Folk Tale

La Regina Marmotta

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Si trovava nella Spagna il giusto e buon Re Massimiliano, con tre figlioli, a nome Gugliermo, Giovanni, e Andreino il minore ed il più caro al padre. Il Re per una malattia perse la vista. Chiamati tutti i medici del Regno, nessuno conosceva un rimedio, ma uno dei più vecchi disse: - Qui la sapienza medica non giunge: si faccia chiamare un indovino -. Vennero chiamati indovini da ogni parte: studiarono sui loro libri ma neanche loro seppero dire nulla. Con gli indovini s'era infilato un Mago ignoto a tutti. E quando gli altri ebbero ognuno detto la sua, il Mago venne avanti e disse: - Io so e conosco, Re Massimiliano, la vostra cecità. E la medicina si trova soltanto nella città della Regina Marmotta, ed è l'acqua del suo pozzo -. Non era ancora cessato lo stupore per queste parole, che il Mago era sparito, e nessuno ne seppe mai più nulla.

Il Re voleva sapere chi fosse, ma nessuno l'aveva mai visto. A un indovino però pareva fosse un Mago delle parti dell'Armenia, giunto qui per incantesimo. Il Re chiese: - E la città della Regina Marmotta sarà là da quelle parti remote? - Rispose un anziano della Corte: - Finché non la si cerca, non si saprà dov'è. S'io fossi più giovane, non tarderei a mettermi in viaggio.

Si fece avanti Gugliermo, il figlio grande: - Se c'è qualcuno che deve mettersi in viaggio, questo sono io. È giusto che sia il primo dei figli a pensare per primo alla salute del padre.

- Caro figlio, - disse il Re, - ti benedico. Prendi quattrini e cavalli e ogni cosa che ti serva. Io aspetto il tuo ritorno e la tua gloria fra tre mesi.

Gugliermo nel porto del Regno s'imbarcò su una nave che faceva vela per l'Isola di Buda, e di lì dopo tre ore di fermata si ripartiva verso l'Armenia. A Buda Gugliermo scese per vedere l'Isola, e passeggiando incontrò una bella dama dai gesti amorosi, e tanto si perdette a ragionare con lei che le tre ore passarono senza ch'egli se ne accorgesse. All'ora stabilita la nave sciolse le vele e lasciò Gugliermo all'Isola. Gugliermo dapprima si rincrebbe, poi la compagnia della dama gli fece scordare la malattia del padre e lo scopo del suo viaggio.

Passati i tre mesi, non vedendolo tornare, il Re cominciò a pensare fosse morto e al suo dolore per la vista perduta s'aggiunse quello della perdita d'un figlio. Per consolarlo, Giovanni, il secondo, s'offerse d'andare lui alla ricerca tanto del fratello che dell'acqua. E il Re lo lasciò andare, benché avesse paura che anche a lui succedesse una disgrazia.

Salito sulla nave, in breve tempo Giovanni giunse in vista dell'Isola di Buda. Stavolta la nave si fermava mezza giornata. Giovanni scese a visitare l'Isola; entrò in giardini di mirti, cipressi e allori, con laghi d'acqua chiara pieni di pesci d'ogni colore, poi in un villaggio con bei viali e strade, in una piazza con una bianca vasca di marmo e tutt'attorno monumenti e fabbriche, e nel bel mezzo un palazzo maestoso, con colonne dorate e inargentate, e mura di cristallo che splendevano al sole. Dietro queste mura di cristallo Giovanni vide passeggiare suo fratello.

- Gugliermo! - gridò, - sei qui! Perché non sei tornato? Ti credevamo morto! - E s'abbracciarono.

Gugliermo raccontò di come, giunto in quest'Isola, non era stato più capace di staccarsene, e com'egli era stato accolto dalla bella dama che era padrona d'ogni cosa intorno. - Questa dama si chiama Lugistella, - aggiunse, - e ha una bellissima sorella minore che si chiama Isabella: se la vuoi sarà tua.

Insomma, passate le dodici ore, la nave salpò senza Giovanni. Anch'egli dopo un primo momento di rimorso, dimenticò il padre e l'acqua miracolosa e restò come suo fratello ospite del palazzo di cristallo. Passati i tre mesi, il Re Massimiliano, non vedendo tornare il suo secondo figlio, cadde nello sgomento, e con lui tutta la Corte era in preda al dolore. Allora si fece ardito Andreino e dichiarò al padre che sarebbe andato lui alla ricerca dei fratelli e dell'acqua della Regina Marmotta. - Anche tu vuoi lasciarmi? - disse il Re. - Cieco e affranto come io sono, devo restare senza figli al mio fianco? - Ma Andreino gli ridiede la speranza di vedere il ritorno dei tre figli tutti salvi e con l'acqua miracolosa, e il padre acconsentì.

La nave gettò l'ancora all'Isola di Buda, e si fermava due giorni. - Lei può scendere, - disse il capitano ad Andreino, - ma badi di tornare in tempo, se non vuole restare a terra, com'era successo a due altri giovanotti mesi addietro, che non se n'è saputo più nulla -. Andreino capì che parlava dei suoi due fratelli e che essi dovevano essere nell'Isola. Allora si mise a girarla e li trovò nel palazzo di cristallo. S'abbracciarono e i fratelli raccontarono ad Andreino dell'incanto che li teneva a Buda: - Stiamo in un paradiso, sai, - gli dissero, - ognuno di noi ha una bella signora: io ho la padrona, Giovanni ha la sorella; se vuoi restare anche tu, credo che le nostre dame abbiano ancora una cugina.

Ma Andreino: - Si vede che avete perso la testa, se non vi ricordate del dovere verso vostro padre! Io devo trovare l'acqua della Regina Marmotta e nulla può smuovermi da questo proponimento: né ricchezze, né divertimenti, né belle dame!

I fratelli, a questo discorso, si chiusero nel silenzio e si voltarono, offesi. Andreino tornò subito a bordo e spiegate le vele la nave con buon vento arrivò al paese d'Armenia.

Una volta in Armenia, Andreino cominciò a domandare a tutti dove fosse la città della Regina Marmotta, ma pareva che nessuno mai l'avesse sentita nominare. Dopo settimane d'inutile ricerca, un tale lo indirizzò a un vecchio che stava in vetta a un monte. - È un vecchio vecchio quanto il mondo, che si chiama Farfanello. Se non sa lui dove si trova questa città, non lo sa nessuno.

Andreino s'arrampicò sulla montagna. Trovò il vegliardo decrepito e barbuto nel suo casolare e gli palesò la sua ricerca. - Eh, caro giovane, - disse Farfanello, - sì, l'ho sentito ricordare questo luogo, ma è molto lontano. Bisogna prima attraversare un oceano, e ci vorrà almeno un mese, e la navigazione è piena di pericoli. Ma se arriverai sano e salvo, t'aspettano ancora pericoli più gravi nell'Isola della Regina Marmotta, che porta con sé il nome della disgrazia, perché la chiamano l'Isola del Pianto.

Andreino, contento d'aver finalmente avuto notizie sicure, si imbarcò al porto di Brindisse. Il viaggio nell'oceano fu rischioso per via di certi smisurati orsi bianchi che vi nuotavano, capaci di rovesciare anche grossi navigli. Ma Andreino, bravo cacciatore, non ebbe paura, e la nave sfuggì le unghiate degli orsi bianchi e arrivò all'Isola del Pianto. Il porto pareva abbandonato: non s'udiva un rumore. Andreino sbarcò e vide una sentinella con lo schioppo, immobile: gli domandò la strada ma quella restava ferma come una statua e taceva. Chiamò i facchini per il bagaglio, ma i facchini stavano fermi, alcuni con pesanti casse sulla schiena, e con un piede proteso avanti. Entrò nella città; da una parte della via stava un ciabattino nell'atto di tirare lo spago, fermo e zitto: dall'altra un caffettiere col bricco alzato faceva il gesto di versare a una donna il caffè, tutti immobili e muti. Per le strade, alle finestre o nelle botteghe c'era pieno di gente; ma parevano tutti di cera, fermi nelle più strane posizioni. Anche i cavalli, i cani, i gatti, tutti erano fermi. Andreino girando in quel silenzio arrivò a uno splendido palazzo, con statue e lapidi che ricordavano gli antichi Re dell'isola, e sulla facciata un bassorilievo pieno di figure con una scritta in lettere d'oro contornata da raggi: A Sua Signoria la Regina de' Luminosi, che governa quest'Isola di Parimus.

"Dove sarà questa Regina? - si domandò Andreino. - Che sia lei quella che chiamano la Regina Marmotta?" e salì uno scalone d'alabastro, traversò alcune sale tutte stucchi, sorvegliate alla porta dal solito armigero incantato. In un salone una gradinata di marmo portava ad un ripiano, dove sotto un baldacchino stava il trono con le insegne reali tempestate di diamanti. Un ceppo di vite, da un vaso d'oro, era tanto cresciuto che i tralci s'erano avviticchiati per tutta la stanza e il trono e il baldacchino, e tutto era gremito di pampini e di grappoli maturi. E da altri vasi e dalle finestre del giardino alberi da frutto d'ogni genere avevano invaso la sala. Andreino, cui a forza di girare era venuta fame, strappò una mela da un ramo e la morse. Aveva appena addentata la mela, che la vista gli s'oscurò e poi si spense del tutto. - Povero me! - gridò. - Sono cieco! E come farò in questo paese sconosciuto, popolato solo da statue! - E a tentoni cercava di ritrovare la strada, ma mise i piedi in un trabocchetto, sprofondò nel vuoto e s'inabissò nell'acqua. Con poche bracciate rivenne a galla, e appena ebbe messo la testa fuori s'accorse d'aver recuperato la luce. Era in fondo a un profondo pozzo, e lassù c'era il cielo. "Ecco, - pensò Andreino, - questo è il pozzo di cui parlò quel Mago. Questa è l'acqua che guarirà mio padre, se mai potrò uscire di qui e portargliela". Vide una corda che pendeva nel pozzo e arrampicandosi ad essa venne fuori.

Era notte e Andreino cercò un letto per dormire. Trovò una camera messa su alla reale, con un gran letto e dentro una fanciulla di bellezza angelica. La fanciulla stava con gli occhi chiusi e la bocca serena ed egli capì che l'incantesimo l'aveva colta nel sonno. Andreino, dopo aver un po' riflettuto, si spogliò e s'infilò nel letto accanto a lei, e così passò con lei una dolcissima notte, senza ch'ella mostrasse in alcun modo d'accorgersi della sua presenza. A giorno, saltò dal letto e lasciò un foglio sul comodino, dove scrisse: "Andreino, figlio di Re Massimiliano di Spagna, ha dormito in questo letto con gran gioia il 21 marzo dell'anno 203". Prese una bottiglia dell'acqua che ridava la vista e una mela di quelle che la toglievano, e se ne partì.

La nave fece di nuovo scalo all'Isola di Buda, e Andreino andò a visitare i suoi fratelli. Raccontò loro le meraviglie dell'Isola del Pianto, la notte passata con quella leggiadra fanciulla, e mostrò loro la mela che accecava e l'acqua che ridava la vista. I due fratelli, presi subito da invidia, almanaccarono tra loro un tradimento. Rubarono ad Andreino la bottiglia e al suo posto ne misero un'altra uguale piena d'acqua fresca; e poi dichiararono che volevano tornare a casa con lui per presentare al padre le loro spose.

Giunti in Spagna, la contentezza di Re Massimiliano al ritorno dei suoi tre figli sani e salvi non si può neanche descrivere. Passata la prima furia degli abbracci, chiese il Re: - E chi di voi ha avuto più fortuna? - Gugliermo e Giovanni stettero zitti, e Andreino disse: - Caro padre, oso dire d'esser stato io il più fortunato, perché ho ritrovato e riportato a casa i fratelli smarriti; sono arrivato fino alla città della Regina Marmotta e ho preso l'acqua che vi ridarà la vista; e in più ho un altro oggetto di incredibile potere di cui farò subito la prova.

Tirò fuori la mela e la porse a sua madre perché la mangiasse. La Regina l'addentò e subito si sentì venir cieca e diede un grido. - Non vi sgomentate, mamma, - disse Andreino tirando fuori la bottiglia, - ché con un po' di quest'acqua ridarò la vista non solo a voi, ma anche al babbo che da tanto tempo l'ha perduta.

Ma l'acqua era quella della bottiglia sostituita dai fratelli, e la vista non tornò. La Regina piangeva, il Re s'arrabbiava e Andreino era sbigottito. Allora s'avanzarono i fratelli e dissero: - Questo accade perché non è stato lui a trovare l'acqua della Regina Marmotta, ma noi. Ed eccola qui -. E bagnati gli occhi con l'acqua rubata, i due vecchi tornarono a vederci come prima.

Successe un putiferio: Andreino gridava contro i fratelli, chiamandoli ladri e traditori; i fratelli con aria sdegnosa lo trattavano da piccolo bugiardo; il Re non capiva più niente e finì per credere alle parole di Gugliermo e Giovanni e delle loro spose e disse ad Andreino: - Taci, svergognato! Non solo non volevi guarire me, ma volevi pure accecare tua madre! Soldati, prendete questo ingrato, conducetelo in un bosco ed ammazzatelo. Voglio che mi riportiate il suo cuore. Ne va della vostra testa.

I soldati trascinarono via Andreino che gridava le sue proteste disperate e lo portarono in una macchia fuor dalla città. Ma Andreino trovò modo di raccontar loro la sua storia e li convinse. Non volendosi macchiar le mani di sangue innocente, i soldati gli fecero promettere che mai più sarebbe tornato nel paese e lo lasciarono libero. Al Re portarono il cuore di un maiale, comprato da un contadino e sgozzato lì per lì.

All'Isola del Pianto, passati nove mesi, la fanciulla addormentata diede alla luce un bel bambino, e nel darlo alla luce si destò. Destatasi la Regina, cadde l'incantesimo che per invidia le aveva gettato la Fata Morgana, e si destò tutta la popolazione, e la città tornò in vita. I soldati fermi sull'attenti si misero sul riposo, quelli sul riposo scattarono sull'attenti, il calzolaio tirò lo spago, il caffettiere fece traboccare il caffè, e i facchini del porto passarono i loro carichi sull'altra spalla perché da quella di prima erano un po' stanchi.

La Regina, stropicciatasi gli occhi, si domandò: "Chi può aver avuto l'ardire di venire fin qui e dormire in questa stanza, e così sciogliere dall'incantesimo me e i miei cari sudditi?"

Una delle damigelle allora le porse il foglio lasciato sul comodino, e così la Regina seppe che era stato Andreino figlio di Re Massimiliano. Subito scrisse una lettera al Re, dicendo che le mandasse Andreino senza indugio, se no gli avrebbe mosso guerra.

Re Massimiliano, appena ricevette quella lettera, chiamò Gugliermo e Giovanni, gliela diede loro a leggere e domandò il loro parere. I due non sapevano cosa rispondere; finalmente fu Gugliermo che parlò: - Questa è una storia difficile da capire, se qualcuno non va dalla Regina per chiarirla. Andrò io e sentirò.

Il viaggio di Gugliermo fu più facile perché non c'era più l'incantesimo della Fata Morgana e gli orsi bianchi erano spariti. Si presentò alla Regina dicendo d'essere lui il Principe Andreino.

La Regina che era diffidente di natura, cominciò a scalzarlo: - In che giorno venisti qui la prima volta? Come trovasti la città? Io dov'ero? Cosa ti successe nel palazzo? Cosa trovi di nuovo? - E così via. Gugliermo cominciò a imbrogliarsi, a confondersi, a balbettare, e la Regina fu presto convinta che era un mentitore. Lo fece prendere e decapitare, e la testa tagliata la fece conficcare a un arpione sulla porta della città, con la scritta: "Così accade a chi è colto in bugia".

Al Re Massimiliano la Regina Marmotta scrisse un'altra lettera, dicendo che se non gli mandava Andreino, il suo esercito era già pronto per muovergli guerra bruciandogli il Regno e distruggerlo con tutta la sua famiglia e il popolo. Il Re, già pentito d'aver fatto uccidere Andreino, si rammaricava con Giovanni: - E ora cosa facciamo? Come spiegarle che Andreino non c'è più? E Gugliermo perché non torna? - Giovanni allora si offerse d'andare lui dalla Regina Marmotta. Andò all'Isola, ma quando sulla porta della città vide pendere la testa di Gugliermo, non volle sapere altro e tornò indietro lesto come il vento. - Padre mio! - disse al Re: - siamo rovinati! Gugliermo è morto e la sua testa è appesa sulla porta della città. Se c'entravo anch'io, a quest'ora c'era un'altra testa sull'altro battente.

Il Re col capo tra le mani, farneticava: - Morto Gugliermo! Anche lui! Ah, certo Andreino era innocente, e tutto succede per mio castigo. Ma tu, Giovanni, almeno tu dimmi la verità, scoprimi questo tradimento, prima che io muoia.

- La colpa è stata di quelle nostre dame! - disse Giovanni. - Noi dalla Regina Marmotta non ci siamo mai andati e scambiammo la bottiglia ad Andreino.

Il Re, inveendo, piangendo, strappandosi i capelli, chiamò i soldati perché lo portassero dove Andreino era sepolto. Tra i soldati ci fu un gran turbamento, e il Re che se ne avvide fu ripreso dalla speranza. - Suvvia, ditemi la verità. Qualunque sia, parola di Re, io vi perdono.

Allora, tremando, i soldati dissero che la sentenza non era stata eseguita per loro disubbidienza; e con gran loro sorpresa il Re prese a baciarli ed abbracciarli pazzo d'allegria. Furono appesi i bandi a tutte le cantonate, che chi avesse ritrovato Andreino, avrebbe avuto dal Re un premio da star ricco tutta la vita.

Andreino tornò, riempiendo di contentezza il vecchio padre e la Corte, e subito ripartì per l'Isola del Pianto dove fu accolto in trionfo.

- Andreino, liberatore mio e del mio popolo, - disse la Regina. - Tu sarai il mio sposo e Re per sempre! - E per molti mesi non si sentirono nell'Isola che canti di gioia, così che la chiamarono l'Isola della Contentezza.


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