Folk Tale

Il Capitano e il Generale

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU612
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta in Sicilia un Re che aveva un figlio. Questo figlio sposò la Principessa Teresina. Finita la festa, il Reuzzo si sedette nella sua stanza tutto malinconico e impensierito. - Cos'hai? - chiese la sposa.

- Ho, Teresina mia, che dobbiamo fare un giuramento: quando il primo di noi due morrà, l'altro deve stare a vegliarlo per tre giorni e tre notti chiuso nella tomba.

- Se non è che questo! - disse la sposa. Prese la spada, e baciarono la croce che c'era sull'elsa, in segno di giuramento.

Dopo un anno, la Principessa Teresina cadde malata e morì. Il Reuzzo le fece fare un gran funerale, e la sera prese la spada, due pistole, un sacchetto di monete d'oro e d'argento; andò in chiesa e si fece calare dal sagrestano nella tomba. Disse al sagrestano: - Di qui a tre giorni vieni a sentire: se busso, aprimi; e se a sera non avrò ancora bussato, vorrà dire che non torno più -. E gli dette cent'onze di mancia.

Chiuso nella tomba il Reuzzo accese la torcia, aperse la bara e si mise a piangere guardando la sua sposa morta. E così passò la prima notte. Alla seconda, si sentì un fruscio in fondo alla tomba, e venne fuori un enorme ferocissimo serpente, seguito da una nidiata di serpentucci. Il serpente feroce si gettò sulla giovane morta a fauci spalancate, ma il Reuzzo puntò la pistola, sparò e gli ficcò una palla in testa stendendolo morto. I serpentucci, allo sparo, si voltarono e guizzarono via. Il Reuzzo restò lì nella tomba, col serpente morto ai piedi della bara, e dopo un po' vide i serpenti piccoli che tornavano, e ognuno portava in bocca una manciata d'erba. Strisciarono intorno al serpente morto e gli misero l'erba chi sulla ferita, chi in bocca, chi sugli occhi, e chi gliela strofinò sul corpo. Il serpente riaperse gli occhi, si mosse, ed era bell'è guarito. Si voltò e scappò, seguito dai suoi serpentucci.

Il Reuzzo s'affrettò a prender l'erba lasciata lì dai serpenti, la mise tra le labbra della moglie, gliene cosparse il corpo. E la moglie prese a respirare, a riacquistar colore, e s'alzò. Disse: - Ah, quant'ho dormito!

S'abbracciarono e subito cercarono il pertugio da cui erano entrati i serpenti: era un pertugio abbastanza grande perché potessero strisciare fuori pure loro. Sbucarono in un prato, tutto pieno di quell'erba delle serpi, e il Reuccio ne fece un gran fascio e con quello partirono. Andarono a Parigi in Francia, e affittarono un palazzo vicino al fiume.

Dopo un po' di tempo, il Reuzzo pensò di farsi mercante. Lasciò la moglie con una donna di retti costumi che l'aiutasse nelle cose di casa, e, comprata una nave, partì. Disse che sarebbe stato di ritorno tra un mese, e per segnale, quando la nave sarebbe stata in vista del palazzo, avrebbe sparato tre cannonate a salve.

Appena fu partito, passò per via un Capitano delle truppe napoletane, e vide Teresina alla finestra. Cominciò a farle inchini e riverenze, ma Teresina si ritirò. Allora il Capitano chiamò una vecchia: - Nonna mia, se mi fate fare una conversazione con la bella giovane che sta in quel palazzo, ci sono duecent'onze per voi!

La vecchia andò a trovare Teresina e le disse che l'aiutasse, per carità, perché in casa sua volevano fare un pignoramento. - Ho una cassa piena di roba, - le disse, - e me la vogliono sequestrare: Vossignoria sarebbe così buona da conservarmela in casa sua?

Teresina acconsentì, e la vecchia fece portare la cassa. Alla sera, dalla cassa saltò fuori il Capitano. Afferrò la signora, la rapì e se la portò sul bastimento. Andarono a Napoli, e Teresina, dimenticandosi il marito, s'accontentò di far da moglie al Capitano.

Dopo un mese, la nave del marito risalì il fiume, sparò tre cannonate, ma non vide la moglie affacciarsi al balcone. Quando trovò la casa vuota, senza un cenno per lui, vendette tutta la sua mercanzia e girò il mondo, finché non giunse a Napoli; e s'arruolò soldato. Un giorno il Re fece una rivista di gala, e sfilarono tutte le truppe. I Capitani sfilavano a braccetto delle mogli. E il Reuzzo soldato riconobbe Teresina, a braccetto del suo Capitano. Anche Teresina riconobbe tra i soldati il Reuzzo, e disse: - Guarda, Capitano, c'è mio marito là tra i soldati; come faccio?

Il Capitano se lo fece indicare: era uno della sua compagnia, che da poco era stato nominato Furiere. Il Capitano fece un invito a casa sua a tutti i suoi sottufficiali: caporali e furieri. Fecero un pranzo, ma Teresina non si fece vedere. Mentre mangiavano, il Capitano fece mettere una posata d'argento in tasca al giovane Furiere. Manca la posata: la si cerca, e chi l'ha in tasca? Quel povero innocente. Consiglio di guerra: il povero Furiere è condannato alla fucilazione. Tra i soldati del plotone, il Furiere aveva un suo amico. Gli diede un po' d'erba dei serpenti e gli disse: - Quando mi sparate, cerca di fare una gran fumata. Mentre i soldati fanno il portat'armi! tu mettimi quest'erba in bocca e sulle ferite e lasciami lì.

Fu fucilato. In mezzo al fumo l'amico gli riempì la bocca d'erba. Il Reuzzo risuscitò, s'alzò e se ne andò via carponi.

La figlia del Re di Napoli da tempo era malata e arrivò quasi a morire: non c'erano medici che potessero guarirla. Il Re gettò un bando per tutto il Regno: Chiunque venga e faccia star bene mia figlia se è scapolo gliela do in moglie; se è sposato lo faccio Principe.

Vestito da dottore, il Reuzzo si presentò a Palazzo reale. Attraversò un salone tutto pieno di medici preoccupati; vide la malata che era già più morta che viva: diede l'ultimo respiro e morì. Il Reuzzo disse: - Maestà, vostra figlia è già morta, ma io ho un mezzo che può ancora guarirla. Però voglio stare solo con lei.

Gli fu concesso. Allora trasse di tasca un po' di quell'erba, e la mise in bocca e nel naso della morta. E la figlia del Re tornò a respirare e fu subito sana. Il Re disse: - Be', dottore, ora sei mio genero.

E il Reuzzo: - Maestà, mi perdoni, io sono già sposato.

- Allora che grazia vuoi? - gli chiese il Re.

- Maestà, voglio essere il Generalissimo di tutti i Reggimenti.

- Sì, ti sia concesso -. E il Re fece fare due grandi feste; la prima per la guarigione della figlia e la seconda per la nomina del Generalissimo.

Alla sua festa, il Generalissimo invitò tutti i Capitani. C'era anche il Capitano che gli aveva portato via la moglie. E il Generalissimo gli fece infilare in tasca una posata d'oro. Così il Capitano, trovato con la posata in tasca, fu cacciato in prigione.

Il Generalissimo lo andò a interrogare. - Capitano, sei scapolo o sposato?

- Signor Generale, - disse il Capitano, - a dir la verità non sono sposato.

- E quella signora che era con voi?

E in quel momento essa comparve, ammanettata, in mezzo a due soldati, e gridava: - No, no, il

Capitano m'ha rapita da casa nostra, io non t'ho mai dimenticato...

Ma fu inutile. Il generale diede la sentenza di bruciarli tutti e due con una camicia di pece. E così, dopo tanti stenti e travagli, restò solo, Generalissimo di tutti i Reggimenti.


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