Folk Tale

Sfortuna

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta si racconta che c'era sette figlie tutte femmine, figlie d'un Re e d'una Regina. Venne una guerra al padre; perdette, gli levarono il trono e fu preso prigioniero. Prigioniero il Re, la famiglia traversò tempi brutti: la Regina per risparmiare lasciò il palazzo; si ridussero in una casupola; tutto andava a rovescio; trovavano da mangiare per miracolo. Un bel giorno passa un fruttivendolo; la Regina lo chiama per comprare un po' di fichi; mentre sta comprando i fichi passa una vecchia e le chiede l'elemosina. - Ah, Madre grande! - dice la Regina, - potessi, altro che la carità vi farei: ma sono una poveretta anch'io, non posso.

- E com'è che siete poveretta? - le domanda la vecchia.

- Non sapete? Sono la Regina di Spagna, caduta in bassa fortuna per la guerra che fecero a mio marito!

- Meschinella, avete ragione. Ma la sapete la causa per cui tutto vi va a rovescio? Avete in casa una figlia che è proprio sfortunata, e finché la terrete in casa non potrà mai venirvi bene.

- E che dovrei mandar via una mia figlia, ora?

- Eh, sissignora.

- E chi è questa figlia sfortunata?

- Quella che dorme con le mani in croce. Stanotte andatele a guardare con la candela mentre dormono: quella che trovate con le mani in croce, dovete mandarla via. Solo così riguadagnerete i regni perduti.

A mezzanotte la Regina prende la candela e passa davanti ai letti delle sette figlie. Tutte dormono chi con le mani giunte, chi con le mani sotto la guancia, chi con le mani sotto il guanciale. Arrivò all'ultima, che era la più piccina: e la trovò che dormiva con le mani in croce. - Ah, figlia mia! Proprio te devo mandar via!

Mentre diceva questo, la figlia piccola si risveglia e vede la madre con la candela in mano e gli occhi lagrimosi. - Mammà, che avete?

- Niente, figlia mia. Venne una vecchia, così e così, e mi disse che avrò bene soltanto quando manderò via di casa la figlia sfortunata che dorme con le mani in croce... E questa sfortunata sei tu!

- E per questo piangete? - disse la figlia. - Io ora mi vesto e me ne vado -. Si vestì, fece un fagotto delle sue cose e se ne andò.

Cammina, cammina, arrivò a una landa solitaria, dove sorgeva soltanto una casa. S'avvicinò, sentì il rumore d'un telaio, e vide delle donne che tessevano.

- Vuoi entrare? - disse una delle tessitrici. - Sissignora.

- Come ti chiami?

- Sfortuna.

- E ci vuoi servire?

- Sissignora.

E si mise a scopare e a fare i servizi della casa. Alla sera le donne le dissero: - Senti, Sfortuna: noi la sera usciamo, e ti chiudiamo da fuori, tu poi ti chiuderai da dentro. Quando torniamo noi apriremo da fuori e tu aprirai da dentro. E devi badare che non ci rubino la seta, i galloni e la tela che abbiamo tessuto -. E se ne andarono.

Venne la mezzanotte, e Sfortuna intese uno scroscio di forbici, andò al telaio con una candela e vide una donna con le forbici che tagliava dal telaio tutta la tela d'oro: e capì che era la sua Mala Sorte che l'aveva seguita fin lì. Alla mattina tornarono le padrone: loro aprirono da fuori, lei da dentro. E appena entrate videro per terra quello scempio. - Ah, svergognata! Quest'è la ricompensa per averti ospitato! Va' via! Fuori! - E la cacciarono con una pedata.

Sfortuna camminò per la campagna. Prima d'entrare in un paese, si fermò davanti a una bottega di pane legumi vino ed altre cose. Domandò la carità; e la padrona della bottega le diede pane e toma, e un bicchiere di vino. Tornò il marito, n'ebbe compassione e disse di tenerla anche la sera e di farla dormire in bottega, in mezzo ai sacchi. I padroni dormivano di sopra, e nella notte sentirono un fracasso e si levarono: le botti erano stappate e il vino correva la casa. Il marito, a quel disastro, cercò la ragazza e la trovò sui sacchi che si lamentava come in sogno. - Svergognata! Questo non puoi esser stata che tu a farlo! - E cominciò a bastonarla con una stanga; poi la mandò via.

Senza sapere dove andare a sbattere, Sfortuna corse via piangendo. A giorno incontrò nella campagna una donna che lavava.

- Che hai da guardare? - Sono spersa.

- E sai lavare?

- Sissignora.

- Allora resta a lavare con me; io insapono e tu risciacqui.

Sfortuna incominciò a sciacquare i panni e poi a stenderli. Man mano che asciugavano li andava raccogliendo. Poi si mise a rammendare, poi a inamidare, e da ultimo a stirarli.

Bisogna sapere che questi panni erano del Reuzzo. Quando il Reuzzo li vide, gli parvero una cosa bella davvero. - Gnà Francisca, - disse, - quando mai m'avete lavato così bene i panni! Stavolta vi meritate una mancia -. E le diede dieci onze.

La Gnà Francisca con quelle dieci onze vestì Sfortuna bella pulita, comprò un sacco di farina, fece il pane, e insieme agli altri pani ne fece due bucellati, pieni d'anice e sesamo, che dicevano mangiami mangiami. Disse a Sfortuna: - Con questi due pani bucellati, va' alla riva del mare e chiama la mia Sorte, così: Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa!, per tre volte. Alla terza volta s'affaccerà la mia Sorte, tu le darai un pane bucellato e la saluterai da parte mia. Poi fatti insegnare dove sta la tua Sorte, e fa' lo stesso con lei.

Sfortuna, passo passo, andò alla riva del mare.

- Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa! Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa! Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa! - e la Sorte della Gnà Francisca venne. Sfortuna le fece l'ambasciata e le diede il pane bucellato. Poi le disse: - Sorte della Gnà Francisca, Vossignoria mi vuole fare la carità d'insegnarmi dove sta la mia Sorte?

- Sta' a sentire: prendi per questa trazzera (Nota 1 Trazzèra (dial. siciliano): "quasi tracciera, viottolo mulattiere".) , va' avanti un pezzo, troverai un forno; vicino allo scopazzo (Nota 2 Scupazzu (dial. siciliano): "la fossa dello spazzaforno".) c'è una vecchia strega, pigliala con le buone, dàlle il pane bucellato: è la tua Sorte. Vedrai che non lo vorrà, ti farà degli sgarbi: tu lasciaglielo e vieni via.

Sfortuna andò al forno, trovò la vecchia e quasi le venne schifo a veder quant'era sporca, cisposa e puzzolente. - Sorticella mia, vogliate favorire, - le fece, offrendole il pane.

E la vecchia: - Va' via, va' via! Chi t'ha chiesto del pane! - e le voltò la schiena. Sfortuna posò lì il bucellato e se ne tornò a casa della Gnà Francisca.

L'indomani era lunedì, giorno di bucato: la Gnà Francisca metteva i panni a mollo e poi li insaponava; Sfortuna li stropicciava e li risciacquava, e dopo, quand'erano asciutti, li rammendava e li stirava. Una volta stirati, la Gnà Francisca li mise in un canestro e li portò a Palazzo. Il Reuzzo come li vide, - Gnà Francisca, - disse, - a me non la date a bere; un bucato così voi non l'avete fatto mai, - e le diede dieci onze di mancia.

La Gnà Francisca comprò altra farina, fece altri due bucellati e mandò Sfortuna a portarli alle loro Sorti.

Al bucato seguente, il Reuzzo, che si doveva maritare e ci teneva a che i panni fossero ben lavati, diede alla Gnà Francisca una mancia di venti onze. E la Gnà Francisca stavolta non comprò solo la farina per due pani, ma per la Sorte di Sfortuna comprò una bella veste col guardinfante, la gonnella, i fazzoletti fini e un pettine, della pomata pei capelli e altre cianfrusaglie.

Sfortuna andò al forno. - Sorticella mia, eccoti il bucellato.

La Sorte, che si stava ammansendo, venne brontolando a prendere il pane; allora Sfortuna le si buttò addosso, l'afferrò e si mise a lavarla con spugna e sapone, a pettinarla, a rivestirla da capo a piedi. La Sorte, dopo essersi divincolata come un serpente, quando si vide bella pulita in quel modo, cambiò da così a così. - Senti, Sfortuna, - disse, - per il bene che m'hai fatto ti regalo questo marzapanetto (Nota 3 Marzapaneddu (dial. siciliano): diminutivo di marzapani, scatolino.) , - e le diede uno scatolino piccolo come quelli dei cerini.

Sfortuna volò a casa dalla Gnà Francisca e aprì lo scatolino. C'era dentro un palmo di gallone. Restarono un po' deluse. - Oh! S'è proprio buttata via! - dissero e ficcarono il gallone in fondo a un canterano.

La settimana dopo, quando la Gnà Francisca portò il bucato al Palazzo, trovò il Reuzzo con la faccia scura. La lavandaia col Reuzzo era in confidenza e gli disse: - Che hai, Reuzzo?

- Cos'ho! Ho che mi devo sposare e ora si scopre che all'abito di nozze della mia fidanzata manca un palmo di gallone, e in tutto il Regno non si trova del gallone uguale.

- Aspetta, Maestà, - fece la Gnà Francisca. Corse a casa, frugò nel canterano e portò quel pezzo di gallone al Reuzzo. Lo confrontarono con quello dell'abito da sposa: era compagno.

Il Reuzzo disse: - Per avermi levato da una tale confusione, ti voglio pagare questo gallone a peso d'oro.

Prende una bilancia: da una parte mette il gallone, dall'altra l'oro. Ma l'oro non bastava mai. Riprova con una stadera: lo stesso.

- Gnà Francisca, - disse alla lavandaia, - ditemi la verità. Come mai un pezzetto di gallone pesa tanto?

Di chi è?

La Gnà Francisca fu costretta a raccontare tutto e il Reuzzo volle vedere Sfortuna. La lavandaia fece vestire la ragazza per benino (a poco a poco avevano messo da parte un po' di roba) e la portò a Palazzo. Sfortuna entrò nella stanza reale e fece una bella riverenza; era figlia di regnante e non era certo l'educazione che le mancava. Il Reuzzo la salutò la fece sedere e poi le chiese: - Ma tu, chi sei?

E Sfortuna allora: - Io sono la figlia minore del Re di Spagna, quello che fu cacciato dal suo trono e preso prigioniero. La mia mala ventura m'ha fatto andare spersa per il mondo soffrendo sgarbi, disprezzi e bastonate, - e gli raccontò tutto.

Il Reuzzo, prima cosa, fece chiamare le tessitrici a cui la Mala Sorte aveva tagliato seta e galloni. - Quanto vi sono costati quei danni?

- Duecent'onze.

- Eccovi duecent'onze. Sappiate che questa povera giovane che avete battuto è figlia di regnanti. Tenetevelo per detto. Avanti!

E fece chiamare i padroni della bottega cui la Mala Sorte aveva spillato le botti. - E voi che danno avete avuto?

- Trecent'onze...

- Eccovi trecent'onze. Ma un'altra volta prima di dare bastonate a una figlia di regnanti, pensateci due volte. Via!

Licenziò la fidanzata di prima e si sposò con Sfortuna. Per Dama di Corte le diede la Gnà Francisca.

Lasciamo gli sposi contenti e felici e prendiamo la madre di Sfortuna. Dopo la partenza della figlia, la ruota cominciò a girare in suo favore: e un giorno arrivò suo fratello e i suoi nipoti alla testa di una forte armata e le riconquistarono il Regno. La Regina e i suoi figli tornarono a impalazzarsi al loro vecchio palazzo e riebbero tutte le comodità; ma c'era quel pensiero della figlia minore che non ne sapevano più poco né tanto. Ma intanto il Reuzzo, saputo che la madre di Sfortuna aveva riguadagnato il suo Regno, mandò gli Ambasciatori a dirle che sua figlia l'aveva sposata lui. La madre tutta contenta si mise in viaggio con Cavalieri, e Dame di Corte. Con Cavalieri e Dame di Corte la figlia le mosse incontro dalla sua parte. S'incontrarono al confine e s'abbracciarono per ore e ore, con le sei sorelle intorno tutte commosse e una gran festa nell'uno e nell'altro Regno.


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