Folk Tale

Cannelora

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta, un Re la cui moglie non faceva figli mandò a gridare un bando che diceva: Chiunque sappia consigliare un modo per avere figli al Re e alla Regina, diventerà il più ricco del regno dopo il Re. Ma chi dà un consiglio che non serve, gli sarà tagliata la testa immantinenti.

Questo bando mise voglia a molti di provare, e diedero consigli d'ogni sorta ma tutti ci rimisero la testa.

Finalmente si presentò un povero vecchio lacero e barbuto, e disse al Re: - Maestà, fate pescare un drago marino, fatene cucinare il cuore da una giovinetta, e lei, solo a sentire l'odore del drago che frigge si metterà ad attendere un bambino. Dopo che la giovanetta avrà cucinato il drago, la Regina lo mangi e comincerà anche lei ad aspettare un bambino, e tutt'e due i bambini nasceranno nello stesso momento.

Il Re, benché poco persuaso, fece tutto quel che il vecchio aveva detto: fece pescare il drago, lo diede a cucinare a una bella ragazza contadina, che appena respirò il fumo della bollitura si sentì diventar madre. I figli della Regina e della cuoca nacquero lo stesso giorno e si somigliavano come gemelli. E quello stesso giorno anche il letto fece un lettino, l'armadio un armadietto, il forziere uno scrignetto, la tavola un tavolino.

Il bambino della Regina si chiamava Emilio e quello della cuoca Cannelora. Crebbero come fratelli, volendosi un gran bene, e in principio anche la Regina voleva bene a entrambi. Ma man mano che crescevano, cominciò a spiacerle che tra suo figlio e quell'altro non ci fosse differenza, e poi ebbe anche invidia di quell'altro che poteva magari diventare più intelligente e fortunato del Principino vero. Allora spiegò a Emilio che Cannelora non era suo fratello bensì il figlio d'una cuoca, e che non dovevano trattarsi da pari a pari. Ma i due ragazzi si volevano tanto bene che non ci badarono neppure. Allora la Regina cominciò a maltrattare Cannelora; ma Emilio lo proteggeva e gli s'affezionava sempre di più. E la Regina si rodeva di rabbia.

Un giorno che i due si divertivano a fondere pallottole da caccia, Emilio va fuori un momento, e la Regina s'accosta al focolare. Trovato solo Cannelora gli tira in viso una pallottola rovente, pensando d'ammazzarlo. Ma lo colpì di striscio, sopra il ciglio e gli fece una profonda bruciatura nella fronte. La Regina stava per prender un'altra pallottola con le molle, quando rientrò Emilio, e lei facendo finta di niente se ne andò.

Cannelora, sebbene la ferita gli bruciasse, calatosi il cappello sulla fronte, non diede segno a Emilio di quel che era accaduto e continuò a fonder pallottole stringendo i denti. Ma poi disse: - Caro fratello, ho deciso d'andarmene via per sempre da questa casa e cercar fortuna.

Emilio non sapeva darsene ragione: - Ma perché, fratello mio, non si sta bene qui?

Cannelora con le lagrime agli occhi e il cappello basso sulla fronte, disse: - Fratello, la fortuna non vuole che viviamo insieme: ti devo lasciare -. Tutte le proteste di Emilio furono inutili. Cannelora prese il suo fucile a due canne, che era figliato da un altro fucile quando cuoceva il cuore del drago, e uscì in giardino con Emilio. - Caro fratello, oggi con dolore mi devo separare da te, ma ti lascerò questo ricordo -. Ficcò la spada in terra e ne fece sprizzare una fontana d'acqua limpida. Diede un altro colpo di spada in terra e vicino a quell'acqua nacque una mortella. - Quando vedrai quest'acqua intorbidirsi e questa mortella seccare, - disse Cannelora, - sarà segno di qualche mio gran malanno.

Dopo queste parole s'abbracciarono piangendo, Cannelora salì in sella al suo cavallo, prese il suo cane al guinzaglio e partì. Cammina cammina, un giorno arrivò a un bivio. Una via conduceva in un bosco senza uscita, la seconda in altre parti del mondo. Dove le due vie si separavano c'era un orto e nell'orto due ortolani che litigavano e stavano per venire alle mani. Cannelora entrò nell'orto e domandò la ragione del litigio. - Ho trovato due piastre, - disse uno, - e questo mio compagno ne vuole una perché era vicino a me quando l'ho trovata.

- L'ho vista prima io, - dice quell'altro, - o almeno l'abbiamo vista insieme.

Cannelora cavò fuori di tasca quattro piastre e ne dette due a quello che aveva già trovato le altre due e due al suo compagno. Gli ortolani non sapevano come ringraziarlo, e gli baciarono la mano. Lui se n'andò, imboccando la via che conduceva al bosco. Allora l'ortolano che aveva avuto quattro piastre, gli gridò dietro: - Signorino, non andate di qui, che si va a un bosco da dove non si viene più fuori. Pigliate per l'altra via, piuttosto.

Cannelora gli disse grazie e pigliò per l'altra via. Cammina cammina, incontrò dei ragazzacci che tormentavano una serpe coi bastoni. Già le avevano tagliato la punta della coda, per vederla muovere da sola. - Lasciatela andare, povera bestia! - gridò Cannelora, e la serpe con la sua coda mozza fuggì via.

Cannelora arrivò in un gran bosco e venne notte. Tirava un freddo da restar ghiacciati; da tutte le parti, urli di bestie feroci: Cannelora già si vedeva morto. Quand'ecco tutt'a un tratto apparve una bella ragazza, tra le piante, con un lume in mano, e prende per mano Cannelora.

- Povero giovane! - dice. - Vieni a riscaldarti e a riposarti a casa mia -. Cannelora credeva di sognare: senza poter spiccicare parola andò dietro alla ragazza. Quando l'ebbe portato in casa, ella gli disse: - Ti ricordi quella serpe che hai salvato dai ragazzacci che la bastonavano? La serpe sono io. Guarda: in segno della punta della coda che m'hanno tagliata, ecco qui tagliata la punta del mignolo della mia mano sinistra. E ora io salvo te come tu hai salvato me.

Cannelora era tutto contento. Quella fata gli accese il fuoco, preparò tavola e cenarono insieme. Poi andarono a riposare, ognuno in una stanza. La mattina, la Fata l'abbracciò, lo baciò e gli disse: - Va', caro giovane. Tu soffrirai ancora, ma verrà un giorno che staremo insieme e contenti.

Cannelora non capì cosa intendesse dire, ma la riabbracciò e baciò e partì con i lucciconi agli occhi. Giunse in un bosco e vide tra gli alberi una cerva con le corna d'oro. Puntò la sua doppietta, ma la cerva non stava mai ferma, e lui le corse dietro. Così giunse ad una grotta, nel più fitto del bosco. In quel momento scoppiò un gran temporale; venivano giù chicchi di grandine grossi come uova: Cannelora si rifugiò nella grotta. Mentr'era nella grotta sentì una vocina fuori, nella pioggia: - Mi lasci entrare, bravo giovane, che voglio ripararmi?

Cannelora guardò fuori e vide una serpe. Sapeva che aiutare le serpi gli portava fortuna e disse: - Vieni, accomodati pure.

- Sai, - disse la serpe, - ho paura che il cane mi morda. Non potresti legarlo?

Cannelora lo legò.

- Vedi, - disse la serpe, - il cavallo potrebbe calpestarmi coi suoi zoccoli.

Cannelora impastoiò il cavallo. - Ecco, - disse la serpe, - non mi fido perché hai il fucile carico. E se, per un verso o per l'altro parte un colpo e m'ammazza? Io ho paura.

Cannelora volle usarle la bontà di scaricare il fucile e disse: - Be', adesso puoi entrare senza paura.

La serpe entrò e subito si trasformò in un Gigante. Cannelora col cane e il cavallo legati e con lo schioppo scarico era senza difesa. Il Gigante con una mano lo pigliò per i capelli e con l'altra scoperchiò una tomba che c'era nella grotta e lo seppellì vivo.

A casa del Re, intanto, il giovane Emilio non aveva pace. Ogni giorno andava nel giardino a guardare la fonte e la mortella e un giorno vide l'acqua torbida e la mortella secca.

- Povero me! - disse. - È accaduta qualche gran disgrazia a mio fratello Cannelora. Voglio andare per il mondo a cercare dov'è e cosa posso fare per lui.

Né il Re né la Regina riuscirono a trattenerlo. Imbracciò il fucile, mandò avanti il cane, montò a cavallo e se ne andò. Al bivio vide l'orto di quei due ortolani, e per l'appunto incontrò quello che aveva avuto quattro piastre. - Bentornato, signorino! - disse l'ortolano inchinandosi col cappello in mano. - Vi ricordate le quattro piastre che mi avete dato l'altra volta? E io vi ho avvertito che quella strada era cattiva e che dovevate prender l'altra?

- Sì, che me ne ricordo, - disse Emilio dandogli altre quattro piastre, contento di sapere che Cannelora era passato di là ed aveva preso quella via. Cammina cammina, arrivò anche lui nel bosco dove Cannelora aveva incontrato la bella Fata senza la punta del mignolo.

- Benvenuto l'amico del mio sposo! - disse la Fata, comparendo avanti a Emilio.

Emilio meravigliato disse: - Ma chi siete voi, Signora?

- Io sono la Fata che deve sposare il tuo Cannelora.

- Allora ditemi, Cannelora è vivo? Se è vivo, ditemi dov'è per carità, che io voglio correre da lui.

Alla Fata vennero le lagrime agli occhi. - Corri, il nostro caro soffre sepolto sottoterra. Ma bada bene, non lasciarti ingannare dalla finta serpe -. E detto questo sparì.

Emilio si fece coraggio e andò avanti. Giunse nel bosco, seguì anche lui una cerva dalle corna d'oro, fu colto dalla tempesta e riparò nella grotta. Venne la serpicina chiedendo di riscaldarsi e lui disse di sì. E siccome lei voleva legato il cane legò il cane, e siccome voleva impastoiato il cavallo impastoiò il cavallo, ma quando gli chiese del fucile, Emilio si ricordò di quel che gli aveva detto la Fata, e disse: - Ah sì, vuoi che lo scarichi? - Puntò la doppietta e le sparò due colpi addosso. Cosa vide? Invece della serpe, c'era steso ai suoi piedi un Gigante morto, con due buchi nella testa che buttavano fuori sangue a catinelle, e si sentirono tante voci gridare da sottoterra: - Aiuto, aiuto, anima santa! Sei venuto a salvarci, finalmente!

Emilio apre la tomba e ne esce Cannelora, e dopo di lui una fila di Principi, Baroni e Cavalieri, sepolti lì da tanti anni e tenuti a pane e acqua. Emilio e Cannelora si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro. Poi in gran cavalcata con tutti quei signori presero la via per uscire dal bosco.

Andarono a quei posti della Fata senza la punta del mignolo e se la videro venire incontro insieme a un seguito d'altre Fate bellissime, ma lei era la più bella di tutte. Preso per mano Cannelora lo aiutò a scendere da cavallo, l'abbracciò e gli disse: - Mio caro, tutti i nostri dolori sono finiti. Tu m'hai salvata dalla morte e io farò di te l'uomo più felice del mondo. Tu sarai il mio sposo.

Poi chiamò un'altra fata, la più bella dopo di lei, e le disse: - Bella Fata, va' a dar un bacio a Emilio che è l'amico diletto del mio sposo ed è anche Principe. Sii la sua sposa e vivete felici.

Poi, rivolta alle altre Fate: - Ognuna di voi si scelga uno di questi signori a suo piacere, gli dia un bacio e sia sua sposa.

Così ci fu un gran sposalizio di Fate, beato chi c'era! E tutti tornarono alle loro case con le spose, anche Emilio e Cannelora, e si fece festa in tutto il Regno e alle ragazze povere si diedero i mezzi per fare dei bei matrimoni. Ma io poveretta non c'ero e son rimasta con un pugno di mosche!


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