Folk Tale

Il granchio dalle uova d'oro

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU303
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta c'era un muratore, ammogliato e con due figli maschi. Cadde malato e non poté più lavorare. Spese tutti i risparmi, cominciò a vendersi tutto quel che aveva, perfino le tegole del tetto. Un giorno che la famiglia era rimasta senza nulla da mangiare, disse: - Vado a caccia, a vedere se prendo qualche uccello.

Uccelli non ne vide volare neanche uno, ma sulla via del ritorno vide un granchio fermo su uno scoglio. Lo prese vivo e lo mise nel carniere. "Lo porterò ai miei figlioli per giocare", si disse.

I figlioli lo chiusero in una gabbietta. Alla mattina dopo videro che aveva fatto un uovo. Lo portarono al padre, e il padre disse: - È d'oro!

Lo portò a vendere e prese sei ducati. Il granchio faceva un uovo per sera e il muratore, con sei ducati al giorno, in poco tempo diventò un riccone.

Vicino al muratore stava un sarto. Prese a dire: - Non si capisce come ha fatto questo muratore a diventare tanto ricco! - E cominciò a spiarlo. Spia oggi, spia domani, capì che le ricchezze gli venivano dal granchio. Il sarto aveva tre figli: due maschi ed una femmina. "Potrei far sposare mia figlia al figlio del muratore", pensò.

Si combinarono le nozze. - Io do la dote a mia figlia, - disse il sarto al muratore, - ma tu devi dare per dote a tuo figlio il granchio.

- Sì, - rispose il muratore, - basta che resti di mio figlio.

Quando il sarto ebbe il granchio sottomano, lo guardò da tutte le parti, e vide che sulla pancia aveva scritte delle lettere. Il sarto sapeva leggere, e capì che quelle lettere dicevano: Chi mangia il granchio e mangia il guscio, un giorno diventerà re; chi mangia il granchio e mangia le zampe, ogni mattina troverà una borsa di danari sotto il guanciale.

Quando ebbe visto cosa c'era scritto sul granchio, il sarto pensò: "Bisogna che dia questo granchio da mangiare ai miei due figlioli".

L'uccise e lo mise a cuocere sulla graticola, poi andò a chiamare i suoi figlioli. Appena uscito, entrarono i figli del muratore: videro il granchio sulla graticola e venne loro l'acquolina in bocca.

- Mangiamocelo, - dissero, - tu ti prendi il guscio ed io le zampe -. E così fecero. Tornò il sarto e non trovò più il granchio. Ne nacque una gran lite, il matrimonio andò a monte. I due figli del muratore, spaventati per il guaio che avevano combinato, dissero: - Andiamocene per il mondo, - e partirono.

Al primo paese, alloggiarono in una locanda. Al mattino, il fratello minore, svegliandosi, trovò una borsa piena di danari sotto il guanciale. - Fratello, - disse, - qua ci hanno presi per ladri. Per tentarci, la locandiera ci ha messo qua questa borsa di danari, - e andò a restituirla alla locandiera dicendo: - Non siamo mica ladri, da metterci alla prova.

La locandiera cascava dalle nuvole, ma siccome era furba e svelta, fece finta di niente e prese la borsa. - Già, già, - disse, - ho l'abitudine di lasciare i danari dove capita.

Il giorno dopo, sotto il guanciale del fratello minore c'era un'altra borsa uguale. - Qui continuano a sospettarci, - disse lui, - è meglio che ce ne andiamo -. E portò anche questa borsa alla locandiera.

- Li ho lasciati senza malizia, - fece la locandiera prendendo la borsa, - sono così distratta.

Ma i fratelli chiesero il conto, pagarono e partirono. La sera fece scuro in un bosco, s'addormentarono con la testa su una pietra. Al mattino, a fianco della pietra, c'era la solita borsa di danari.

- Fin qua è arrivata quella maledetta locandiera! - esclamò il fratello minore. - Stanotte non glieli restituiremo più. Così impara!

Ma poiché tutte le mattine, dovunque dormisse, la borsa appariva, capì che non era la locandiera, ma la sua fortuna.

Arrivati ad un bivio, i due fratelli decisero di prendere uno da una parte e uno dall'altra. - Tieni questo coltello, - disse il minore al maggiore, - finché sarà lucente, vuol dire che io sto bene; quando s'appanna, piangimi per morto.

- Tieni questa bottiglia d'acqua, - disse il maggiore, - finché sarà chiara, vuol dire che sto bene; quando s'intorbida, piangimi per morto.

Si divisero i danari e si salutarono.

Il maggiore arrivò a una città dov'era morto il Re. Disse il Consiglio dei Ministri: - Facciamo così, diamo il volo ad un piccione; a chi si poserà sulla testa, lo faremo Re.

Si posò sulla testa del fratello maggiore. Si vide circondato di carrozze, esercito, banda musicale. Lo condussero a Palazzo, lo vestirono da Re con la corona in capo. E prese a comandare.

Il minore arrivò a un'altra città e alloggiò in una locanda, dirimpetto al palazzo d'una Principessa. Questa Principessa era sola, senza marito, e passava le giornate affacciata al balcone. Dal suo balcone vide il fratello minore affacciato al balcone della locanda, e attaccarono discorso. Da una chiacchiera all'altra, la Principessa disse: - Se posso avere tanto onore, vi aspetto a casa mia per divertirci un poco.

- L'onore è mio, - il giovane rispose.

Entrato dalla Principessa, lei gli disse: - Giochiamo un po' alle carte, così per passatempo. Cominciarono a giocare, ma la Principessa vinceva tutte le partite. Il giovane perdeva danari su danari, ma non gli finivano mai perché ogni mattino ne trovava una borsa piena sotto il guanciale. E la Principessa non riusciva a capire come potesse essere tanto ricco. Lo domandò a una maga, e la maga le spiegò: - Quel forestiero ha una virtù addosso, per cui non gli finiscono mai i danari. Ha in corpo un mezzo granchio per cui trova una borsa sotto il guanciale ogni mattina.

- E come faccio per averla io questa virtù? - chiese la Principessa.

- Fate come dico io, - disse la maga, - versategli un bicchiere di vino con questa medicina dentro. Questa medicina gli farà sputare tutto quello che ha in corpo, e sputerà anche il mezzo granchio. Voi laverete il mezzo granchio per bene e l'ingoierete. Così alla mattina invece che sotto il suo guanciale quella borsa di danari comparirà sotto il vostro.

La Principessa così fece e ora i danari li trovava lei. Il giovane restò in miseria; vendette tutte le sue robe e riprese a girare il mondo. Cammina, cammina, non stava più in piedi dalla fame. Si buttò in un prato e tanto per masticare qualcosa allungò la mano a strappare dell'erba e la mangiò. Era una specie di cicoria: appena l'ebbe addentata, si trasformò in un asino. "Se sono diventato un asino, - pensò, - almeno non avrò più fame, perché mi nutrirò d'erba". E si mise a brucare un cespo che sembrava una specie di cavolo. Appena l'ebbe morsicato, ecco che ritornò uomo. "Queste erbe possono essere la mia fortuna!", pensò; ne colse un po' di quella che faceva diventare asini e un po' di quella che faceva ritornare uomini, si vestì da ortolano e andò a gridare sotto la finestra della Principessa: - Chi vuol cicoria?

La Principessa lo chiamò, vide le cicorie bianche e tenere, ne portò subito una alla bocca e si trasformò in un'asina. Il giovane le mise subito la cavezza e la portò giù dalle scale del palazzo senza che nessuno s'accorgesse che era lei.

In groppa all'asina, arrivò in un posto dove c'erano tanti uomini che lavoravano per conto del Re. Si fece ingaggiare anche lui con la sua asina e le faceva portare un doppio carico di pietre, mandandola avanti a suon di bastonate.

- Perché tratti così quella povera asina? - gli dicevano gli altri.

- Perché così mi piace, - rispondeva. Gli altri andarono a dirlo al Re.

Il Re lo chiamò. - Perché vuoi rovinare quella bestia?

- Perché se lo merita, - disse il giovane, ma intanto aveva visto che il Re aveva alla cintola un coltello, ed era il coltello che lui aveva dato a suo fratello maggiore.

- Dammi i danari che ti diedi al bivio, - gli disse.

E il Re: - Come ardisci parlare così a un sovrano?

- E come devo parlarti? T'ho riconosciuto: sei mio fratello! Questa è la bottiglia che tu mi hai dato! E i fratelli si riconobbero e si gettarono uno nelle braccia dell'altro. Il minore raccontò dell'asina che era una Principessa. - Se ti restituisce il mezzo granchio, - disse il fratello Re, - falla ritornare donna com'era.

Diedero all'asina quella medicina che faceva sputare quel che si aveva in corpo ed ella sputò il mezzo granchio. Poi le diedero quell'erba che somigliava al cavolo e ritornò donna.

Il Re nominò suo fratello generale, e io sono rimasto tale e quale.


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