Folk Tale

Caterina la Sapiente

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU891
LanguageItalian
OriginItaly

Qua si racconta, Signori, che c'era una volta a Palermo un gran negoziante. E questo gran negoziante aveva una figlia, che, quando fu svezzata, le venne una sapienza tale che su ogni cosa che succedeva in casa aveva da dire la sua. Il padre, vedendo il talento della figlia, la chiamava "Caterina la Sapiente". A studiare ogni sorta di lingue, a leggere ogni sorta di libri, non c'era chi le stesse pari.

A sedici anni le morì la madre; la ragazza ne provò tanto dolore che si chiuse nella sua stanza e non volle più uscire. Mangiava là dentro, dormiva là dentro; per lei non esistevano più né passeggio, né teatro, né divertimento.

Il padre, che non vedeva che per gli occhi di quell'unica figlia, pensò fosse il caso di tenere un

Consiglio. Chiamò tutta la Signoria (perché sebbene fosse negoziante, aveva amicizia con le meglio persone) e disse: - Signori, voi sapete che ho una figlia che è la pupilla dei miei occhi. Ma da che è morta sua madre, sta chiusa in casa come un gatto, e non vuole metter fuori neanche la punta del naso.

Il Consiglio rispose: - Vostra figlia è per l'universo mondo nominata per la sua gran sapienza. Apritele un gran collegio, ché facendo studiare gli altri, forse potrà togliersi questo pensiero dalla testa.

- L'idea mi piace, - disse il padre. Chiamò la figlia. - Senti, figlia mia, visto che non vuoi nessuna distrazione, ho pensato di aprirti un collegio, e tu ne sarai padrona. Ti piace?

Caterina fu subito d'accordo. Si mise a dirigere lei stessa i maestri e allestirono il collegio. Misero fuori un cartello: Chi vuole andare a studiare da Caterina la Sapiente, c'è scuola franca.

Ci vennero subito tanti ragazzi, maschi e femmine, e lei li faceva sedere nei banchi uno vicino all'altro senza usar riguardo per nessuno. Dice: - Ma quello è un carbonaio! - E non fa niente: il carbonaio si deve sedere a fianco della figlia del Principe. Chi primo viene, primo macina il grano. E cominciò la scuola. Caterina la Sapiente aveva una sferza coi chiodi in punta. Insegnava a tutti uguale, ma a chi non le portava la lezione, giù frustate. La nomea di questa scuola arrivò fino a Palazzo, e anche il Reuzzo ci volle andare. Si veste in gran tenuta, entra, trova un posto e Caterina lo fa sedere. Quando toccò a lui, Caterina gli chiese un problema. Il Reuzzo non sapeva rispondere. Pum! Gli menò un manrovescio che gli brucia ancora la guancia.

Il Reuzzo s'alza rosso di rabbia, corre via, sale a Palazzo e va da suo padre. - Grazia, Maestà! Mi voglio sposare! Voglio in moglie Caterina la Sapiente.

Il Re manda a chiamare il padre di Caterina. Il padre va. - Ai vostri comandi, Maestà! - Alzati! Mio figlio s'è incapricciato di tua figlia. Cosa dobbiamo fare? Sposiamoli.

- Come volete, Maestà. Ma io sono mercante e vostro figlio è sangue reale.

- Non fa niente: è mio figlio che la vuole...

Il mercante tornò a casa. - Caterina, c'è il Reuzzo che ti vuole in moglie. Tu che dici?

- Io lo piglio.

La lana per i materassi non gli mancava, i canterani nemmeno: di lì a otto giorni tutto l'occorrente era preparato. Il Reuzzo le mise insieme un seguito di dodici donzelle. Aprirono Cappella Reale e si sposarono.

Dopo lo sposalizio, la Regina disse alle donzelle d'andare a spogliare la Reginella e metterla a dormire. Ma il Reuzzo disse: - Non c'è bisogno di gente che spogli né che vesta, né di guardie dietro la porta -. Rimasto così solo con la sposa, le disse: - Caterina, ti ricordi di quel manrovescio che m'hai dato? Ti sei pentita?

- Pentita? Se volete, ve ne do un altro! - Come? Non sei pentita?

- Manco per sogno.

- E non ti vuoi pentire?

- E chi ci pensa?

- Ah, così? Ora ti faccio vedere io -. E comincia a preparare una corda per calarla nel trabocchetto. Quando la corda fu pronta: - Caterina, o ti penti, o ti calo nel trabocchetto!

- Ci starò più fresca! - gli fa Caterina.

E il Reuzzo la prende e la cala nel trabocchetto, senz'altra compagnia che un tavolino, una sedia, una brocca d'acqua e una fetta di pane sopra.

L'indomani, il padre e la madre, come s'usa, vennero a dare la "ben levata" alla sposa. - Non si può entrare, - disse il Reuzzo, - Caterina non si sente bene.

Poi andò ad aprire il trabocchetto. - Come hai passato la notte?

- Bella fresca, - rispose Caterina.

- Ci pensi al manrovescio che m'hai dato?

- Penso a quello che vi devo dare.

Passarono due giorni, e la fame cominciava a tirarla pei capelli. Non sapendo cosa fare, si tolse una stecca dal busto e si mise a fare un buco nel muro. Scava, scava, dopo ventiquattr'ore cominciò a vedere un filo di luce, e si sentì rivivere. Allargò il pertugio e ci mise l'occhio. Vide passare lo scrivano di suo padre. - Don Tommaso! Don Tommaso! - Don Tommaso non capiva cosa potesse essere questa voce che veniva dal muro. - Sono io: Caterina la Sapiente. Dite a mio padre che gli voglio parlare ora ora.

Don Tommaso tornò col padre di Caterina e le mostrò quel punto del muro. - Padre mio, è questa la mia sorte, sono in fondo a un trabocchetto. Dovete far scavare un passaggio dal sotterraneo del nostro palazzo fin qua, con un architrave e un lampione ogni venti passi, e poi lasciate fare a me.

Il negoziante disse di sì e intanto cominciò a farle avere attraverso quel pertugio galline, galletti, pietanze sostanziose.

Tre volte al giorno il Reuzzo s'affacciava al trabocchetto: - Caterina, ti sei pentita dello schiaffo che m'hai dato?

- Pentirmi di cosa? Pensate piuttosto allo schiaffo che vi darò.

Intanto i mastri lavoravano a scavare il passaggio sotterraneo, con un architrave e un fanale ogni venti passi. Appena fu pronto, Caterina, ogni volta che il Reuzzo dopo essersi affacciato richiudeva il trabocchetto, se ne passava a casa di suo padre.

Dopo un po' di giorni, il Reuzzo cominciò ad averne basta di quella storia. Aperse il trabocchetto. - Caterina, io vado a Napoli. Non hai niente da dirmi?

- Tanto piacere, divertitevi, quando arrivate scrivetemi. - Allora vado?

- Come? Ancora lì siete?

E il Reuzzo partì.

Appena egli ebbe richiuso il trabocchetto, Caterina corse da suo padre. - Papà, questa è la volta che mi dovete aiutare. Mi serve un brigantino pronto per partire, una governante, cameriere, abiti di gala, tutto da mandare a Napoli. Là affittino un palazzo in faccia al palazzo reale e aspettino me.

Il negoziante fece partire il brigantino. Il Reuzzo intanto fece preparare una fregata da guerra e partì anche lui. Quand'ella, dal balcone di suo padre, vide il Reuzzo che partiva, s'imbarcò su un altro brigantino e fu a Napoli prima di lui: i bastimenti piccoli, si sa, camminano più dei grossi.

A Napoli, Caterina s'affacciava al balcone del suo palazzo, sfoggiando ogni giorno un vestito più bello. Il Reuzzo la vide ed esclamò: - Come assomiglia a Caterina la Sapiente! - e se ne innamorò. Mandò un ambasciatore. - Signora, il Reuzzo vi vorrebbe far visita, se solo non vi scomoda.

- Padrone! - lei rispose.

Venne il Reuzzo in gran tenuta, fecero molte cerimonie, poi si sedettero a conversazione. Disse il Reuzzo: - E voi, Signora, siete ancora da sposare?

- Ancora da sposare. E voi?

- Anch'io. Ve l'ho a dire? Voi, Signora, somigliate a una ragazza che mi piaceva a Palermo. Vi vorrei per moglie.

- Ne ho gran piacere, Reuzzo -. E di lì a otto giorni si sposarono.

Dopo nove mesi Caterina fece un bambino maschio che era una bellezza. - Reginella, - chiese il Reuzzo, - che nome gli mettiamo?

- Napoli, - disse Caterina. E gli misero nome Napoli.

Passarono due anni. Il Reuzzo voleva partire. Alla Reginella la cosa non garbava, ma lui volle partire a tutti i costi. Le fece una carta che diceva che il bambino era suo primogenito e a suo tempo doveva essere Re. E partì per Genova.

Appena il Reuzzo fu partito, Caterina scrisse a suo padre che mandasse subito a Genova un brigantino carico di mobili, una governante, cameriere, e tutto il resto, che affittassero un palazzo in faccia al palazzo reale di Genova e aspettassero lei. Il negoziante caricò un brigantino e lo mandò a Genova.

Anche Caterina prese un brigantino e andò a Genova prima del Reuzzo. S'installò nel palazzo di Genova e quando il Reuzzo vide questa bella giovane pettinata alla reale, con gioielli e ricchezze, esclamò: - Come assomiglia a Caterina la Sapiente e anche a mia moglie di Napoli! - e le mandò un ambasciatore. Lei si dichiarò contenta di riceverlo.

Si misero a far conversazione. - Ma voi siete da sposare? - chiese il Reuzzo.

- Vedova, - rispose Caterina. - E voi?

- Anch'io vedovo. Con un figlio. Ma sapete che voi assomigliate come una stampa a una Signora che conoscevo a Palermo e a una Signora che conoscevo a Napoli?

- Non sapete? Al mondo siamo in sette ad assomigliarci! (Nota 1 A lu munnu setti nn'avemu a 'ssmigghiari: "lo dice il popolo per una sentenza tradizionale".) .

E così, per farla breve, dopo otto giorni erano marito e moglie.

Dopo nove mesi, Caterina fece un altro maschietto, più bello del primo. Il Reuzzo era felice. - Reginella, che nome gli mettiamo?

- Genova! - E Genova lo chiamarono.

Passarono due anni e al Reuzzo tornò il ghiribizzo di partire.

- Partite, e mi lasciate così con un figlio tra le braccia? - gli disse la Reginella.

- Vi faccio una carta, - la rassicurò il Reuzzo, - che questo è figlio mio ed è il Principino -. Mentre lui faceva i preparativi della partenza per Venezia, Caterina scrisse a Palermo al padre per un altro brigantino, con cameriere, governante, mobili, abiti nuovi e tutto. Il brigantino andò a Venezia. Partì il Reuzzo, sulla fregata; la Reginella partì sul brigantino e arrivò prima di lui.

- Santo cielo! - esclamò il Reuzzo appena vide la bella Signora affacciata al finestrone. - Anche questa assomiglia tutta alla mia moglie di Genova che assomigliava tutta alla mia moglie di Napoli che assomigliava tutta a Caterina la Sapiente! Ma come può essere? Caterina è a Palermo chiusa nel trabocchetto; quella di Napoli è a Napoli, quella di Genova è a Genova, e questa è a Venezia... - Le mandò l'ambasciatore e poi andò a trovarla.

- Ma sapete, Signora, che assomigliate a tante signore che conosco: una a Palermo, una a Napoli, una a Genova...

- Eh! In sette dobbiamo assomigliarci a questo mondo...

E così continuarono la solita conversazione: - Siete da sposare?... - No, sono vedova. E voi?... - Vedovo anch'io... Con due figli... - E dopo otto giorni si sposarono.

Stavolta Caterina ebbe una femminuccia, bella come il sole e la luna. - Che nome le mettiamo? - chiese il Reuzzo.

- Venezia -. E Venezia fu battezzata.

Passarono ancora due anni. - Sapete, Reginella, io devo tornare a Palermo. Ma prima di partire vi lascerò una carta così e così: che questa è figlia mia ed è Principessa reale.

Partì, ma Caterina arrivò a Palermo prima di lui. Andò a casa di suo padre, passò per il sotterraneo e tornò nel trabocchetto. Il Reuzzo, appena arrivato, corse ad aprire il trabocchetto. - Caterina, come stai?

- Io? Bene!

- Ti sei pentita di quello schiaffo che m'hai dato?

- E voi ci avete pensato a quello schiaffo che vi devo dare?

- Pentiti, Caterina, sai! Se no mi risposo!

- E risposatevi! Chi vi trattiene?

- Se invece ti penti, tornerai a essere mia moglie.

- No.

Il Reuzzo allora dichiarò che sua moglie era morta e che voleva risposarsi. Scrisse ai Re che gli mandassero i ritratti delle loro figlie. I ritratti arrivarono; il migliore era quello della figlia del Re d'Inghilterra. Il Reuzzo le mandò a dire che venissero madre e figlia, per concludere il matrimonio.

Arrivò a Palermo tutta la famiglia reale d'Inghilterra e l'indomani c'era il matrimonio. Caterina, intanto, cosa fa? Fa preparare tre begli abiti alla reale ai suoi tre bambini Napoli, Genova e Venezia. Lei si veste da regina qual era, si prese per mano Napoli vestito da reuzzo e Genova e Venezia vestiti da principe e principessa e in carrozza di gala andò a Palazzo.

Veniva il corteo nuziale col Reuzzo e la figlia del Re d'Inghilterra, e Caterina disse ai suoi bambini: - Napoli, Genova, Venezia, andate a baciare la mano a vostro padre! - E i bambini corsero a baciare la mano del Reuzzo.

Al Reuzzo, quando li vide, non restava che dichiararsi vinto. - Questo sì è lo schiaffo che mi dovevi dare! - esclamò, e abbracciò i figli. La Principessa d'Inghilterra ci restò di sale: prese la porta e se ne andò.

Caterina spiegò al marito tutto il mistero delle signore somiglianti, e il Reuzzo non finiva di chiederle perdono.

Così restarono felici e contenti / E noi siam qua che ci arrotiamo i denti.


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