portarle in regalo. Quando sarai arrivato a casa, portalo dentro e digli: "Ari-ari, ciuco mio, butta danari!" E il ciuco butterà danari dal didietro. Ma bada bene che non te lo portino via per la strada!

Il ragazzo se ne partì col ciuco. Dopo mezzo miglio si disse: "Voglio vedere un po' se è vero che questo ciuco butta i danari!" Si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno, scese da cavallo e disse: - Ari-ari, ciuco mio, butta danari! - E lui, trrr!, alzò la coda e buttò fuori tanti quattrini.

Il Nanni-Orco, che s'era messo in cima alla torre di casa sua a spiare le mosse del ragazzo, disse fra sé: "Ahi! L'ha fatta!"

Il ragazzo si riempì le tasche di quattrini e rimontò sul ciuco. Arrivò a una locanda e chiese la camera più bella per metterci il ciuco. Il locandiere gli chiese il perché.

- Perché il mio ciuco butta danari.

- E com'è che butta danari?

- Basta dirgli: "Ari-ari, butta danari!"

- Ma no, figliolo, - disse il locandiere, - mettiamolo nella stalla: lo copriremo con un sacco perché non sudi e sta' sicuro che nessuno te lo tocca.

Il ragazzo, con tutti i quattrini che aveva, ordinò da mangiare e da bere finché non ne poté più, e poi andò a dormire. Il locandiere scese nella stalla, mise al posto del ciuco un altro che gli somigliava, e si portò via quello del ragazzo. Lui s'alzò la mattina e domandò: - Non avete mica detto niente al mio ciuco?

- No, e che gli dovevo dire?

- Bene, bene, - fece lui, salì in groppa e se ne andò dalla mamma. - Apri, mamma mia, sono Ntoni tuo!

- Ah fuoco mio! Sei tornato, finalmente! Credevo già che fossi perso dal mondo!

Il figlio entrò. - Mamma mia, come stai?

- Stracca di fatica, sto, che ho lavato una conca di roba e mi sono guadagnata due piselli!

- Te', te'! Di questa roba mangi? - Pigliò la pignatta e la buttò fuori dalla porta. Figuratevi quella povera donna i pianti e i gridi che ci fece a vedersi buttar via i piselli!

- Mamma mia, non gridare, che ti faccio ricca! - Tirò via la coperta dal letto e la stese in terra; fece entrare il ciuco e disse: - Ari-ari, butta danari!

Sì, poteva aspettare che il ciuco buttasse danari! - Ari-ari, butta danari! - continuava a ripetere lui, e niente. Allora afferrò un bastone e, tiritin taratan, gli menò tante legnate, che il ciuco finì per mollare tutto quel che aveva in corpo. La madre, quando vide che gli aveva riempito la coperta di letame, strappò di mano al figlio il bastone e cominciò a pestargli le ossa.

Mogio mogio, il figlio prese la strada tra le gambe e se ne tornò dal Nanni-Orco. Quando il Nanni lo vide: - Ah! Te ne sei tornato! Be', ora te ne starai con me, e non ti venga più in testa d'andare da tua madre.

Passò un po' di tempo, e il ragazzo si mise a frignare che voleva andare a vedere la mamma sua. Il Nanni gli diede una salvietta. - Bada di non far sciocchezze, - gli disse, - quando sarai da mamma tua, di': "Tovagliolo mio, apparecchia tavola!"

Il ragazzo se ne andò. Arrivato al posto dell'altra volta, tirò fuori la salvietta e disse: - Tovagliolo mio, apparecchia tavola! - E ne uscì ogni ben di Dio: maccheroni, polpette, salciccia, sanguinaccio, vino buono.

- Ah! - fece lui. - Ventre mio, fatti capanna! Adesso la mamma mia non avrà più da piangere per i piselli buttati!

Si riempì ben bene, poi disse: - Tovagliolo mio, sparecchia tavola! - e si rimise in viaggio. Arrivò alla solita locanda. Appena lo videro: - Ah, Ntoni, come stai?

- Bene. Che c'è da mangiare?

- Due rape e due fagioli napoletani, figliolo, ché questa è locanda di carrettieri!

- Bah! Di queste porcherie io non ne mangio. Ora vi faccio vedere io che cos'è una cena -. Tirò fuori la salvietta e disse: - Tovagliolo mio, apparecchia tavola! - e ne uscì pesce in umido, pesce arrosto, cotoletta alla milanese, vino, ogni ben di Dio. Quando si fu rimpinzato ben bene, si cacciò la salvietta nella tasca del petto e disse: - Questo vi voglio vedere a portarmelo via come il ciuco! Guardate dove lo tengo! - Ma proprio in quel momento, da tanto aveva bevuto e mangiato, cascò addormentato e dovettero prenderlo in collo per portarlo a dormire. La salvietta gliela tolsero di tasca e al suo posto ce ne misero un'altra che somigliava. L'indomani, s'alzò, disse: - Ah! questa non ce l'avete fatta a portarmela via! - e si mise la strada sotto i piedi.

Arrivò dalla mamma. Bussò. - Che c'è?

- Io, sono, mamma.

- Maledizione, sei di nuovo qui? Cammina, vattene da casa mia.

- No, mamma mia, apri: stavolta ti darò da esser sazia per tutta la vita!

Quando la madre gli ebbe aperto, le domandò: - Cos'è che mangi stasera, mamma mia?

- Cosa mangio? Due senapucce che ho colte dietro la Madonna Addolorata, nel giardino del signorino.

Il figlio prese la padella e la rovesciò fuori della finestra con tutte le senapucce.

- Ah, assassino! Ah, infame! Un'altra volta mi lasci a digiuno! Sa Iddio quante grida mi fece dietro

Vito Borgia, che mi sorprese mentre le coglievo, e tu, assassino, me le butti via!

- No, no, mamma mia! - le fece lui. - Prendi questo pezzo di salvietta e vedrai cosa ne esce.

Tovagliolo mio, apparecchia tavola! Tovagliolo mio, apparecchia tavola!

Ma per quanto lui ripetesse: - Tovagliolo mio, apparecchia tavola! - non ne usciva proprio niente.

Tira di qua, tira di là, la salvietta si ridusse in fili che non era buona più che come straccio. La madre gli diede un fracco di legnate e lo cacciò ancora di casa.

Un'altra volta se ne tornò dal Nanni. - Che t'è successo, rimbambito? Te l'avevo detto che ne buscavi di nuovo? - E si rimisero a fare la vita di prima, d'andare a zappare in campagna.

Dopo un po', gli tornò la smania d'andare a veder la mamma. Disse il Nanni: - Be', figliolo, questa è l'ultima volta. Tieni questa mazza, e quando sarai da tua madre di': "Mazza mia, dammi dammi!"

Piangendo, il ragazzo si licenziò dal Nanni e se ne andò. Da quel curioso che era, arrivato al solito posto, volle provare, e disse: - Mazza mia, dammi dammi! - Chi la poteva fermare più, la mazza? Si mise a dare mazzate a dritto e a rovescio e girava come un tornio.

Lassù d'in cima alla torre, il Nanni-Orco si torceva dalle risa. - Adesso sì che metterà giudizio!

Il ragazzo gridava: - Mazza mia, stattene quieta! Mazza mia, m'hai ucciso!

- Dàgli, dàgli! - gridava il Nanni da sopra la torre; e quando vide che il ragazzo non ne poteva più, disse: - Be', stattene quieta, - e la mazza si fermò.

Tutto malconcio, andò alla locanda. - Di nuovo qui, Ntoni? E come stai, bello mio? Cosa t'han fatto che vai tutto fasciato?

- Niente, vado subito a dormire. Tenetemi questo bastone, ma badate bene di non dire mai: "Mazza mia, dammi dammi!"

Alla notte il locandiere prese la mazza e provò a dire: - Mazza mia, dammi dammi! - La mazza cominciò a bastonare di santa ragione lui e tutta la sua famiglia, girando come un arcolaio. - Aiuto! Aiuto! Cristiani, ci uccide!

Accorse il ragazzo. - Ridatemi il ciuco e la salvietta, se no non mi riprendo la mazza.

Gli ridiedero il ciuco e la salvietta. Quando si fu assicurato che erano proprio i suoi, riprese la mazza e se ne andò. Arrivò a casa di sua madre con la mazza, il ciuco e la salvietta.

Quando sentì bussare, sua madre aperse uno sportello e vide che era lui con un altro ciuco. - Ah, brigante! Ah, malandrino! Vattene, vattene, che ti possano scorticare!

Lui fece: - Be', mazza, dagliene due, ma piano piano.

La mazza entrò dallo sportello e punf, punf, gliene suonò due.

- Ah, infame! Ah, giuda! Batti tua madre?

- Aprimi con le buone, se non vuoi che la mazza ti batta.

La madre aperse e lui entrò col ciuco. - No, il ciuco no! Non mi vorrai di nuovo sporcare tutta la casa? - cominciò a sbraitare la madre.

- Be', - fece lui, - mazza mia, dagliene altre due.

Così la madre smise subito di gridare. Il figlio tirò via la coperta del letto, e fece buttar fuori al ciuco un mucchio di quattrini. Poi tirò fuori il tovagliolo e gli fece apparecchiare tavola: si sedettero, mangiarono, bevvero e se ne stettero contenti e consolati, mentre noi siamo rimasti qui assetati.


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