Folk Tale

I due negozianti di mare

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU400
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta c'erano due compari. Uno dei due aveva un figlio, l'altro niente; e tutti e due amavano questo figlio con tutto il cuore. Erano negozianti di mare, negozianti forti, che giravano tutti i regni. Un giorno aveva da partire il compare senza figli, per le sue mercanzie; e mentre si preparava per la partenza, il figlio dell'altro compare si mise a pregare il padrino che lo portasse con sé, a impratichirsi del mare e dei negozi, e a pregare il padre che lo lasciasse andare col padrino. Il padre non voleva, il padrino nemmeno, ma il figlio tanto li pregò che finirono per concedergli di partire con un bastimento che avrebbe navigato insieme a quello del padrino.

Mentre erano in alto mare, ecco che si scatena una tempesta; ed era una tempesta così forte, che i due legni si persero di vista. Il legno dov'era il padrino si salvò; quello dov'era il giovane andò a fondo e tutti gli uomini annegarono. Il giovane, fortunatamente, si mise a cavallo d'una tavola e nuotò, nuotò, finché non toccò terra. Là a terra, solo, si mise a girare sconsolato, e s'addentrò in un bosco abitato da fiere, e la notte, per timore delle fiere, la passò in cima a una quercia. Il giorno, visto che non c'erano più bestie in giro, scese e camminò per il bosco, finché non arrivò in un punto in cui il bosco era attraversato da un'alta muraglia, di cui non si vedeva né la fine né il principio. Aiutandosi coi rami degli alberi, il giovane riuscì ad arrampicarsi in cima al muro e vedere cosa c'era dall'altra parte. C'era una città e quelle mura erano state alzate per difendersi dalle bestie feroci.

Di lassù in cima, il giovane, come meglio poté, riuscì a scendere ed entrò in città. "Adesso andrò a far la spesa, per mettere qualcosa sotto i denti", pensò e prese una strada fiancheggiata da botteghe. Entrò da un panettiere, domandò del pane, ma il panettiere non rispose. Entrò da un salumaio, domandò del salame, ma il salumaio non rispose. Girò tutte le botteghe, ma nessuno gli dava retta.

"Adesso vado a protestare dal Re!", si disse il giovane e andò a Palazzo reale. - Si può entrare dal Re? - chiese alla sentinella. E la sentinella: zitta. Affannato, disperato perché nessuno gli parlava, il giovane entrò nel Palazzo e si mise a girare per le camere. Trovò la camera più bella di tutte con un Real Letto, un Real Comodino, un Real Lavamano e si disse: "Visto che nessuno mi dice niente, io me ne andrò a dormire".

Subito saltarono fuori due belle damigelle, e tutte in silenzio, gli prepararono una tavola, gli servirono cena. Lui mangiò, poi andò a dormire.

Così cominciò per lui una bella vita in quella città silenziosa. Una notte, mentre dormiva in quel Letto Reale, vide apparirgli vicino, accompagnata dalle due damigelle, una giovane di meraviglioso aspetto, tutta velata, che gli chiese: - Hai coraggio e fermezza?

E lui rispose: - Sì.

E lei: - Se hai coraggio e fermezza ti paleserò il mio segreto. Sappi che io sono la figlia dell'Imperatore Scorzone, e mio padre prima di morire ha incantato questa città, con tutti gli uomini, la servitù, l'esercito e me compresa; e questo incantesimo è custodito da un Mago. Ma se tu starai con me tutte le notti per un anno intero senza mai guardarmi e senza palesare il mio segreto ad anima viva, l'incantesimo della città finirà, ed io resterò Imperatrice e tu Imperatore, acclamato da tutto questo popolo.

E il giovane: - Ho coraggio e fermezza.

Ma dopo qualche giorno egli le disse che per poter stare un anno tranquillo al suo fianco doveva prima andare a salutare suo padre, sua madre e suo padrino, e le assicurò che sarebbe subito tornato. L'Imperatrice era dubbiosa se lasciarlo partire, ma lui tanto la pregò che gli fece preparare un bastimento, vi fece caricare un po' dei suoi tesori, e gli consegnò un bastone: - Con questo bastone, comanda, e ti troverai subito dove vorrai. Ma ricordati di non palesare a nessuno il mio segreto.

Il giovane salì sul bastimento, batté il bastone, e si trovò nel porto della città di suo padre. Diede ordine di portare i suoi tesori alla migliore locanda e lì prese alloggio. - Conoscete un negoziante di mare? - domandò alla gente.

- In questa città ce ne sono due, - gli risposero, - due compari, forti negozianti, ma però ora sono ridotti all'elemosina.

- E come può essere?

- Deve sapere che il figlio d'uno dei due compari s'è perso in mare, e il padre, non volendo credere che si fosse perso per disgrazia, ne diede la colpa al suo compare, e gli fece causa, e nella causa tutti e due si ridussero in miseria.

Il giovane, sentito questo discorso, mandò a chiamare suo padre. Il padre non lo riconobbe. Il figlio disse: - Avrei piacere di fare un commercio con voi e col vostro compare, visto che siete pratici di negozi di mare.

- È impossibile, - rispose il padre, - perché tanto io che il mio compare abbiamo fatto fallimento per causa d'una causa, per mio figlio che il mio compare m'ha perso.

- Non importa, - disse il giovane, - tutti i capitali ce li metto io.

E fece subito preparare una gran tavolata, e invitò a pranzo anche l'altro compare e le due mogli. Quando si ritrovarono faccia a faccia nella locanda, i due compari e anche le loro mogli si guardarono male, da quei nemici che erano diventati. Cominciarono a mangiare, ma i due compari, dalla rabbia che avevano l'uno contro l'altro, non riuscivano a mandare giù un boccone. Allora, il giovane prese una forchettata dal suo piatto, e la porse a suo padre, dicendo: - Padre mio, accettate questo boccone, che ve lo dona il vostro figlio che è qui presente sano e salvo.

Tutti balzano in piedi. Come impazziti di contentezza, cominciarono ad abbracciarsi, a baciarsi, piangendo dall'allegria. Il giovane divise i suoi tesori tra il padre e il padrino perché continuassero i loro negozi. E poi: - Adesso vi saluto, perché devo ripartire.

- E dove vai? - gli chiese la madre.

- Questo non te lo posso dire.

Ma la madre prese a pregarlo e a ripregarlo, finché lui non le spiegò della figlia dell'Imperatore

Scorzone, che lui non poteva vedere quant'era bella.

E la madre: - Senti, io ti do una candela delle tenebre (Nota 1 'na cannila di trevani (dial. di Palazzo-

Adriano): "una candela di cera delle tenebre (della Settimana Santa) ".) e quando lei dorme, accendi la candela e guarda le sue bellezze.

Il giovane salì sul bastimento, batté il bastone e si ritrovò al porto della città dell'Imperatore Scorzone. Andò a Palazzo reale e ritrovò la figlia dell'Imperatore che l'aspettava. La sera si coricarono, e il giovane non vedeva l'ora di guardare la sua bellezza. Mentre lei dormiva, lui prese la candela, l'accese, e cominciò a scoprire la ragazza. Ma la candela scolò una goccia di cera, e cadde sulla pelle di lei, scottandola. Si svegliò. - Traditore! Tu hai palesato il mio segreto! Così non mi potrai più liberare!

- O povero me! Ma io voglio ancora cercare di liberarti! Non c'è altro mezzo?

- Devi andare nel bosco, combattere col Mago che custodisce l'incantesimo e ammazzarlo!

- Sì. E quando l'ho ammazzato?

- Spaccagli la pancia; ci troverai un coniglio. Spacca il coniglio; ci troverai una colomba. Spacca la colomba; ci troverai tre uova. Queste tre uova devi conservarle come le pupille degli occhi tuoi e portarle qui sane e salve. Così sarà liberata la città e tutti noi saremo salvi: se no resteremo incantati per sempre e tu con noi. Tieni questo bastone e va' a combattere!

Il giovane partì, armato di bastone. Trovò una mandria di vacche, coi mandriani e il padrone della vaccaria. Chiese al padrone: - Vossignoria mi vuol dare un pezzo di pane? Mi sono sperso in questa contrada.

Il padrone della vaccaria gli diede da mangiare e lo tenne con sé a fare il mandriano. Un giorno disse ai mandriani: - Dovete portare le vacche al pascolo nel feudo, ma badate di non lasciarle entrare nel bosco, perché ci abita un Mago che ammazza non solo i cristiani ma anche le vacche.

Il giovane andò con la mandria e quando le vacche furono vicine al bosco, con urli e colpi di bastone le fece entrare tutte nel bosco. Il padrone si mise le mani nei capelli. - E adesso chi va nel bosco a far tornare le vacche?

Nessuno dei mandriani ci voleva andare. Il padrone mandò il mandriano nuovo con un altro ragazzo. Entrarono nel bosco, e il ragazzo era pieno di paura.

Vedendo le vacche nel bosco, il Mago s'infuriò e venne avanti con in mano un bastone di ferro con sei punte di bronzo incatenate in cima. Il ragazzo se la faceva addosso dalla paura, e si nascose in una macchia. Il giovane invece attese il Mago a piè fermo.

- Traditore! Come osi venire a danneggiare la mia selva!

- Non solo vengo a danneggiare la tua selva, ma a danneggiare pure la tua vita! - e cominciarono a far battaglia.

Si batterono tanto, per tutta la giornata, che alla fine erano stanchi tutt'e due ma nessuno dei due era ancora ferito. E il Mago disse: Se avessi una zuppa di pane e vino / Ti squarterei come un suino!

E il giovane: Se avessi una zuppa di pane e latte / Ti spaccherei in due parti esatte!

Allora si salutarono, e fissarono di continuare il combattimento l'indomani. Il giovane si riprese le vacche e le ricondusse alla vaccaria insieme al ragazzo.

A vederli tornare sani e salvi, tutti rimasero a bocca aperta, e il ragazzo raccontò il gran combattimento che c'era stato tra il mandriano nuovo e il Mago, e le cose che s'erano dette, e che il Mago avrebbe voluto una zuppa di pane e vino e il giovane una zuppa di pane e latte. Allora il padrone ordinò che per l'indomani si preparasse un secchio di pane e latte e il ragazzo se lo portasse dietro e lo tenesse pronto.

Così condussero di nuovo le vacche nel bosco, ricomparve il Mago e ricominciarono il combattimento. Quando furono sul più bello il Mago disse: Se avessi una zuppa di pane e vino / Ti squarterei come un suino!

Ma una zuppa di pane e vino non ce l'aveva. Invece il giovane disse: Se avessi una zuppa di pane e latte / Ti spaccherei in due parti esatte! e subito il ragazzo gli porse il secchio di pane e latte. Il giovane ne prese una mestolata, se la cacciò in bocca e subito diede una bastonata in testa al Mago che lo fece cascare in terra morto.

Spacca la pancia del Mago e trova il coniglio, spacca il coniglio e trova la colomba, spacca la colomba e trova le tre uova. Prese le tre uova, le conservò per bene e tornò con le vacche alla vaccaria. Lo ricevettero in trionfo. Il padrone voleva che restasse lì nei suoi poderi, ma lui disse che non poteva trattenersi e, anzi, gli faceva un regalo del bosco del Mago. E se ne andò.

Arrivato alla città silenziosa, andò a Palazzo reale. Gli corse incontro quella bella giovane, lo prese per mano e lo portò nel gabinetto segreto dell'Imperatore Scorzone suo padre, prese la corona da Imperatore e gliela mise in capo dicendogli: - Tu sii l'Imperatore e io sia l'Imperatrice -. E incoronato che fu se lo portò sul balcone. Prese le tre uova e gli disse: - Buttane una a dritta, una a manca e l'altra davanti a te.

Appena le uova furono gettate, tutta la gente cominciò a parlare, a gridare, e da quel silenzio si passò a un gran clamore, le carrozze presero a correre, l'esercito si mise a fare gli esercizi, le sentinelle si dettero il cambio e tutti insieme, popolo e truppa, gridarono: - Evviva il nostro Imperatore! Evviva la nostra Imperatrice! - E loro restarono Imperatore e Imperatrice per tutta la vita, e noialtri poveri meschini come prima.


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