Folk Tale

I tre cani

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU300
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta un vecchio contadino che aveva un figlio e una figlia. Quando venne a morire, li chiamò al suo capezzale e disse: - Figlioli miei, sto per morire e non ho nulla da lasciarvi: solo tre pecorine nella stalla. Cercate d'andar d'accordo, e non avrete da patir la fame.

Quando fu morto, fratello e sorella seguitarono a stare insieme: il ragazzo andava dietro alle pecore e la ragazza stava a casa a filare e a far da mangiare. Un giorno che il ragazzo era con le pecore nel bosco, passò un omino con tre cani.

- Buon giorno a te, bambino. - Buon giorno a lei, omino.

- Che belle pecorelle hai!

- Anche lei ha tre bei cani.

- Ne vuoi comprare uno?

- Quanto costa?

- Se mi dài una pecorella, io ti do uno dei miei cani.

- E poi cosa mi dice mia sorella?

- Cosa ti deve dire? Di un cane avete pur bisogno, per guardare le pecore!

Il ragazzo si persuase: gli dette una pecora e si prese un cane. Chiese come si chiamava e l'omino gli disse: - Spezzaferro.

Quando fu ora d'andare a casa, aveva il cuore che gli batteva perché certo sua sorella l'avrebbe strapazzato. Difatti, quando la ragazza andò per mungere le pecore nella stalla, vide che c'erano due pecore e un cane, e cominciò a dirgliene di tutti i colori e a bastonarlo.

- Che ne facciamo d'un cane, me lo sai dire? Se domani non mi riporti tutte e tre le pecore, te la faccio vedere io!

Ma poi si persuase che per far la guardia alle pecore, un cane ci voleva.

L'indomani il ragazzo andò nello stesso posto e incontrò di nuovo quell'omino con i due cani e la pecorella.

- Buon giorno a te, bambino.

- Buon giorno a lei, omino.

- La pecorella mi muore di malinconia, - disse l'omino.

- Anche il mio cane muore di malinconia, - disse il bambino.

- Allora dammi un'altra pecorella e io ti do un altro cane.

- Mamma mia! Mia sorella mi voleva mangiare, per una pecora sola! Figuriamoci se ne do via un'altra!

- Guarda: un cane solo non ti serve a niente: se vengono due lupi come ti salvi? E il ragazzo acconsentì.

- Come si chiama?

- Schiantacatene.

Quando rincasò alla sera con una pecora e due cani, e la sorella gli domandò: - Le hai riportate tutte e tre, le pecorelle? - non sapeva cosa rispondere.

Disse: - Sì, però non c'è bisogno che tu venga nella stalla, le mungo io.

Ma la ragazza volle andare a vedere e il fratello finì a letto senza cena. - Se domani non tornano tutte e tre le pecore io t'ammazzo, - gli disse la sorella.

L'indomani, mentre pascolava nel bosco, vide passare l'omino con le due pecore e l'ultimo cane.

- Buon giorno a te, bambino.

- Buon giorno a lei, omino.

- Io ora ho questo cane che muore di malinconia.

- E la mia pecorella anche.

- Dammi quella pecorella e prenditi questo cane.

- No, no, non parliamone nemmeno.

- Ora ne hai due: perché non vuoi il terzo? Almeno avrai tre cani uno meglio dell'altro.

- Il suo nome?

- Spaccamuro.

- Spezzaferro, Schiantacatene, Spaccamuro, venite con me.

Quando fu sera, il ragazzo di tornare a casa dalla sorella non ebbe il coraggio. "È meglio che vada a girare il mondo", pensò.

E cammina e cammina, con i cani che gli battevano la strada per boschi e per valli. Cominciò a piovere a dirotto, s'era fatto buio e non sapeva più dove andare. In fondo al bosco, vide un bel palazzo illuminato, cinto da un alto muro. Il ragazzo bussa; nessuno apre. Chiama; nessuno risponde. Allora: - Spaccamuro, aiutami tu.

Non aveva ancora finito di dirlo, che Spaccamuro con due zampate aveva rotto la muraglia.

Il ragazzo e i cani passarono, ma si trovarono di fronte a una fitta cancellata di ferro. - Spezzaferro, a te! - disse il ragazzo, e Spezzaferro con due morsi mandò il cancello in pezzi.

Ma il palazzo aveva una porta, chiusa da pesanti catenacci. - Schiantacatene! - chiamò il ragazzo, e il cane con un morso liberò la porta che s'aperse.

I cani s'infilarono per le scale, e il ragazzo dietro. Nel palazzo non si vedeva anima viva. C'era un bel caminetto acceso e una tavola imbandita con ogni ben di Dio. Si sedette a mangiare, e sotto la tavola c'erano tre scodelle con la zuppa per i cani. Finito di mangiare andò di là e c'era un letto pronto per dormire e tre cucce per i cani. La mattina quando s'alzò trovò preparato lo schioppo e il cavallo per andare a caccia. Andò a caccia, e quando rincasò trovò la tavola preparata con il pranzo, il letto rifatto, e tutto lustro e pulito. Così passavano i giorni, e lui non vedeva mai nessuno e tutto quel che desiderava l'aveva, insomma viveva da signore. Allora cominciò a pensare a sua sorella, che poverina chissà che vita grama faceva, e si disse: "Voglio andare a prenderla e farla stare insieme a me, tanto adesso che si sta così bene non mi sgriderà più se non riporto a casa le pecore".

L'indomani prese con sé i cani, montò a cavallo, tutto vestito da signore, e andò a casa da sua sorella. Quando arrivò, la sorella, che stava sulla soglia a filare, lo vide venire da distante e disse: "Chi sarà mai quel bel signore che viene da me?" Ma quando vide che era suo fratello con quei cani invece delle pecore, cominciò a fargli una delle solite sue scene.

Ma il fratello le disse: - Va' là, cosa vuoi ancora sgridarmi, che io faccio una vita da signore e sono venuto a prenderti con me, ora che non abbiamo più bisogno delle pecore!

La issò a cavallo e la condusse nel palazzo dove visse anche lei da gran signora. Tutto quel che le veniva in mente, subito l'aveva. Però i cani continuava a non poterli soffrire, e tutte le volte che il fratello rincasava, lei riattaccava a brontolare.

Un giorno che il fratello era andato a caccia coi tre cani, lei uscì in giardino e vide laggiù in fondo una bella melarancia; andò per coglierla e mentre la spiccava dal ramo, saltò fuori un Drago e le s'avventò contro per mangiarla. Lei cominciò a piangere e a raccomandarsi, a dire che non era lei, ma suo fratello che era entrato per primo nel giardino, e che caso mai doveva esser mangiato suo fratello. Il Drago le rispose che suo fratello non si poteva mangiare perché era sempre con quei tre cani. La ragazza chiese al Drago che le dicesse cosa doveva fare, e lei, pur di salvarsi la vita, gli avrebbe fatto mangiare suo fratello; e il Drago le disse di far legare i cani con catene di ferro, al di là del cancello e del muro del giardino. La ragazza promise e il Drago la lasciò andare.

Quando il ragazzo tornò a casa, la sorella cominciò a brontolare che non voleva più avere intorno quei cagnacci mentre mangiava, perché puzzavano. E il fratello, che aveva sempre la pazienza di contentarla in tutto, andò a legarli come lei diceva. Poi lei gli disse d'andarle a prendere quella melarancia che era in fondo al giardino, e il ragazzo ci andò. Stava per spiccarla, quando saltò fuori il Drago. Il ragazzo, comprendendo il tradimento della sorella, chiamò: - Spezzaferro! Schiantacatene! Spaccamuro! - E Schiantacatene schiantò le catene, Spezzaferro spezzò le sbarre del cancello, Spaccamuro aperse il muro a zampate; arrivarono addosso al Drago e lo sbranarono.

Il ragazzo tornò dalla sorella e disse: - Basta! È questo il bene che mi vuoi? Mi volevi far mangiare dal Drago! Adesso con te non ci voglio più stare.

Salì a cavallo e andò in giro per il mondo, coi tre cani. Arrivò da un Re, che aveva una sola figlia, e c'era un Drago che se la doveva mangiare. Si presentò dal Re e gli disse che voleva questa figlia in sposa. Il Re gli disse: - Mia figlia non te la posso dare perché la deve mangiare un terribile animale; se però tu sei buono a liberarla, resta inteso che è tua!

- Bene, Maestà, ci penso io; non vi preoccupate -. Andò a cercare il Drago, l'attaccò e i cani se lo mangiarono. Tornò vincitore e il Re lo fidanzò a sua figlia.

Venne il giorno delle nozze, e lo sposo, dimenticando quel che era stato, fece venire sua sorella. Dopo lo sposalizio, la sorella che aveva sempre il dente avvelenato contro il fratello disse: - Stasera voglio preparare io il letto a mio fratello, - e tutti, credendo a un gesto di brava sorella, dissero di sì. Invece lei, nel posto dello sposo, mise sotto le lenzuola una sega affilata. La sera il fratello si coricò e restò tagliato in due. Lo portarono in chiesa con gran pianti, coi tre cani fedeli dietro al feretro: poi chiusero la porta e i tre cani restarono dentro a guardare la salma, uno dalla parte destra, uno dalla parte sinistra e uno dalla parte della testa.

Quando i cani videro che non c'era più nessuno, uno di loro parlò e disse: - Ora vado e lo piglio.

E un altro: - E io lo porto.

- E io l'ungo, - disse il terzo.

Così due dei cani andarono via e tornarono con un vasetto di unguento, e l'altro che era rimasto di guardia unse la ferita con quell'unguento e il giovane tornò sano di nuovo.

Il Re fece ricercare chi aveva messo la sega nel letto, e scoperto che era stata la sorella, la fece condannare a morte.

Il giovane ora era felice con la sua sposa, tanto più che il vecchio Re, stanco, abdicò e lui salì al trono.

Ma aveva un unico dispiacere, che i tre cani erano spariti e per quanto li avesse fatti cercare per tutto il Regno non era stato possibile trovarli. Pianse, si disperò, ma dovette rassegnarsi.

Una mattina, gli fu annunziato un Ambasciatore, e quest'Ambasciatore gli fece noto che c'erano tre bastimenti ancorati al largo che portavano tre gran personaggi, e questi personaggi volevano riannodare la loro antica amicizia con lui. Il giovane Re sorrise, perché lui era stato sempre un contadino, e gran personaggi non ne aveva mai conosciuti. Ciononostante seguì l'Ambasciatore per incontrare questi che si dichiaravano suoi amici. Trovò due Re e un Imperatore che gli fecero grandi feste dicendogli: - Non ci riconosci?

- Ma guardate che dovete esservi sbagliati, - disse lui.

- Ah, non avremmo mai creduto che ti saresti dimenticato dei tuoi fedelissimi cani!

- Come? - esclamò lui. - Spezzaferro, Schiantacatene, e Spaccamuro? Trasformati in questo modo? Gli risposero: - Eravamo stati trasformati in cani da un Mago, e non potevamo tornare quelli che eravamo, finché un contadino non fosse messo in trono. Dunque dobbiamo esser grati a te, come tu devi esser grato a noi, perché ci siamo aiutati a vicenda. D'ora in avanti saremo sempre buoni amici e in ogni circostanza ricordati che hai due Re e un Imperatore sempre disposti ad aiutarti.

Si trattennero diversi giorni in città, tra grandi feste. Venuto il giorno della partenza, si divisero augurandosi ogni bene e furono sempre felici.


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