Folk Tale

Il Re vanesio

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

C'era un Re; si credeva d'esser bello. Aveva uno specchio e sempre gli diceva: Specchio mio bello giocondo / Dimmi chi è / Più bello di me al mondo.

Sua moglie per un po' lo lasciò dire, poi, non sopportando più d'avere un marito tanto vanesio, sentendolo ripetere quei versi, disse: Ma zittisciti un po', Re, / Che pur ci sarà / Chi è più bello di te.

Il Re scattò in piedi e disse: - Ti do tempo tre giorni: o mi dici chi è più bello di me, o ti faccio tagliar la testa.

La Regina si pentì subito di quel che aveva detto, ma era troppo tardi, e si sentiva già la scure del boia sul collo. Disperata, si ritirò nelle sue stanze e per due giorni pianse ininterrottamente. Al terzo giorno aperse la finestra per godersi ancora il sole finché ne aveva tempo. Per la strada, c'era una vecchia che pareva aspettasse: - Maestà, fatemi l'elemosina! - disse.

- Lasciami stare, buona vecchia, - disse la Regina, - ne ho abbastanza dei miei guai. E la vecchia, abbassando la voce, le disse: - So tutto. E vi posso aiutare.

La Regina la guardò. - Sali, - disse.

La vecchia salì nel palazzo. - Cosa sai? - le disse la Regina.

- So tutto quel che v'ha detto il Re. - E ci può esser salvezza per me?

- Signorasì.

- Parla, ti darò quel che vuoi.

- Non voglio niente. Statemi a sentire. A mezzogiorno, presentatevi a tavola col Re. E domandategli una grazia. "La grazia della vita?", chiederà lui. "No", direte voi. "Allora vi sia concessa", dirà lui. E voi gli direte: "Più bello di voi c'è il figlio dell'Imperatore di Francia, conservato sotto sette veli".

La Regina seguì a puntino i consigli della vecchia, e il dialogo si svolse proprio come lei aveva detto.

Il Re non batté ciglio. - Se davvero il figlio dell'Imperatore di Francia è più bello di me, - disse alla moglie, - tu farai di me quello che vuoi -. In capo a tre giorni, il Re prese un po' d'esercito e partì per la Francia. Si presentò all'Imperatore e gli disse che voleva vedere suo figlio.

- Mio figlio ora dorme, - disse l'Imperatore a bassa voce, - ma venite.

Lo portò nella stanza del figlio e tirò il primo velo. Si vide trapelare una luce. Tirò il secondo velo e la luce crebbe. Tirò il terzo, il quarto e la luce si faceva sempre più splendente, invadeva la stanza, e ormai anche gli ultimi veli venivano tolti a uno a uno e crescevano le fiamme della sua bellezza finché il Reuzzo apparve sul suo trono, con lo scettro in mano e la spada alla cintura, così bello che il Re cadde in terra svenuto. Subito gli fecero fiutare aceto e acque odorose e l'Imperatrice lo fece portare nei suoi quartieri. Il Re rinvenne e rimase lì tre giorni per riaversi del tutto.

Il Reuzzo disse al padre: - Papà, prima che questo Re se ne vada, gli voglio parlare.

Il Re fu introdotto e stavolta, fatto più forte, non svenne. Si misero a discorrere, e a un certo punto il Reuzzo gli disse: - Ma tu mi vorresti vedere a casa tua?

- Fosse mai possibile! - disse il Re.

E il Reuzzo: - Se vuoi rivedermi prendi queste tre palle d'oro, e buttale in un bacile d'oro pieno di latte netto e puro. Io comparirò in tua presenza come qui mi vedi.

Tornato il Re a casa, disse alla moglie: - Sono qua. Ora puoi fare di me quello che vuoi.

E la moglie disse: - Che tu sia benedetto.

Il Re le raccontò tutto e le mostrò le tre palle d'oro. Ma il dispiacere per la sua illusione perduta e l'impressione per la bellezza del Reuzzo erano stati così forti che non poté reggere allo struggimento, e in pochi giorni morì.

La Regina, dopo che il Re fu seppellito, chiamò la cameriera più fidata e le disse: - Portami tre quartucci di latte puro e lasciami sola -. Preparò il bacile col latte, gettò le tre palle d'oro e subito affiorò la spada, poi lo scettro, poi venne fuori il Reuzzo si rituffò nel latte e sparì.

L'indomani la Regina mandò a prendere ancora del latte fresco e tornò a vedere il Reuzzo, e così seguitò per molti giorni, finché la cameriera non si stancò e si disse: "Qui ci dev'essere una magia o un brutto imbroglio".

E l'indomani, quando la Regina la mandò a prendere il latte, ruppe un bicchiere di cristallo, lo pestò nel mortaio fine fine, e buttò questa polvere di vetro nel latte. Quando la Regina buttò le tre palle d'oro, cominciò ad uscire lo scettro ed era tutto insanguinato, apparve il Reuzzo, e grondava sangue dalla testa ai piedi, perché attraversando il latte doveva passare in mezzo a quelle minutissime schegge e si tagliava in ogni vena. - Ah! - le disse, - tu mi hai tradito!

- No! - gli disse la Regina, - non è colpa mia, perdonami! - ma già lui tornava a sparire nel bacile d'oro.

Alla Reggia di Francia, il figlio dell'Imperatore fu trovato coperto di ferite dalla testa ai piedi, e i dottori di Corte non seppero guarirlo. Suo padre gettò un bando, che qualsiasi medico o cerusico fosse buono a salvare suo figlio gli avrebbe esaudito qualunque grazia. E intanto la città si vestì a lutto, e suonavano sempre le campane.

La Regina da quando aveva visto il Reuzzo ferito non aveva più pace, e partì verso la Francia travestita da uomo con panni da pecoraio. La prima sera le si fece buio in un bosco. Si rannicchiò ai piè d'un albero a dire le sue preghiere. Davanti a lei era una radura a cerchio, e a mezzanotte vi scesero dall'Inferno tutti i Diavoli, e si sedettero a consiglio, col loro capo in mezzo, e ognuno a turno riferiva le sue imprese, e per ultimo toccò al Diavolo Zoppo.

- E tu, malo arnese, che non ne fai mai una giusta? - gli dissero.

E lui: - Signornò, stavolta, dopo tanti anni che lavoro, me n'è riuscita una bene! - E raccontò tutto del Re e della Regina e del Reuzzo, e di quel che aveva fatto fare alla cameriera. - Ma ora il Reuzzo ha solo tre giorni di vita e poi ce lo prenderemo qui con noi.

Allora il Diavolo Grosso gli disse: - Ma di' un po': non è possibile che trovino qualche rimedio per questo Reuzzo?

E lo Zoppo: - Il rimedio c'è ma non lo dico.

- A noi puoi dirlo.

- No. E se qualcuno ci sentisse?

- Ma no, stupido! Credi che se ci fosse qualcuno qui intorno a quest'ora non sarebbe già morto dallo spavento?

- Allora sentite: bisognerebbe andare nel bosco del Convento, dove c'è l'erba del vetro, e raccoglierne due bisacce piene, pestarla in un mortaio, colarne il succo in un bicchiere e buttarglielo dalla testa ai piedi: ritornerebbe sano come prima.

La Regina, sentito questo, non vedeva l'ora che venisse l'alba per andare a cercare il Convento e l'erba del vetro. Cammina cammina, arrivò al Convento, chiamò i frati e quelli presero a far scongiuri da lontano.

- Non scongiurate, sono carne battezzata.

Allora le aprirono e lei chiese per carità due bisacce d'erba del vetro, e i frati gliela colsero. L'indomani arrivò alla città del Reuzzo, dalle vie parate a lutto. Si presentò alla sentinella, vestita da pecoraio e non volevano lasciarla entrare, finché non lo seppe l'Imperatore e chiese cosa voleva. - Mandate via tutti i cerusici, Maestà, e domani il Reuzzo sarà guarito.

L'Imperatore che ormai non sapeva più che fare, disse di sì e lasciò il pecoraio solo col figlio, dando ordine alle serve che gli procurassero tutto quel che voleva. Il pecoraio si fece dare un mortaio e pestò l'erba; si fece dare un bicchiere e colò il succo; versò il succo sulle ferite del Reuzzo e le ferite una a una si chiudevano e sparivano.

Fece chiamare l'Imperatore e gli mostrò il figlio guarito, più bello di prima. L'Imperatore voleva coprirlo di tesori, ma il pecoraio non voleva niente e se ne voleva andare. - Tieni almeno questo anello per ricordo, - gli disse il Reuzzo, e glielo diede.

La Regina tornò a casa più presto che poté, e appena giunta, andò a prendersi un po' di latte netto e puro lei in persona, invece di farlo prendere alla cameriera. Lo versò nel bacile e vi gettò le tre palle d'oro. Apparve il Reuzzo, ma le si rivoltò contro brandendo lo scettro.

- No, non t'ho tradito, - gli gridò la Regina gettandosi ai suoi piedi, - anzi t'ho salvato, e questo è l'anello che m'hai dato!

Il Reuzzo ristette, dubbioso, ed ella gli raccontò tutta la storia. Un grande amore nacque tra loro e si sposarono, col consenso dell'Imperatore di Francia, mentre la cameriera fu condannata a morte.

Ed essi furono contenti e felici / E noi come mazzi di radici.


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