Folk Tale

Erbabianca

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU882
LanguageItalian
OriginItaly

Si conta e si racconta a lorsignori che c'era una volta e c'era un Re e una Regina. La Regina ogni figlio che faceva era una femmina. Il Re, che desiderava un maschio, s'arrabbiò e disse: - Se fai un'altra femmina, te l'ammazzo.

La povera moglie, angustiata, finì per mettere al mondo proprio un'altra femmina, ma così bella come non se n'erano mai viste. Per timore che il marito gliel'ammazzasse, disse alla comare: - Se la prenda vossignoria, questa creatura, e ne faccia quel che meglio crede.

La comare la prese e si disse: "Che posso fare io d'una bambina?" e andata in aperta campagna, la posò su un cespuglio d'erba bianca (Nota 1 Erva bianca (dial. siciliano): Artemisia arborescens L., sorta di assenzio.) .

In quella campagna stava un eremita. Nella sua grotta l'eremita aveva una cerva che stava nutrendo i cerbiattini appena nati. Ogni giorno, la cerva usciva per cercarsi da mangiare. Quella sera, quando la cerva tornò nella grotta, i cerbiattini cercarono di succhiare il latte, ma le mammelle della cerva erano vuote e i cerbiattini restarono a bocca asciutta. Lo stesso si ripeté il giorno dopo, e il giorno dopo ancora: i cerbiattini stavano morendo di fame. L'eremita, che ne aveva compassione, si mise dietro alla cerva, e vide che il latte andava a darlo a una bambina che stava in un cespuglio d'erba bianca. L'eremita prese in braccio la bambina, e se la portò nella grotta. Disse alla cerva: - Nutriscila qua, e dividi il tuo latte tra lei e i tuoi cerbiatti -. A poco a poco, la bambina si svezzò, e cresceva, e più cresceva più era graziosa. Faceva i servizi all'eremita, e l'eremita le s'era affezionato come a una figlia.

Una volta un altro Re andava a caccia e sul più bello si smuove una tempesta: acqua, tuoni, vento; il Re non trova altro riparo che la grotta dell'eremita. Vedendo entrare il Re tutto bagnato, chiamò: - Erbabianca! Erbabianca! Porta una sedia, accendi il fuoco, diamo soccorso a Sua Maestà!

Il Re disse: - Erbabianca? Che nome è questo, buon romito?

E l'eremita gli raccontò di come aveva trovato la bambina in un cespuglio d'erba bianca, e così l'aveva chiamata.

Appena vide la ragazza, il Re disse: - Romito, me la vuoi dare, che me la porto a Palazzo? tu sei vecchio, come può restare così sola in campagna questa bambina? Io le do dei maestri che le insegnino... - Maestà, - disse l'eremita, - io alla bambina voglio bene e per il suo bene ho piacere che vada a Palazzo, perché l'educazione che le può dare Sua Maestà non è certo quella che le può dare un povero romito.

Il Re salutò l'eremita, prese in sella Erbabianca e la portò con sé. A Palazzo la assegnò a due dame di corte, perché la educassero. Quando poté conoscere i meriti della ragazza, disse: - La miglior cosa che posso fare è prenderla per moglie e farla diventare Regina -. La sposò, e Erbabianca diventò Regina del Regno.

Tant'era l'amore del Re per la moglie che ne era come pazzo. E un giorno le disse: - Erbabianca, sono costretto a partire: ma il doverti lasciare anche per poco è una cosa che mi dà un dolore che non posso dirti.

Il Re partì. Una sera, fuori del suo Regno, si trovava in compagnia di Principi e di Cavalieri, e ognuno si mise a lodare la propria moglie. - Tutti vantate le vostre, - disse il Re, - ma una moglie come la mia, non la può aver nessuno.

Gli si rivolse uno di quei Cavalieri: - Maestà, se volete fare una scommessa, vado a Palermo, e vi faccio vedere che per tutto il tempo in cui voi mancate, io faccio conversazione con vostra moglie.

- Non può essere, - rispose il Re, - non può essere!

- Scommettiamo? - insistette il Cavaliere.

- E scommettiamo, - disse il Re.

Stabilirono la posta: un feudo. Stabilirono il termine: un mese. E il Cavaliere partì. A Palermo, si mise a passeggiare giorno e notte sotto le finestre del palazzo reale. Passavano i giorni e non era riuscito neanche a veder affacciata una volta la Regina: le finestre erano sempre chiuse.

Un giorno era lì che passeggiava triste in volto, quando s'avvicinò una vecchia a chiedergli l'elemosina. Lui le disse: - Vattene, non mi seccare!

- Cos'ha, signore, da esser così triste? - gli domandò la vecchia.

- Vattene, lasciami stare.

- Me lo dica, signore, chissà che non la possa aiutare...

Allora il Cavaliere le disse della scommessa, e che voleva penetrare nel palazzo, o almeno sapere che figura avesse la Regina.

- Vossignoria si metta l'animo in pace: penso io a tutto.

La vecchia preparò un paniere con uova e frutta, andò a Palazzo e chiese di parlare alla Regina.

Quando fu sola con la Regina, l'abbracciò e le disse in un orecchio: - Figlia mia, tu non mi conosci, ma io ti sono parente: ho il piacere di portarti queste poche cose.

La Regina non conosceva la sua parentela, perciò la vecchia poteva esserle benissimo parente. Così le diede confidenza, la fece abitare a Palazzo e diede ordine che fosse rispettata. La vecchia poteva entrare a qualsiasi ora nella stanza della Regina e fare tutto quello che voleva.

Un giorno, mentre la Regina stava dormendo, la vecchia entrò nella sua stanza. S'avvicinò al letto, sollevò un poco la coperta e sulle spalle nude della Regina vide che c'era un bellissimo neo. La vecchia allora, con una forbicina, tagliò i peluzzi che spuntavano dal neo e li conservò: e tutta soddisfatta s'allontanò dal Palazzo. Quando il Cavaliere ebbe in mano questi peluzzi e apprese dalla vecchia la descrizione di come la Regina era, non stette più nei suoi panni dalla contentezza. Ricompensò la vecchia con una buona somma di danaro e si mise in viaggio. Il giorno stabilito si presentò al Re e agli altri Cavalieri, anch'essi impazienti di sentire chi avrebbe vinto. Il Cavaliere parlò: - Maestà, scusatemi di quello che sto per dirvi. È vero o non è vero che vostra moglie è così e così... e ne descrisse minutamente la figura.

- Sì, è così, - rispose il Re, - ma questo non significa nulla. Sarete riuscito a informarvi di queste cose, ma non a trattare con lei in persona.

- Allora, Maestà, ascoltatemi: è vero o non è vero che vostra moglie ha un neo sulla spalla sinistra?

Il Re impallidì: - Ebbene, sì.

Il Cavaliere porse al Re un medaglione: - Maestà, mi duole dirvi che questa è la prova che ho vinto la scommessa, - e il Re tremante vide nel medaglione i peluzzi del neo della Regina. Chinò il mento sul petto, in silenzio.

Senza porre tempo in mezzo il Re fece ritorno al suo palazzo. La Regina, felice di rivederlo dopo una così lunga assenza, gli venne incontro ridendo. Il Re non l'abbracciò, né le rivolse cenno di saluto. Diede ordine d'attaccare i cavalli a una carrozza e disse alla moglie: - Sali, - e salì anch'egli al suo fianco prendendo le redini.

La Regina, senza capire, lo guardava e interrogava con apprensione, ma il Re non diceva nulla. Arrivati alle falde del Monte Pellegrino, il Re fermò i cavalli e disse: - Scendi -. La Regina smontò di carrozza e il Re, senza smontare, le vibrò un colpo di frusta che la stese al suolo. Poi fece ripartire i cavalli al galoppo e scomparve.

Quel giorno, un medico e sua moglie, che dovevano adempiere ad un voto fatto per la nascita d'un loro figlio, salivano al Santuario di Santa Rosalia. Dietro veniva un loro schiavo moro, detto Alì. Giunti alle falde del Monte Pellegrino, intesero un lamento. - Chi sarà? - disse il medico, e avvicinandosi a quel punto trovarono una giovane gettata in terra, ferita, più morta che viva. Il medico la fasciò alla meglio e disse alla moglie: - Per oggi, lasciamo perdere il nostro viaggio e cerchiamo di portar aiuto a questa giovane; portiamocela a casa e vediamo di farla guarire.

Così fecero. Ospitata e curata dal medico e da sua moglie, la giovane tornò in salute; ma per quante domande le facessero non volle mai raccontare come era successa la sua disgrazia, né quale era stato il suo passato. Ciononostante la moglie del medico, contenta d'aver trovato una giovane così buona e virtuosa, prese a volerle molto bene e la teneva come cameriera.

Un giorno il medico disse alla moglie: - Cara, è tempo che manteniamo la nostra promessa a Santa Rosalia; lasciamo la bambina con la cameriera, e partiamo con Alì.

La mattina dopo partirono per tempo, mentre ancora la cameriera e la bambina dormivano. Dopo un po' di strada, Alì si batté una mano sulla fronte: - Padrone, Alì dimenticare! Niente cesto colazione!

- Corri subito a prenderlo! - disse il padrone. - Noi ti aspettiamo qui.

Bisogna sapere che questo schiavo, vedendo come i suoi padroni avevano preso a voler bene alla cameriera, aveva sortito un odio mortale per quella povera giovane. E ora, questo essersi dimenticato il cesto della colazione era stato un suo espediente. Tornato di corsa a casa, trovò la giovane e la bambina che dormivano ancora. S'avvicinò con un coltellaccio e sgozzò la bambina. Poi corse via a raggiungere i suoi padroni.

La giovane, quando si svegliò, e si sentì bagnata di sangue, e vide la bambina sgozzata accanto a sé: - Ah, che sciagura! - gridò. - Ah quei poveri genitori! E me meschina! Cosa potrò io dir loro? - E presa da spavento, aperse una finestrella e scappò di casa correndo via per la campagna. Era una pianura deserta. E in mezzo alla pianura, raggiunse un antico palazzo mezzo diroccato. La giovane entrò: non c'era anima viva. Vide un vecchio sofà sfondato e, sfinita dallo spavento e dalla corsa, ci si buttò sopra e cadde addormentata.

Lasciamo la giovane che dorme, e prendiamo quel Re che non voleva figlie femmine. Col tempo, la moglie gli aveva raccontato che la figlia che le era nata non era vero che fosse morta, ma che l'aveva data alla comare e non ne aveva saputo più nulla. Il Re non s'era più potuto dare pace e un giorno aveva detto: - Moglie mia, io me ne vado e farò ritorno a casa solo quando avrò saputo qualcosa di mia figlia -. Cammina cammina, la notte lo colse in una pianura deserta. Vide un antico palazzo mezzo diroccato ed entrò.

Lasciamo questo padre in cerca della figlia, e pigliamo il Re che aveva cacciato la moglie sulle falde del Monte Pellegrino. Più ci pensava e più gli venivano dubbi e rimorsi. "E se quel Cavaliere avesse mentito? se mia moglie fosse stata innocente?... Sarà viva? Sarà morta? Io in questo palazzo senza di lei non ho pace; mi metterò in giro per il mondo, e non farò ritorno finché non avrò trovato sue notizie".

Cammina cammina, la notte lo colse in una pianura deserta. Vide un antico palazzo mezzo diroccato ed entrò. C'era già un altro Re seduto su una poltrona che si stava riposando. Gli si sedette vicino.

Lasciamo quel Re e prendiamo il medico. Tornato dal suo viaggio, entra in casa aspettandosi di trovare la sua bambina ed ecco che trova la casa deserta e la bambina ammazzata. Il suo primo pensiero, prima di tutto, fu di dire allo schiavo: - Alì, la troveremo anche in capo al mondo e l'ammazzeremo quella scellerata, come lei ci ha ammazzato la nostra bambina!

E si mise in cammino. In una pianura deserta la notte lo colse vicino a un vecchio palazzo mezzo diroccato. Entra, e c'erano due Re seduti su due poltrone vicine. Il medico e Alì si sedettero su altre due poltrone di fronte a loro. Così restarono, tutti e quattro muti, immersi ognuno nei propri pensieri.

In mezzo alla stanza c'era un fanale. E il fanale disse: - Voglio olio.

Allora se ne venne nella stanza un oliarello (Nota 2 Ogghialureddu (dial. siciliano): "diminutivo d'ogghialòru, utello, boccetta da serbarvi l'olio".) . E l'oliarello disse al fanale: - Dài, scendi.

Il fanale s'abbassò, e l'oliarello gli versò l'olio. Poi l'oliarello disse al fanale: - Non mi conti niente?

- Che vuoi che ti racconti? - disse il fanale. - Una cosa da raccontarti ce l'avrei.

- E contamela.

- Senti, - disse il fanale, - c'era un Re che non volendo più figlie femmine aveva detto a sua moglie che se le nasceva un'altra femmina l'ammazzava. La moglie, per salvare la bambina, la fece sparire. Sta' a sentire: questa bambina quando fu grande, sposò un Re; questo Re, per l'inganno d'un Cavaliere, la portò a Monte Pellegrino, le diede un colpo e la lasciò per terra. Si trovò a passare di lì un medico, e il medico sentì un lamento...

Man mano che il fanale andava avanti nel racconto gli uomini seduti nelle poltrone alzarono il capo a uno a uno, spalancarono gli occhi e stavano a sentire con continui sobbalzi, e intanto Alì tremava come un merlo.

- Sta' a sentire, - continuava il fanale, - quel medico s'avvicinò con la moglie al luogo da cui veniva il lamento, e chi vide? una bellissima giovane stesa in terra, ferita. Se la portò a casa e le affidò la sua bambina. C'era uno schiavo che portava odio a questa giovane, e cosa fece? ammazzò la bambina, per far cadere la colpa su di lei...

- Meschina giovane! - disse l'oliarello. - E dov'è ora? È viva o morta?

- Sss... - disse il fanale, - è là di sopra, coricata su di un divano, che dorme. Ci sono il Re suo padre ed il Re suo marito che la vanno cercando, pentiti tutti e due del male che le hanno fatto. E c'è il medico che la va cercando per ammazzarla perché crede che sia l'assassina della sua creatura.

Il Re padre, il Re marito e il medico s'erano alzati. Il medico subito afferrò Alì, appena in tempo per impedirgli di scappare. Gli si buttarono addosso tutti e tre e lo squartarono.

Poi corsero di sopra e si buttarono in ginocchio davanti al divano sul quale dormiva Erbabianca. - Il Re padre disse: - È mia! È mia figlia!

Il Re marito disse: - È mia! È mia moglie!

Il medico disse: - È mia! Le ho salvato la vita!

Finì per averla vinta il Re marito che invitò a Palazzo il Re padre e il medico a una gran festa per il ritrovamento di sua moglie, e li tenne come parenti.


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