Folk Tale

Padron di ceci e fave

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU545
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta a Palermo un certo Don Giovanni Misiranti, che a mezzogiorno si sognava il pranzo e alla sera la cena, e di notte se li sognava tutti e due. Un giorno, con la fame che gli allungava le budella, uscì fuori porta. "O Sorte mia! - diceva fra sé, - così m'hai abbandonato!" Camminando, vide per terra una fava. Si chinò a raccoglierla. Si sedette su un paracarro e cominciò a ragionare guardando la fava. "Che bella fava! Ora la pianto in un vaso, e verrà su una pianta di fave, con tanti bei baccelli. I baccelli li farò seccare; poi pianterò le fave in un catino e ne avrò tanti baccelli... Di qui a tre anni, prendo in affitto un orto, pianto le fave e vedrete quante ne verranno. Al quarto anno affitto un magazzino e divento un grande negoziante..."

Intanto aveva ripreso a camminare ed era arrivato fuori Porta Sant'Antonino. C'era una fila di magazzini e davanti a un uscio sedeva una donna. - Buona donna, s'affittano questi magazzini?

- Signorsì, - gli rispose la donna, - chi è che li cerca?

- Il mio padrone, - fa lui. - Con chi si deve trattare?

- Con la Signora che sta quassù.

Don Giovanni Misiranti si mise a pensare, e andò a trovare un suo compare.

- Per San Giovanni, - disse al compare, - non mi dovete dir di no. Prestatemi un vostro vestito per ventiquattr'ore.

- Signorsì, compare -. E Don Giovanni Misiranti si vestì di tutto punto fino ai guanti e all'orologio.

Poi andò da un barbiere a farsi radere, e tutto bello lustro, uscì da Porta Sant'Antonino. Nel taschino del panciotto s'era messo la fava, e ogni tanto le dava una guardata di sottecchi. Vide la donna sempre là seduta e le disse: - Buona donna, è a voi che il mio servitore ha chiesto dei magazzini da affittare?

- Sissignore: è venuto per vederli? Venga con me, che l'accompagno dalla moglie del mio padrone.

Don Giovanni Misiranti, tutto impettito, segue la donna e si presenta alla padrona dei magazzini. La Signora, vedendo un gentiluomo con tanto di cappello, guanti e catena d'oro, gli fece molti complimenti e cominciarono a discorrere. Sul più bello entrò una bella signorina. Don Giovanni Misiranti aperse tanto d'occhi. - È vostra parente? - chiese alla Signora.

- È mia figlia.

- Da sposare?

- Sì, ancora da sposare.

- Ne ho piacere: sono da sposare anch'io.

Dopo un po' fa: - A me pare che, concluso il contratto dei magazzini, dobbiamo passare a quello della figlia. Che ne dice la Signora?

E la Signora rispose: - Tutto può succedere...

Venne il marito. Don Giovanni s'alzò e fece un inchino: - Io sono padrone di terre, - disse, - e vorrei affittare i vostri tredici magazzini per riempirli di fave, ceci e tutto il resto del raccolto. E, se non vi dispiace, vorrei anche vostra figlia in moglie.

- Ah. E come vi chiamate?

- Io mi chiamo: "Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti".

- Allora, Don Giovanni, datemi ventiquattr'ore di tempo e avrete una risposta.

Alla sera, la madre prese da parte la figlia e le disse che la voleva Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. La figlia tutta contenta disse sì.

L'indomani Don Giovanni tornò dal suo compare e si fece prestare un altro vestito, e per prima cosa, passò la fava nel taschino del nuovo panciotto. Andò a casa dei padroni dei magazzini, e quando ebbe la risposta, toccò il cielo col dito.

- Allora, vorrei sbrigarmi, - disse, - perché le mie molte occupazioni non mi permettono di perder tempo.

- Signorsì, Don Giovanni, - dissero i genitori della ragazza, - vi andrebbe di stendere il contratto tra una settimana?

Don Giovanni continuò tutti quei giorni a farsi prestare vestiti sempre diversi e i suoceri lo credevano molto ricco. Firmarono il contratto, e la dote fu fissata in duemila onze di moneta d'oro in contanti, lenzuola e biancheria. Quando si vide tanti danari davanti, Don Giovanni si sentì un altr'uomo. Cominciò a spendere: regali per la sposa, e per sé vestiti e tutto quel che ci voleva per far bella figura.

Dopo otto giorni dal contratto, andò a nozze con un bel vestito da sposo, e la fava nel taschino del panciotto. Diedero feste e banchetti e Don Giovanni faceva una vita da barone. La suocera, a vedere questo scialo che non finiva più, cominciò a preoccuparsi: - Don Giovanni, quando la portate mia figlia a visitare i vostri feudi? È la stagione del raccolto.

Don Giovanni cominciò a confondersi: non sapeva più che scusa trovare. Si scervellava e tratto di tasca il suo portafortuna: - Sorte mia, - diceva, - qui mi devi aiutare ancora.

Fece preparare una bella lettiga per la sposa e la suocera e disse: - È tempo di partire. Andiamo verso Messina. Io vado avanti a cavallo, e voi mi venite dietro.

Don Giovanni partì a cavallo. Quando vide un luogo che gli sembrava facesse al caso suo, chiamò un contadino. - Tieni dodici tarì (Nota 1 Tarì (dial. siciliano): "antica moneta, equivalente a centesimi 42 di lira" (Pitrè).) : appena vedi venire una lettiga con due signore, se ti domandano di chi sono queste terre gli devi dire: "Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti".

Passò la lettiga. - Buon uomo, di chi sono tutte queste belle terre?

- Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti.

La madre e la figlia sorrisero compiaciute e continuarono il viaggio.

In un altro feudo, successe lo stesso; Don Giovanni andava avanti battendo la strada a pezzi da dodici tarì, con la fava nel taschino che era tutta la sua fortuna.

Arrivato dove non c'era più niente da vedere, Don Giovanni si disse: "Ora cerco una locanda e le aspetto". Si guarda intorno, e vede un gran palazzo, con una Madamigella vestita di verde affacciata alla finestra.

- Pss, pss! - fece la Madamigella, e gli fece cenno di salire.

Don Giovanni prese su per gli scaloni e aveva quasi paura di sporcarli tant'erano puliti e lucenti. Gli venne incontro la Madamigella, e indicando con un gran gesto tutti i lampadari, i tappeti, le mura d'oro zecchino disse: - Ti piace il palazzo?

- Figuriamoci se non mi piace! - disse Don Giovanni. - Ci starei bene anche da morto, qua dentro...

- Sali, sali su, - e gli fece fare il giro dei quartieri: dappertutto c'erano gioielli, pietre preziose, drappi fini, roba che Don Giovanni non se l'era nemmeno mai sognata.

- La vedi tutta questa roba? È tutta tua. Sappitela guardare. Qua ci sono gli incartamenti. È un regalo che ti faccio. Io sono la fava che tu hai raccolto e conservato nel taschino. Adesso me ne vado.

Don Giovanni stava per buttarlesi ai piedi e dirle tutta la sua gratitudine, ma la Madamigella vestita di verde non c'era più: era sparita sotto i suoi occhi. Invece il bel palazzo c'era sempre ed era suo, di lui Don Giovanni Misiranti.

Appena la suocera vide il palazzo: - Ah, figlia mia, che gran sorte ti è toccata! Don Giovanni, figlio caro, un così bel palazzo avevate e non ce l'avete mai detto!

- Eh! Volevo farvi una sorpresa... - E così le portò a visitare il palazzo, ed era la prima volta che lo vedeva anche lui, e mostrò i gioielli, e gli incartamenti dei feudi, e poi un sotterraneo pieno d'oro e d'argento con la pala piantata in mezzo, poi le scuderie con tutte le carrozze, e infine passarono in rivista i lacchè e tutta la servitù.

Scrissero al suocero che vendesse tutto e venisse anche lui al palazzo, e Don Giovanni mandò una mancia anche a quella buona donna che aveva trovato seduta davanti ai magazzini.


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