Folk Tale

Gràttula-Beddàttula

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta c'era un mercante con tre figlie grandicelle: la prima Rosa, la seconda Giovannina, e la terza Ninetta, la più bella delle tre.

Un giorno al mercante capitò un gran commercio e tornò a casa in pensieri. - Che avete papà? - chiesero le ragazze.

- Niente, figlie mie: mi capita una gran mercanzia, e non posso andarci per non lasciarvi sole.

- E vossignoria si confonde? - gli disse la grande. - Vossignoria faccia la provvista per tutto il tempo che avrà a stare lontano, faccia murare le porte con noi dentro e ci vedremo quando piace a Dio.

Così fece il mercante: comprò provviste di cose da mangiare in quantità, e diede ordine a uno dei servi che ogni mattina chiamasse dalla strada la figlia più grande e le facesse le commissioni. Salutandole chiese: - Rosa, cosa vuoi che ti porti?

E lei: - Un vestito color del cielo. - E tu, Giovannina?

- Un vestito color dei diamanti.

- E tu, Ninetta?

- Io voglio che vossignoria mi porti un bel ramo di datteri in un vaso d'argento. E se non me lo porta, che il bastimento non possa più andare né avanti né indietro.

- Ah, sciagurata, - le dissero le sorelle, - ma non sai che puoi mandare a tuo padre un incantesimo?

- Ma no, - disse il mercante, - non ve la prendete con lei, che è piccola e si deve lasciar dire.

Il mercante partì e sbarcò al posto propizio. Fece quel gran negozio, e poi pensò a comprare il vestito per Rosa e il vestito per Giovanna, ma del ramo di datteri per Ninetta si dimenticò. Quando s'imbarca e si trova in mezzo al mare, gli arriva una terribile tempesta: saette, lampi, tuoni, acqua, marosi, e il bastimento non poteva andare più avanti né indietro.

Il capitano si disperava. - Ma da dov'è uscito questo temporale? - Allora il mercante che s'era ricordato l'incantesimo della figlia disse: - Capitano, mi sono dimenticato di fare una commissione. Se vogliamo salvarci, voltiamo il timone.

Che è che non è, appena voltarono il timone il tempo cambiò, e col vento in poppa tornarono al porto. Il mercante scese, comprò il ramo di datteri, lo piantò in un vaso d'argento e tornò a bordo. I marinai alzan le vele, e in tre giorni di viaggio tranquillo il bastimento arrivò a destinazione.

Intanto, mentre il mercante era via, le tre ragazze stavano nella casa dalle porte murate. Non mancava loro niente, avevano anche un pozzo dentro il cortile cosicché potevan sempre prendere l'acqua. Accadde che un giorno, alla più grande delle sorelle cadde il ditale nel pozzo. E Ninetta disse: - Non vi angustiate, sorelle: calatemi nel pozzo e vi ripiglio il ditale.

- Scendere nel pozzo: scherzi? - le disse la più grande.

- Sì, voglio scendere a pigliarlo, - e le sorelle la calarono.

Il ditale galleggiava sul pel dell'acqua e Ninetta lo prese, ma rialzando il capo, vide un pertugio nella parete del pozzo, donde veniva luce. Tolse un mattone e vide di là un bel giardino, con ogni sorta di fiori, alberi e frutti. Si aperse un varco spostando i mattoni e s'infilò dentro il giardino, e là i meglio fiori e i meglio frutti erano tutti per lei. Se ne riempì il grembiule, rifece capolino in fondo al pozzo, rimise a posto i mattoni, gridò alle sorelle: - Tiratemi! - E se ne tornò su fresca come una rosa.

Le sorelle la videro uscir dalla bocca del pozzo col grembiule pieno di gelsomini e di ciliege. - Dove hai preso tante belle cose?

- Che ve ne importa? Domani mi calate di nuovo e prendiamo il resto.

Quel giardino era il giardino del Reuzzo del Portogallo. Quando vide saccheggiate le sue aiole, il Reuzzo cominciò a far lampi e saette contro il povero giardiniere.

- Non so niente, come può essere? - badava a dire il giardiniere ma il Reuzzo gli ordinò di stare più in guardia d'ora in poi, sennò guai a lui.

L'indomani Ninetta era già pronta per scendere nel giardino. Disse alle sorelle: - Ragazze, calatemi!

- Ma hai le traveggole, o hai bevuto?

- Non sono né pazza né ubriaca: calatemi -. E la dovettero calare.

Spostò i mattoni e scese nel giardino: fiori, frutti, una bella grembiulata e poi: - Tiratemi su! - Ma, mentre se ne andava, il Reuzzo s'era affacciato alla finestra e la vide saltar via come un leprotto; corse in giardino ma era già scappata. Chiamò il giardiniere: - Quella ragazza, per dov'è passata?

- Che ragazza, Maestà?

- Quella che coglie i fiori e i frutti nel mio giardino.

- Io non ho visto niente, Maestà, glielo giuro.

- Bene, domani, mi metterò alla posta io.

Difatti, l'indomani, nascosto dietro una siepe, vide la ragazza far capolino tra i mattoni, entrare, riempirsi il grembiule di fiori e frutti fino al petto. Salta fuori e fa per afferrarla, ma lei, svelta come un gatto, salta nel buco del muro, lo chiude con i mattoni ed è sparita. Il Reuzzo guarda il muro da tutte le parti ma non riesce a trovare un punto coi mattoni che si muovono. Aspetta l'indomani, aspetta un altro giorno, ma Ninetta, spaventata d'esser stata scoperta, non si fece calare più nel pozzo. Al Reuzzo quella ragazza era parsa bella come una fata: non ebbe più pace, cadde ammalato e nessuno dei medici del Regno ci capiva niente. Il Re fece un consulto con tutti i medici, i sapienti e i filosofi. Parla questo e parla quello, all'ultimo fu data la parola a un Barbasavio. - Maestà, - disse il Barbasavio, - chiedete a vostro figlio se ha una qualche simpatia per una giovine. Perché allora tutto si spiega.

Il Re fa chiamare il figlio e gli domanda: il figlio gli racconta tutto: che se non si sposa questa ragazza non può trovar pace. Dice il Barbasavio: - Maestà, fate tre giorni di feste a palazzo, e fate gridare un bando che tutti i padri e le madri d'ogni condizione vi portino le figlie, pena la vita -. Il Re approvò e proclamò il bando.

Intanto, il mercante era tornato dal viaggio, aveva fatto smurare le porte, e aveva dato i vestiti a Rosa e a Giovanna, e a Ninetta il ramo di datteri nel vaso d'argento. Rosa e Giovanna non vedevano l'ora che ci fosse un ballo e si misero a cucire i loro vestiti. Ninetta invece se ne stava chiusa col suo ramo di datteri e non pensava a feste né a balli. Il padre e le sorelle dicevano che era matta.

Quando fu gridato il bando, il mercante va a casa e lo dice alle figlie. - Che bello! Che bello! - dissero Rosa e Giovanna; ma Ninetta alzò le spalle e disse: - Andateci voialtri, che io non ne ho voglia.

- Eh no, figlia mia, - disse il padre, - c'è la pena di morte e con la morte non si scherza.

- E io che c'entro? Chi volete che sappia che avete tre figlie? Fate conto d'averne due.

E - Sì che devi venire! - e - No che non ci vengo, - la sera della prima festa da ballo Ninetta restò a casa.

Appena le sorelle se ne furono uscite, Ninetta si rivolse al suo ramo di datteri e gli disse: Gràttula-

Beddàttula (Nota 1 In siciliano: Gràttula: dattero; Beddàttula: contr. bedda gràttula: bel dattero.) , / Sali su e vesti Nina / Falla più bella di com'era prima.

A quelle parole, dal ramo di datteri uscì una fata, poi un'altra fata, e tante tante fate ancora. E tutte portavano vesti e gioielli senza uguale. Si misero intorno a Nina e chi la lavava, chi la strecciava, chi la vestiva: in un momento l'ebbero vestita di tutto punto, con le sue collane, i suoi brillanti e le sue pietre preziose. Quando fu un pezzo d'oro dalla testa ai piedi, si mise in carrozza, andò al palazzo, salì le scale, e fece restar tutti a bocca aperta.

Il Reuzzo la vide e la riconobbe; corse subito dal Re a dirglielo. Poi venne da lei, le fece la riverenza, le chiese: - Come state, signora?

- Come estate così inverno. - Come vi chiamate?

- Col mio nome.

- E dove state?

- Nella casa con la porta.

- In che strada?

- Nella vanedda (Nota 2 Vanedda: vicolo.) del polverone.

- Signora, voi mi fate morire!

- Fate pure!

E così gentilmente conversando ballarono tutta la sera, fino a lasciare il Reuzzo senza fiato, mentre lei era sempre fresca come una rosa. Finito il ballo, il Re, preoccupato per il figlio, senza farsi accorgere diede ordine ai suoi servitori che andassero dietro alla signora per vedere dove stava. Lei salì in carrozza, ma, quando s'accorse d'esser seguita, si sciolse le trecce e caddero sul selciato perle e pietre preziose. I servitori, come galline sul becchime, si buttarono sulle perle e, addio signora! Fece frustare i cavalli e sparì.

Arrivò a casa prima delle sorelle; disse: Gràttula-Beddàttula, / Scendi giù e spoglia Nina / Falla tal quale com'era prima.

E si trovò spogliata e vestita con la solita roba da casa.

Tornarono le sorelle: - Ninetta, Ninetta, sapessi che bella festa. C'era una bella signora che un po' t'assomigliava. Se non avessimo saputo che eri qua, l'avremmo scambiata per te...

- Sì, io ero qui con i miei datteri...

- Ma domani sera devi venire, sai...

Intanto i servi del Re tornarono a palazzo a mani vuote. E il Re: - Anime infide! Per un po' di quattrini tradite gli ordini! Se domani sera non la seguite fino a casa, guai a voi.

Neanche la sera dopo, Ninetta volle andar al ballo con le sorelle. - Questa diventa matta col suo ramo di datteri! Andiamo! - e se ne andarono. Ninetta si volse subito al ramo: Gràttula-Beddàttula, / Sali su e vesti Nina / Falla più bella di com'era prima.

E le fate la strecciarono, la vestirono con abiti di gala, la coprirono di gioie.

A palazzo tutti a guardarla con tanto d'occhi, specialmente le sorelle e il padre. Il Reuzzo le fu subito vicino. - Signora, come state?

- Come estate, così inverno.

- Come vi chiamate?

- Col mio nome, - e così via.

Il Reuzzo non se la prendeva, e la invitò a ballare. Ballarono tutta la sera.

- Madonna mia! - diceva una sorella all'altra, - quella signora è Ninetta sputata!

Mentre il Reuzzo l'accompagnava alla carrozza, il Re fece segno ai servi. Quando si vide seguita,

Ninetta tirò una manciata di monete d'oro: ma stavolta tirò in faccia ai servitori, e a chi ammaccò il naso, a chi tappò un occhio, così fece perdere le tracce della carrozza e li fece tornare a palazzo come cani bastonati, tanto che anche il Re n'ebbe pietà. Ma disse: - Domani sera è l'ultimo ballo: in un modo o nell'altro bisogna saper qualcosa.

Intanto Ninetta diceva al suo ramo: Gràttula-Beddàttula, / Scendi giù e spoglia Nina / Falla tal quale com'era prima.

In un batter d'occhio era cambiata e le sorelle arrivando le dissero ancora di come le assomigliava quella signora così ben vestita e ingioiellata.

La terza sera, tutto come prima. Nina andò a palazzo così bella e splendente come non era mai stata. Il Reuzzo ballò con lei ancora più a lungo, e si squagliava d'amore come una candela.

A una cert'ora Ninetta voleva andarsene, quando viene chiamata al cospetto del Re. Tutta tremante, va e gli fa l'inchino.

- Ragazza, - dice il Re, - m'hai preso in giro per due sere, alla terza non ci riuscirai. - Ma cosa ho mai fatto, Maestà?

- Hai fatto che mio figlio si consuma per te. Non credere di sfuggire.

- E quale sentenza mi aspetta?

- La sentenza che diventerai la moglie del Reuzzo.

- Maestà, io non ho la mia libertà: ho padre e due sorelle maggiori.

- Sia chiamato il padre.

Il povero mercante, quando si sentì chiamare dal Re, pensò: "Chiamata di Re, tanto buona non è"

(Nota 3 Proverbio siciliano.) , e gli venne la pelle d'oca perché aveva parecchi imbrogli sulla coscienza. Ma il Re gli fece grazia d'ogni sua mancanza e gli chiese la mano di Ninetta per suo figlio. L'indomani aprirono la cappella reale, per le nozze del Reuzzo e di Ninetta.

Loro restarono felici e contenti / E noi siam qui che ci freghiamo i denti.


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