Folk Tale

Re Crin

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU441
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta c'era un Re che per figlio aveva un porco, che lo chiamavano Re Crin. Re Crin passeggiava per i reali appartamenti e di solito era molto educato, come si conviene a un reale personaggio, ma di tanto in tanto si metteva a far dispetti. Gli disse il padre, carezzandolo sulla groppa: - Cos'hai, che sei così cattivo, cos'hai?

Re Crin si mise a grugnire: - Eu, eu, voglio moglie, eu eu, voglio la figlia del panettiere!

Il Re mandò a chiamare il panettiere, che aveva tre figlie, e gli chiese se sua figlia maggiore era disposta a sposare il suo figliolo porco. La figlia, tra il piacere di sposare il figlio del Re e il dispiacere di sposare un porco, si decise per il sì.

La sera delle nozze, Re Crin tutto soddisfatto andò a spasso per le vie della città e si sporcò tutto. Tornò nella sala dove la sposa l'attendeva e con l'aria di farle delle carezze le si strofinò contro la sottana. La sposa, disgustata, invece d'accarezzarlo gli diede un calcio. - Fatti in là, brutto porco!

Re Crin s'allontanò grugnendo: - Eu! me la pagherai!

E quella notte la sposa fu trovata morta nel suo letto.

Il vecchio Re fu molto addolorato, ma dopo pochi mesi, visto che il figlio s'era messo di nuovo in testa di prender moglie, e non faceva che dispetti, e grugniva: - Eu, eu, eu! Voglio la figlia del panettiere! - si decise a chiamare la seconda figlia del panettiere, e lei disse di sì.

La sera delle nozze, Re Crin tornò a sporcarsi per le strade e poi a strofinarsi contro la sposa, che lo scacciò dicendo: - Fatti in là, brutto porco! - E il mattino dopo fu trovata morta. Questo fatto a Corte fece una gran brutta impressione, perché era già la seconda.

Passò del tempo, e di nuovo Re Crin prese a fare il cattivo in casa. - Avresti il coraggio di chiedere la terza figlia del panettiere?

E lui: - Eu, eu, e io la voglio! Eu, eu, e io la voglio!

Fecero la prova di far chiamare questa terza figlia, per dirle se voleva sposare Re Crin. E si vide che lei era ben contenta. La sera delle nozze, come al solito, Re Crin andò a sporcarsi per le strade e poi così com'era corse a far carezze alla sua signora. E lei prese a carezzarlo, ad asciugarlo con fini fazzoletti di batista, dicendo: - Mio bel Crin, caro il mio bel Crin, ti voglio già tanto bene -. E Re Crin era tutto contento.

Alla mattina a Corte tutti s'aspettavano la notizia che la terza sposa fosse morta, invece la trovarono più ardita e allegra di prima. Quello fu un gran giorno di festa per la Casa reale, e il Re diede un ricevimento.

La notte dopo, alla sposa venne la curiosità di vedere Re Crin mentre dormiva, perché le era venuta un'idea in testa. Accese un cerino, e vide un bel giovanotto, che più bello non si poteva immaginare. Ma mentre lo stava guardando, il cerino le cade di mano, e cade sul braccio del giovane. Egli si svegliò, e pieno di collera saltò giù dal letto e gridò: - Hai rotto l'incantesimo e non mi vedrai più! O se mi vorrai rivedere dovrai riempire sette fiaschi di lagrime e consumare sette paia di scarpe di ferro, sette mantelli di ferro e sette cappelli di ferro! - e scomparve.

La sposa rimase così addolorata, che non poteva stare senza andarlo a cercare. Si fece fare da un fabbro sette paia di scarpe di ferro, sette mantelli di ferro e sette cappelli di ferro e partì.

Cammina cammina, venne notte mentr'era su una montagna. Vide una casetta, e bussò. - Povera ragazza, - le disse una vecchia. - Non posso alloggiarti, perché mio figlio è il Vento e quando viene a casa butta tutto sottosopra e guai se ti trova!

Ma lei tanto la pregò che la vecchia la nascose in casa, e quando venne il Vento e annusava intorno dicendo: Fum, fum, / Sento odor di cristianum, gli diede da mangiare e lo calmò. Al mattino la madre del Vento s'alzò presto e svegliò pian piano la giovane: - Scappa, prima che mio figlio si levi, e per mio ricordo prendi questa castagna e non aprirla se non in caso di gran necessità.

Cammina cammina, le venne notte in cima a un'altra montagna. Vide una casetta, e una vecchia sulla porta le disse: - Sì, ti alloggerei ben volentieri, ma sono la madre del Fulmine, e quando viene mio figlio, sei bell'andata -. Ma poi, presa dalla compassione, la nascose, e quando venne il Fulmine: Fum, fum, / Sento odor di cristianum, ma non la trovò, mangiò e andò a dormire.

- Scappa prima che mio figlio si ridesti, - le disse la madre del Fulmine al mattino, - e tieni questa noce che ti potrà ben servire.

Cammina cammina, le venne notte in cima a un'altra montagna. C'era la casa della madre del Tuono che finì per nasconderla. E anche lì: Fum, fum, / Sento odor di cristianum, ma non la trovò, e al mattino la giovane partì con una nocciola come regalo della madre del Tuono.

Dopo aver tanto camminato arrivò in una città e le dissero che la Principessa di quella città si sarebbe presto sposata con un bel giovanotto che stava con lei nel castello. La giovane si mise in testa che il giovanotto doveva essere il suo sposo. Ma come fare a mandare a monte quel matrimonio? E come fare a entrare nel castello?

Aperse la castagna e ne uscirono una gran quantità di gioielli e di diamanti: e li andò a vendere sotto il palazzo della Principessa. La Principessa s'affacciò e la fece salire. Lei le disse: - Io le do tutta questa roba per niente, basta che mi lasci dormire una notte nella stanza di quel giovanotto che sta nel suo palazzo.

La Principessa aveva paura che la giovane gli parlasse e magari lo facesse scappare con lei, ma la sua fantesca le disse: - Lasci fare a me. Gli daremo l'indormia (Nota 1 L'ndurmia (dial. piemontese): "sonnifero".) e lui non si sveglierà -. Così fecero, e mentre il bel giovanotto era già addormentato, la fantesca accompagnò la giovane nella stanza e la lasciò lì. E la giovane vide coi suoi occhi che quello era proprio il suo sposo. Cominciò a dirgli: - Svegliati, sposo mio, svegliati! Ho tanto camminato, ho logorato sette paia di scarpe di ferro, sette mantelli di ferro, sette cappelli di ferro, e ho pianto sette fiaschi di lagrime. E ora che t'ho trovato, tu dormi e non mi senti!

E così durò fino al mattino. Al mattino, disperata, ruppe la noce. Ne uscirono dei bei vestiti, drappi di seta, una cosa più bella dell'altra. Vedendo tutte quelle meraviglie, la fantesca andò a dirlo alla Principessa e la Principessa, pur d'aver tutta quella roba, la lasciò stare ancora una notte col giovane, ma le accorciò il tempo facendola entrare nella stanza più tardi e uscire più di buon'ora.

Anche quella notte tutto fu inutile: il giovane non si svegliava. La poverina ruppe la nocciola e saltarono fuori carrozze, vetture e cavalli. Ancora una volta, per averle, la Principessa la lasciò passare una notte col giovanotto.

Ma questa volta lui s'era stancato di bere quel bicchiere che gli portavano ogni sera, e fece finta di berlo, ma lo buttò in terra. E mentre la giovane parlava, lui per un po' fece finta di dormire, poi, quando fu ben sicuro che era lei, saltò su e l'abbracciò. Con tutte quelle vetture e quei cavalli partirono e tornarono a casa loro e fecero una festa.

Con gran lusso e spatusso, / E a me mi lasciarono dietro l'uscio.


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