Folk Tale

Le brache del Diavolo

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU361
LanguageItalian
OriginItaly

Un uomo aveva un figlio che era il più bel figliolo che si fosse mai visto. Successe che il padre s'ammalò e un giorno chiamò il figlio: - Sandrino, sento d'essere vicino a morire. Portati bene e tieni da conto quel poco che ti lascio.

Morì, ma il figlio invece di tener da conto la roba e lavorare, in meno d'un anno, a forza di far baldoria, rimase sul lastrico. Allora si presentò al Re della città per sentire se lo prendeva al suo servizio. Il Re, visto quant'era bello questo giovane, lo prese per cameriere. La Regina, quando lo vide, le piacque subito tanto, che lo volle lei per cameriere privato. Ma appena Sandrino s'accorse che la Regina s'era innamorata di lui, pensò: "Sarà meglio che tagli la corda prima che il Re se n'accorga", e si licenziò. Il Re voleva sapere perché se ne voleva andare, ma lui disse che era per affari suoi, e partì.

Andò in un'altra città, e si presentò al Re che c'era lì, per vedere se lo prendeva a servizio. Il Re, visto questo gran bel giovane, disse subito di sì, e Sandrino entrò al Palazzo. Il Re aveva una figlia, che appena lo vide se ne prese una cotta da non capire più niente. La faccenda diventò tanto seria, che Sandrino fu costretto a licenziarsi prima che succedessero dei guai. Il Re, che non sapeva nulla, gli domandò il motivo di questa decisione, e lui disse che era per affari suoi, e il Re non poté dir più nulla.

Andò a stare da un Principe, ma s'innamorò di lui sua moglie, e andò via anche di là. Girò ancora cinque o sei padroni, e sempre faceva innamorare qualche donna e gli toccava andarsene. Il povero giovane malediva la sua bellezza, e arrivò a dire che per liberarsene avrebbe dato l'anima al Diavolo. Aveva appena detto queste parole, che gli si presentò un giovane gentiluomo. - Cos'avete da lamentarvi? - gli chiese, e Sandrino gli raccontò.

- Senti, - gli disse il gentiluomo, - io ti do questo paio di brache. Bada di tenerle sempre addosso e non togliertele mai. Io verrò a riprenderle tra sette anni in punto. In questo frattempo non ti devi mai lavare neanche la faccia, non devi tagliarti mai la barba, né i capelli, né le unghie. D'altro, puoi fare tutto quello che vuoi e star contento.

Dette queste parole, sparì, e si sentì suonare mezzanotte.

Sandrino si infilò le brache e si buttò a dormire là nell'erba. Si svegliò a giorno fatto, si stropicciò gli occhi, e subito si ricordò delle brache e di quel che gli aveva detto il Diavolo. S'alza e si sente le brache pesanti, si muove e sente un tintinnio di quattrini: aveva le brache piene di monete d'oro, e più ne tirava fuori più ne uscivano.

Andò in città e prese alloggio a una locanda, nella stanza più bella che avevano. Tutto il giorno non faceva altro che tirar fuori soldi dalle brache e ammucchiarli. Ogni servizio che gli facevano dava una moneta d'oro; ogni povero che stendeva la mano, una moneta d'oro: così ne aveva sempre una processione alla sua porta.

Un giorno disse al cameriere: - Sai mica se c'è un palazzo da vendere? - Il cameriere gli disse che ce n'era uno proprio in faccia a quello del Re, e nessuno lo comprava perché costava troppo caro. - Fammelo avere, - disse Sandrino, - e ti darò la tua parte -. Il cameriere si diede d'attorno e gli fece comprare il palazzo.

Sandrino cominciò a farlo ammobiliare tutto a nuovo. Poi fece foderare di ferro tutte le stanze a pianterreno, e murare gli usci. Chiuso lì dentro passava le giornate a buttar fuori monete. Quando una stanza era piena passava a un'altra e così riempì tutte le stanze da basso. Il tempo passava, i capelli e la barba gli erano cresciuti da non farlo più riconoscere. Le unghie poi erano lunghe come pettini per cardare la lana, tanto che ai piedi doveva portare sandali come quelli dei frati perché non gli stavano più nelle scarpe. Su tutta la pelle gli venne una crosta spessa un dito: insomma, non pareva più un uomo ma una bestia. Le brache per tenerle pulite le copriva di biacca o di farina.

Bisogna sapere che al Re di quella città era stata intimata la guerra da un altro Re suo vicino, e lui era disperato perché non aveva quattrini per sostenerla. Un giorno chiamò l'Intendente.

- Che c'è di nuovo, Sacracorona?

- Siamo tra l'incudine e il martello, - disse il Re. - Non ho più un soldo per far la guerra.

- Sacracorona, c'è quel signore qui vicino che ha tanti quattrini che non sa più dove metterli. Posso andare a chiedergli se ci presta cinquanta milioni. Alla peggio ci risponderà di no.

L'Intendente si presentò a Sandrino da parte del Re, gli fece tanti complimenti e poi gli disse l'ambasciata.

- Dica pure a Sacracorona che son pronto a servirlo, - disse Sandrino, - a patto che in cambio mi dia una delle sue figlie in moglie, una qualsiasi delle tre che per me è lo stesso.

- Farò l'ambasciata, - disse l'Intendente.

- Allora aspetto la risposta entro tre giorni, - disse Sandrino, - se no mi tengo sciolto da ogni impegno.

Quando il Re sentì la cosa, disse: - O povero me! Quando le mie figlie vedranno quest'uomo che sembra una bestia chissà cosa diranno! Dovevi almeno dirgli che ti desse un ritratto, tanto per preparare le ragazze.

- Vado a domandarglielo, - disse l'Intendente.

Sandrino, quando seppe la richiesta del Re, chiamò un pittore, si fece fare il ritratto e lo mandò al Re. Quando il Re vide quella bestia, fece un passo indietro gridando: - Possibile che una delle mie figlie voglia un muso come questo!

Ma, tanto per tentare, fece chiamare la più grande, e le spiegò la cosa. La ragazza gli si rivoltò contro. - A me, fai di queste proposte! Ma ti sembra che un uomo così si possa sposare? - E gli voltò la schiena senza più dir parola.

Il Re si buttò giù in una poltrona nera che teneva per le giornate sfortunate, e restò lì più morto che vivo. Il giorno dopo si fece coraggio, e fece chiamare la figliola mezzana, già pronto al peggio. La ragazza venne, lui le fece lo stesso discorso che alla prima, e le fece capire che dalla sua risposta dipendeva la salvezza del Regno. - Ebbene, signor padre, - disse la ragazza un po' incuriosita, - mi faccia vedere questo ritratto.

Il Re le porse il ritratto, lei lo prese, ma appena gli ebbe dato un'occhiata, lo buttò lontano come avesse preso in mano un serpente. - Signor padre! Non l'avrei mai creduto capace di offrire in sposo a sua figlia una bestia. Ora so io il bene che mi vuole! - E così ansimando e lamentandosi andò via.

Il Re si disse: "E andiamo pure in rovina, basta che non debba più parlare di questo matrimonio con nessuna delle mie figlie. Se tanto m'hanno detto queste due, figuriamoci cosa mi dirà la piccina, che è la più bella". Si sprofondò nella poltrona nera e dette ordine che per quel giorno non aprissero a nessuno. Le figlie non lo videro venire a pranzo, ma non domandarono nemmeno cos'avesse. Solo la piccina, senza dir parola, scese e andò a trovare il padre. Cominciò a fargli cento moine, e a dirgli: - Ma perché è così mortificato, papino? Andiamo, s'alzi da questa poltrona, stia un po' allegro, se no mi metto a piangere anch'io.

E cominciò a pregarlo e supplicarlo di dirle quel che aveva, tanto che il Re le raccontò le cose come stavano. - Ah, sì? - disse la ragazza. - E mi mostri questo ritratto, vediamo.

Il Re aperse un cassetto e le diede il ritratto. La Zosa (così si chiamava la ragazza) si mise a guardarlo da tutte le parti e cominciò a dire: - Vede, signor padre? Sotto questi capelli così lunghi e arruffati, vede che bella fronte? La pelle è nera, questo è vero, ma se fosse lavata sarebbe tutt'un'altra cosa. Vede che belle mani, se non ci fossero quelle unghiacce? E i piedi, anche quelli! E così tutto il resto. Stia allegro, signor padre, me lo sposerò io.

Il Re prese la Zosa tra le sue braccia e non finiva più di abbracciarla e baciarla. Poi chiamò l'Intendente e lo mandò a dire a quel signore che sua figlia la più piccina era disposta a sposarlo.

Sandrino, appena lo seppe, disse: - Sta bene, siamo intesi. Dite pure a Sacracorona che può disporre di cinquanta milioni, anzi, venite pure a prenderli subito e portatevi un sacchetto da riempire anche per voi, perché voglio mostrare la mia gratitudine. Dite a Sacracorona che non pensi a dar niente alla sposa, perché voglio farle tutto io.

Quando le sorelle seppero del fidanzamento di Zosa, cominciarono a prenderla in giro, ma lei non ci badava e le lasciava cantare.

L'Intendente andò a prendere i quattrini e Sandrino gli riempì un gran sacco di quelle solite monete d'oro. - Adesso bisognerà contarle, - disse l'Intendente, - perché mi pare che ce ne sia di più della somma pattuita.

- Fa niente, - rispose Sandrino, - un po' di più o un po' di meno io non ci bado.

Poi mandò da tutti i gioiellieri della città a prendere quel che avevano di più bello: orecchini, catenine, braccialetti, spille, anelli con brillanti grossi come nocciole. Dispose tutto su un vassoio d'argento e mandò quattro dei suoi camerieri a presentare i regali alla sposa.

Il Re gongolava, la figlia passava ore a provarsi i gioielli, le sorelle cominciarono a sentirsi mordere dall'invidia e dicevano: - Sarebbe meglio fosse un po' più bello.

- A me basta che sia buono, - diceva la Zosa.

Intanto Sandrino aveva fatto chiamare i più bravi sarti, cuffieri, calzolai, cucitori di bianco, e quelli dei nastri, e quelli delle pezze; ordinò tutto quel che ci voleva per il corredo, e disse che entro quindici giorni doveva essere pronta ogni cosa.

Si sa che coi quattrini si fa tutto, e difatti, di lì a quindici giorni, tutto fu pronto: camicie di tela tanto fina che ci si passava da una parte all'altra con un soffio, ricamate fino ai ginocchi, sottane con pezze di fiandra alta un braccio, fazzoletti così pieni di ricami che non c'era neanche il posto per soffiarsi il naso, abiti di seta di tutti i colori, di broccato d'oro e d'argento guarnito di gemme, di velluto rosso o turchino.

La sera prima delle nozze, Sandrino si fece riempire quattro tinozze di acqua calda e fredda. Quando le tinozze furono preparate, Sandrino saltò in quella piena d'acqua più calda, e ci stette finché la scorza di sporcizia che aveva addosso gli si fu un po' ammorbidita, poi saltò nell'altra tinozza calda e cominciò a sfregarsi la pelle: gli venivano giù certi trucioli che pareva un falegname. Erano sette anni che non si lavava! Quando si fu tolto la più grossa, saltò nell'altra tinozza, piena d'acqua profumata appena tiepida. E lì prese a insaponarsi e la sua bella pelle d'una volta cominciava a farsi riconoscere. Poi, saltò nell'altra tina, piena d'acqua di Colonia e d'acqua di Felsina e ci rimase un bel po' a darsi l'ultima sciacquata. - Presto il barbiere! - Venne il barbiere, lo tosò come una pecora, poi lo lavorò coi ferri per arricciare e con pomate, e alla fine gli tagliò le unghie.

La mattina dopo, quando scese di carrozza per andare a prendere la sposa, le sorelle che stavano alla finestra per vedere venire quel mostro, si videro davanti un bellissimo giovane. - Chi sarà? Sarà uno mandato dallo sposo per non mostrarsi lui in persona.

Anche la Zosa pensò che fosse un amico, e montò in carrozza. Arrivata al palazzo, disse: - E lo sposo?

Sandrino prese il suo ritratto di prima e le disse: - Guarda bene quegli occhi, guarda quella bocca.

Non mi riconosci?

La Zosa dalla gioia non capiva più niente. - Ma come mai ti eri ridotto in quello stato?

- Non chiedermi altro, - disse lo sposo.

Le sorelle, a vedere che lo sposo era lui, creparono d'invidia. E al banchetto di nozze guardavano

Zosa e Sandrino che pareva se li volessero mangiare con gli occhi, e dicevano tra loro: - Daremo l'anima al Diavolo, per non vederli più così felici.

Proprio quel giorno scadevano i sette anni che aveva detto il Diavolo e a mezzanotte doveva venire a riprendere le brache a Sandrino. Lo sposo, alle undici, salutò tutti gli invitati e disse che voleva restare in libertà. - Sposa mia, - disse alla Zosa quando furono soli, - tu va' pure a letto, che io verrò più tardi -. La Zosa si disse: "Chissà cos'ha per la testa?", ma, aiutata dalle sue donzelle, si spogliò e andò a letto.

Sandrino aveva fatto un fagotto delle brache del Diavolo, e lo aspettava. Aveva mandato a dormire tutta la servitù; era solo; e s'accorse tutt'a un tratto che aveva la pelle d'oca e il cuore in gola. Suonò la mezzanotte.

Tremò la casa. Sandrino vide il Diavolo che veniva verso di lui. Gli porse il fagotto. - Prendetevi le vostre brache! Ecco, prendetevele! - disse.

- Dovrei prendermi la tua anima, adesso, - disse il Diavolo.

Sandrino tremava.

- Ma siccome invece della tua anima me n'hai fatto trovare altre due, - proseguì il Diavolo, - prenderò quelle, e a te, ti lascio in pace!

L'indomani mattina, Sandrino dormiva beato accanto alla sua sposa. Venne il Re a dar loro il buon giorno e a chiedere alla Zosa se sapeva nulla delle sue sorelle, che non s'erano più viste. Andarono nella stanza delle sorelle e non trovarono nessuno, ma sulla tavola c'era un biglietto: Siate maledetti! Per voi siamo dannate e ci porta via il Diavolo.

Allora Sandrino capì chi erano le due anime che il Diavolo aveva preso invece della sua.


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