Folk Tale

Giovan Balento

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU1640
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta in un paesetto, un ciabattino povero in canna che non faceva che tirar spago e rattoppar ciabatte. Si chiamava Giovan Balento ed era basso di statura ma grande di cervello. Un giorno, cucendo una scarpa, piff!, gli si ficca la lesina in un dito: - Ohi, ohi, povero me! - cominciò a gridare. I vicini sentirono, ma non si mossero perché di Giovan Balento a loro importava poco. Invece tutte le mosche del paese, incuriosite, corsero a vedere, ed entrarono in casa del ciabattino. Qualcuna gli si posò sul dito e succhiò quel po' di sangue che usciva, le altre videro un piatto di pastasciutta già pronto e ci si calarono sopra.

- Cosa vogliono qui tutte queste mosche! - cominciò a gridare Giovanni, - alò, fuori! Fuori da casa mia! - e cercava di cacciarle via agitando la trappetta (Nota 1 Trappetta (dial. corso): corda di cuoio di cui si servono i calzolai.) . Ma quelle, testarde, continuarono a calarsi sul piatto di pastasciutta. Allora

Giovan Balento menò uno schiaffo in aria così forte che ne fece un macello. E poi si mise a contare per terra quelle che erano cadute. Conta e riconta, ne trovò mille morte e cinquecento ferite: "Questo sì che è un colpo da maestro! - disse tra sé. - Tutti credono che io non sia buono a nulla, ma se mi ci metto, faccio anch'io la mia figura!"

Prese uno stecco, l'intinse nell'inchiostro e scrisse su un palmo di tela, in grosse lettere: "Sono Giovan Balento, ne ammazzo mille e ferisco cinquecento", e si mise questa scritta in testa, appesa al cappellaccio.

I paesani, a leggere la scritta, scoppiarono dalle risa, e tutti gli domandarono: - Quanti, Giovan Balento?

E lui: - Ne ammazzo mille e ferisco cinquecento!

Così, di bocca in bocca e di paese in paese, si sparse la nomea di Giovan Balento. Successe che dopo un anno, in lontane contrade, si faceva il nome di Giovan Balento come d'uno dei più fieri paladini del Regno.

Intanto, il ciabattino, abbandonati spago, lesina, pece, trincetto e sgabello, se n'era partito per il mondo in cerca di fortuna. Viaggiava su un somarello tutto orecchie e stinchi, e non aveva né bagagli ne un soldo in tasca. Dopo tre giorni che cavalcava per il bosco, arrivò a un'osteria. Appena fu vicino, cominciò a gridare: - Arriva Giovan Balento, che ne ammazza mille e ferisce cinquecento!

L'osteria era piena di ladroni. A sentire il nome di quell'eroe così famoso, i ladroni furono presi dalla paura e in fretta e furia, per porte e per finestre, scapparono via da tutte le parti, lasciando il pranzo già in tavola, armi luccicanti e buoni cavalli. Giovanni, senza fretta, scende dal somaro e si va a sedere a tavola. Viene l'oste: - Mangiate, mangiate, illustre paladino; io vi devo gratitudine eterna. La vostra presenza m'ha sbarazzato da una banda di ladroni.

E Giovan Balento, con la bocca già piena, senz'alzar gli occhi dal piatto: - Eh, ho fatto di ben altro!

Quando fu sazio, scelse il cavallo più bello, quello del Capoladrone, montò in sella e disse all'oste: - Se mai avete bisogno d'aiuto, fatemi un cenno. Finché Giovan Balento non sarà morto, nessuno deve osare di farvi torto! - Spronò, e partì al galoppo, tra gli inchini dell'oste e dei suoi servitori.

Ora, era la prima volta che Giovanni montava a cavallo. Si teneva stretto con le ginocchia e gli pareva d'esser sbalzato in aria a ogni passo. "O le mie lesine, - diceva tra sé, - o il mio spago, cos'ho fatto ad abbandonarvi!" Ma, viaggia, viaggia, imparò a stare in sella, e in ogni paese era ricevuto con grandi onori.

Ed ecco che capitò al Paese dei Giganti. I Giganti, grossi come castagni e alti come pioppi, appena lo videro spalancarono le loro bocche da forno, sbatterono le mascelle, fecero segno di volerselo mangiare vivo in un boccone. Giovanni tremava come un giunco.

- Ah, tu sei Giovan Balento che ne ammazza mille e ferisce cinquecento! - gridò il Capo-Gigante. - Vuoi batterti con me? Vieni, traversa il fiume.

- Sentite, è meglio che mi lasciate passare, - disse Giovanni. - Sapete come son fatto... Anche il pepe è piccino ma si fa sentire! Se metto mano alla spada, poveri voi!

I Giganti si consultarono tra loro, poi, con voce addolcita, dissero: - Be', ti lasceremo passare. Ma, prima, dacci una prova della tua forza. Vedi quel gran monte lassù? Dovresti farlo rotolare fin qua, che noi vogliamo fare una macina per il nostro mulino. Se ci riesci, noi saremo i tuoi servi e tu sarai il nostro Re.

Giovan Balento portò le mani alla bocca e cominciò a gridare: - Fuggite, gente della valle, fuggite! Ora l'illustre Giovan Balento fa rotolare la Pietra-gigante e fa un macello! Fuggite!

Dalla valle cominciò un fuggi fuggi di povere famiglie. I Giganti, anche loro, finirono per prendersi paura: ne scappò uno, ne scappò un altro, si misero a scappare tutti gridando: - Giovan Balento, ne ammazza mille e ferisce cinquecento!

Quando intorno non ci fu più un'anima, Giovanni spronò il suo cavallo, guadò il fiume, e tranquillo come Battista attraversò il Paese dei Giganti. E la sua rinomanza viaggiava davanti a lui, crescendo di giorno in giorno.

Viaggia e viaggia, s'imbatté in due eserciti sul punto di darsi battaglia. C'era il Re, mogio mogio, in mezzo ai suoi generali a capo chino; era un Re che, se perdeva questa battaglia, ci avrebbe rimesso il trono, la corona e anche la testa. Appena vide Giovan Balento, il Re si rallegrò di speranza.

- Illustre Giovan Balento, - disse, - è il Cielo che vi manda per darci salvezza e vittoria. Prendete il comando del mio esercito.

Giovanni pensò che era giunto il momento di dir la verità. - Maestà, - disse, - guardate che non sono mica quel che voi credete: sono un povero ciabattino, buono soltanto a maneggiare la lesina e lo spago... - Sì, sì, a dopo le chiacchiere! - l'interruppe il Re. - Il tempo stringe! Siate il nostro generale: ecco il mio cavallo già sellato, ecco la mia corazza e la mia spada!

E per quanto Giovanni protestasse, lo vestirono a forza, lo misero in sella, e il focoso cavallo del Re partì d'un balzo, nitrendo. A vedere il generale che correva verso il nemico, tutti gli altri cavalieri partirono anche loro all'assalto, con un gran rimbombo, s'azzuffarono col nemico e lo sterminarono in quattr'e tre sette.

La battaglia è vinta, cominciano a far festa, cercano il generale, e non lo trovano. Dov'è, dove non è, ecco che lo ritrovano quattro leghe lontano: aveva attraversato al galoppo l'armata nemica, l'aveva passata da parte a parte e aveva continuato a galoppare avanti. I cavalieri lo riportarono trionfante davanti al Re.

- Se m'aveste seguito, - disse Giovanni al Re che s'inchinava di fronte a lui in segno di gratitudine, - a quest'ora avremmo conquistato tre regni e tre corone. Comunque, anche così la battaglia è vinta, e contentiamoci! Addio!

- Ma come? Ve ne volete digià andare! E io che volevo darvi mia figlia in sposa! - disse il Re!

Ma Giovanni non volle sentir ragione, rifiutò ogni cosa e riprese ad andare per il mondo.

Viaggia e viaggia, arrivò al Regno delle Amazzoni. Si sa che le Amazzoni, famose guerriere, si governano da loro, con la loro Regina, e non lasciano entrare nessun uomo nei loro confini. Chi capitava in mano loro era tagliato a pezzi e dato in pasto alle bestie, e della sua pelle ne facevano tamburi. La Regina delle Amazzoni era una donna crudele e non aveva mai riso né sorriso in vita sua.

Giovan Balento capitò là in mezzo. Le Amazzoni lo presero, l'incatenarono e lo portarono alla Corte davanti alla Regina. La Corte delle Amazzoni, con tutti quei cavalli, era piena di mosche. I cavalli agitavano le code, le Amazzoni muovevano i ventagli, ma Giovanni che era incatenato e non poteva muoversi aveva le mosche tutte addosso.

- Voi siete un uomo morto! - disse la Regina. - Tale è la legge. Perché siete entrato nel mio Regno?

Giovanni, a capo chino, diceva tra sé: "O le mie lesine, il mio spago, il mio sgabello! Fossi stato con voi non mi troverei in questi impicci!"

- Sentite, - continuò la Regina, - d'ammazzare come un cane un povero giovane mi dispiace. Ditemi la verità e avrete salva la vita. Dunque: ne avete proprio ammazzato mille e ferito cinquecento?

- In un sol colpo, Maestà.

- E come avete fatto?

Levatemi queste catene e ve lo mostrerò.

La Regina gli fece subito sciogliere le catene. Tutte le Amazzoni a cavallo stavano intorno a lui e lo fissavano. Si sentiva solo il muoversi delle code dei cavalli e dei ventagli e il ronzare delle mosche.

- Come ho fatto? Così! - e Giovan Balento, menato uno schiaffo in aria stese morte tutte le mosche che aveva intorno. - Contatele.

- Erano mosche! Oh, oh, oh! - E tutte le Amazzoni cominciarono a ridere, tenendosi i fianchi e traballando in groppa ai loro cavalli. E quella che rideva più forte di tutte era la Regina: - Ah, ah, ah! Ohi, ohi, ohi! Oh, che ridere, ohi, non ho mai riso tanto... Giovan Balento, siete il primo che è riuscito a farmi ridere in vita mia! E con questa bravura che avete ad ammazzare mosche siete una provvidenza per il mio Regno! Restate con noi e sarete il mio sposo.

Si fecero le nozze, con gran feste e balli, e il ciabattino diventò il Re delle Amazzoni. Fola foletta, / Dite la vostra / Che la mia è detta.


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