Folk Tale

Il braccio di morto

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

In un villaggio c'era l'usanza che quando moriva un fratello, la sorella doveva vegliarlo per tre notti vicino alla tomba al cimitero, e quando moriva una sorella, doveva vegliarla il fratello. Morì una ragazza, e suo fratello, che era un ragazzo grande e grosso e non aveva paura di nulla, andò al cimitero a vegliarla.

Quando suonò mezzanotte, dalle tombe uscirono tre morti e gli chiesero: - Ci stai a giocare con noi? - E perché no? - lui rispose, - ma dov'è che volete giocare?

- Noi giochiamo nella chiesa, - dissero. Entrarono in chiesa e lo condussero giù in una cripta sotterranea che era piena di casse da morto mezze marce e di mucchi d'ossa umane alla rinfusa. Presero delle ossa e un cranio, e risalirono in chiesa.

Le ossa, le misero ritte per terra. - Questi sono i nostri birilli -. Presero il cranio. - Questa è la nostra palla -. E incominciarono a giocare ai birilli.

- Ci stai a giocare a soldi?

- Sì che ci sto!

Il giovanotto si mise a giocare a birilli col teschio e le ossa, ed era molto bravo: vinceva sempre lui e guadagnò tutti i soldi che avevano i morti. Quando i morti furono rimasti senza un soldo, riportarono palla e birilli nella cripta e se ne tornarono alle loro tombe.

La seconda notte i morti volevano la rivincita, e si giocarono gli anelli e i denti d'oro: e vinse ancora il giovane. La terza notte fecero ancora una partita, e poi gli dissero: - Hai vinto di nuovo, e noi non abbiamo più niente da darti. Ma poiché i debiti di gioco vanno pagati subito, ti diamo questo braccio di morto che è un po' secco ma ben conservato e che ti servirà meglio d'una spada. Qualsiasi nemico tu toccherai con questo braccio, il braccio l'afferrerà per il petto e lo spingerà per terra morto cadavere, anche se è un gigante.

I morti se ne andarono e lasciarono il giovanotto con quel braccio in mano.

L'indomani portò a suo padre il danaro e l'oro guadagnati ai birilli e gli disse: - Caro padre, voglio andare per il mondo a cercarmi fortuna -. Il padre gli diede la sua benedizione e il giovanotto se ne andò, col braccio di morto nascosto sotto il mantello.

Arrivò in una gran città, e i muri delle case erano tappezzati di stoffe nere e la gente vestiva a lutto, e anche le carrozze e i cavalli erano a lutto. - Che è successo qualcosa? - domandò a un passante, e questi singhiozzando gli disse: - Deve sapere che vicino a quella montagna c'è un castello nero, abitato da stregoni. E questi stregoni vogliono che ogni giorno sia mandata loro una creatura umana, che entra nel castello e non ritorna più. Prima hanno voluto le ragazze, e il Re ha dovuto mandare tutte le cameriere e massaie e fornaie e tessitrici, poi tutte le damigelle della Corte e tutte le dame, e pochi giorni fa anche la sua unica figliola. E nessuna ha fatto più ritorno. Ora il Re ci manda i soldati, a tre a tre per vedere se si possono difendere, ma non torna più nessuno. Oh, se qualcuno riuscisse a liberarci dagli stregoni, diventerebbe il padrone della città.

- Voglio provare io, - disse il giovane, e si fece subito presentare al Re. - Maestà, voglio andare io da solo al castello -. Il Re lo guardò bene in viso. - Se ce la fai, - gli disse, - e se liberi mia figlia, te la darò in moglie ed erediterai il mio regno. Basta che tu riesca a passare tre notti al castello e l'incantesimo sarà rotto e gli stregoni spariranno. Sui merli del castello c'è un cannone. Se domattina sei ancora vivo, spara un colpo, dopodomani mattina sparane due, e il terzo mattino sparane tre.

Quando si fece sera, il giovanotto andò al castello nero col braccio di morto sotto il mantello. Salì per le scale ed entrò in una sala. C'era un gran tavolo apparecchiato, carico di vivande, ma le sedie avevano la spalliera voltata verso il tavolo. Lasciò tutto come stava, andò in cucina, accese il fuoco, e si sedette vicino al focolare, tenendo il braccio di morto in mano. A mezzanotte sentì delle voci nel camino che gridavano: Ne abbiamo uccisi tanti, / Ed ora tocca a te! / Ne abbiamo uccisi tanti, / Ed ora tocca a te!

E, tunfete!, dal camino calò uno stregone, e tunfete! ne calò un secondo, e tunfete! un terzo, tutti con delle facce brutte da far paura e dei nasi lunghi lunghi che si piegavano per aria come braccia di polpi e che cercavano d'avvinghiarsi alle mani e alle gambe del giovane. Lui capì che soprattutto doveva guardarsi da quei nasi, e si mise a difendersi col braccio di morto, come facesse la scherma. Toccò col braccio di morto uno stregone sul petto: e niente. Ne toccò un altro sulla testa: e niente. Al terzo lo toccò sul naso e la mano di morto afferrò quel naso e gli diede un tale strattone che lo stregone morì. Il giovanotto capì che il naso degli stregoni era pericoloso, ma era anche il loro punto debole, e si mise a mirare al naso. Il braccio di morto afferrò per il naso anche il secondo, e l'ammazzò; e così fece col terzo. Il giovanotto si fregò le mani e andò a dormire.

Al mattino salì sui merli e sparò il cannone: "Bum!" Di laggiù, dal paese dove tutti stavano in ansia, si vide un grande agitare di fazzoletti listati a lutto.

Quando la sera entrò di nuovo nella sala, trovò già una parte delle sedie voltate e messe nella posizione giusta. E dalle altre porte entrarono dame e damigelle tristi e vestite a lutto, e gli dissero: - Resistete, per carità! Liberateci! - Poi si sedettero a tavola e mangiarono. Dopo cena se ne andarono tutte, con grandi riverenze. Lui andò in cucina, si sedette sotto il camino e aspettò la mezzanotte. Quando batté il dodicesimo rintocco, dalla cappa si sentirono di nuovo le voci: Ci hai ucciso tre fratelli, / Ed ora tocca a te! / Ci hai ucciso tre fratelli, / Ed ora tocca a te!

E tunfete, tunfete, tunfete, tre stregoni dal lungo naso piombarono giù dal camino. Il giovanotto, brandendo il braccio di morto, non ci mise molto ad afferrarli per il naso e a stenderli cadaveri tutti e tre.

Alla mattina sparò due cannonate: "Bum! Bum!", e giù al paese vide agitarsi tanti fazzoletti bianchi: s'erano tolti la lista nera da lutto.

La terza sera trovò che le sedie voltate nella sala erano ancora di più, e le giovani nerovestite entrarono ancora più numerose della sera prima. - Solo oggi ancora, - lo implorarono, - e ci libererai tutte! - Poi mangiarono con lui e se ne andarono di nuovo. E lui si sedette al solito posto in cucina. A mezzanotte le voci che si misero a gridare nel camino parevano un coro: Ci hai ucciso sei fratelli, / Ed ora tocca a te! / Ci hai ucciso sei fratelli, / Ed ora tocca a te!

E tunfete, tunfete, tunfete, tunfete, venne giù una pioggia di stregoni che non finiva più, tutti coi lunghi nasi tesi avanti, ma il giovanotto mulinava il braccio di morto e tanti ne venivano, tanti ne ammazzava, e senza sforzo, perché bastava che quella manaccia rinsecchita li pigliasse sul naso ed erano cadaveri. Se ne andò a dormire proprio soddisfatto, e, appena il gallo cantò, tutto nel castello tornò a vivere, e un corteo di signorine e nobildonne, con i vestiti a strascico, entrarono in cucina a ringraziarlo e riverirlo. Nel bel mezzo del corteo avanzava la Principessa. Giunta di fronte al giovane, gli gettò le braccia al collo, e disse: - Voglio che tu sia il mio sposo!

A tre a tre entrarono i soldati liberati, e fecero il presentatarm.

- Salite sui merli del castello, - ordinò il giovane, - e sparate tre colpi di cannone -. Si sentì tuonare il cannone e dal paese si vide un agitarsi di fazzoletti gialli verdi rossi azzurri e l'eco di un suonare di trombe e di grancasse.

Il giovanotto scese dalla montagna col corteo della gente liberata ed entrò in paese: i drappi neri erano scomparsi e non si vedevano che bandiere e nastri colorati che s'agitavano al vento. C'era il Re ad aspettarli, con la corona tutta infiorata. Lo stesso giorno furono celebrate le nozze e fu una festa così grande che se ne parla ancora.


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