Folk Tale

Il figlio del mercante di Milano

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU851
LanguageItalian
OriginItaly

C'era una volta in Milano un mercante che aveva moglie e due figlioli. Dei due preferiva il maggiore perché grande ormai da poterlo aiutare nei suoi traffici; al piccolo non che volesse male, ma lo trattava ancora da bambino, e poco gli badava. Era un mercante ricco che ormai andava dietro solo ai negozi d'immenso guadagno, e così ora andava in Francia per certe fabbriche, un'impresa che secondo i suoi calcoli doveva portargli un frutto smisurato. Il figlio maggiore doveva andare con lui, ma anche il piccolo, che si chiamava Menichino, non ristava dal ronzargli intorno: - Voglio venire anch'io con voi, babbo. Sarò buono, vedrete, v'aiuterò io pure. Non voglio rimaner solo qui a Milano -. E il padre, che non ne voleva sapere, per farlo star zitto gli minacciò un paio di ceffoni.

Venne l'ora; il mercante e il figlio fecero portare i bauli e salirono in carrozza. Era notte, e tra il buio e il trambusto della partenza, i postiglioni non s'accorsero che sulla pedana dietro alla carrozza s'era accoccolato Menichino.

La carrozza fermò alla prima posta a cambiare di cavalli, e il ragazzetto per non esser visto saltò a terra e aspettò che il legno si muovesse di nuovo per tornare sulla pedana. Alla seconda posta era già giorno, e Menichino s'andò a nascondere a una svolta, per aspettare che passasse la carrozza e saltar su. Ma la carrozza partì di volata, e lui non fece in tempo a saltare: restò solo in mezzo alla via maestra.

A vedersi così solo, senza un soldo e affamato per luoghi sconosciuti, il ragazzetto si sentì voglia di piangere; ma poi si fece coraggio e si diede a esplorare la campagna. Seduta sul bordo della via trovò una vecchia. - Dove vai così solo: ti sei perso? - disse la vecchia.

- Smarrito davvero, nonna, - disse Menichino. - Ero in carrozza con mio padre e mio fratello, e a una stazione di posta la carrozza è ripartita senza di me, così sono qua, e non so neanche la strada per tornare a casa da mia mamma. Ma del resto, a casa non ci ho niente da fare: preferisco andare per il mondo in cerca di fortuna, visto che mio babbo m'ha lasciato in mezzo a una strada.

Rifletté un po', poi aggiunse: - Be', per dire la verità, il mio babbo non lo sapeva d'avermi con sé; ero nascosto sulla pedana dietro, perché volevo anch'io andare in Francia.

La vecchia disse: - Bravo, sei stato sincero e hai fatto bene, perché io sono una Fata e sapevo tutto lo stesso. Se cerchi la tua fortuna, t'insegnerò io dove la potrai trovare, se sarai accorto e rispettoso.

- Certo sono giovane, - disse Menichino, - non dico di no, ma i miei quattordici anni e un po' di cervello credo d'averceli. Dunque, nonna, se avete questa buona intenzione d'aiutarmi, state sicura che farò tutto ciò che mi direte.

- Bravo, - disse la Fata. - Sappi che il Re del Portogallo ha una figlia dottora, che è capace d'indovinare qualsiasi indovinello. E il Re l'ha promessa in sposa a chi saprà proporle un indovinello che lei non riuscirà a spiegare. Tu sei un ragazzo in gamba: trova un indovinello e la tua fortuna è fatta.

Disse Menichino: - Già, ma come volete che io sia capace a mettere insieme un indovinello da far passar per scema una signorina col cervello così fino? Ci vuole gente studiata, non ignoranti come me.

- Oh! - disse la vecchia, - io ti metto sulla via, il resto ingegnati a farlo tu. Ti regalo questo cane: ricordati che il suo nome è Bello, e sarà lui che ti farà comporre l'indovinello. Prendilo con te e va' sicuro.

- Bene, nonna, se lo dite voi ci credo. Intanto vi ringrazio: siete stata gentile ed è questo che conta, - e se ne andò, salutandola con cortesia, anche se alle sue parole non ci credeva molto. Ciononostante prese il cane per il guinzaglio e seguitò il suo cammino.

Verso sera arrivò a una casa di contadini, e chiese per carità qualcosa da mangiare e un asilo per la notte. Gli aperse una donna e gli disse: - Come mai giri solo la notte con un cane per tutta compagnia? Non hai il babbo e la mamma?

Menichino disse: - Volevo andare in Francia e m'ero nascosto dietro la carrozza e mio babbo è partito. Adesso vado a dire un indovinello alla figlia del Re di Portogallo, e questo cane me l'ha regalato una Fata e m'insegnerà l'indovinello e così sposerò la figlia del Re.

La donna, che era un'anima nera, pensò: "Se questo cane insegna gli indovinelli, potrei rubarglielo e mandare mio figlio dalla Principessa", e decise d'uccidere il ragazzo.

Gli impastò una focaccia avvelenata e gli disse: - Tieni, questa noi la chiamiamo pizza; io a casa non posso alloggiarti perché mio marito non vuole che apra mai a forestieri, ma tu puoi andare a dormire in una nostra capanna che troverai appena entrato nel bosco. Portati nella capanna questa pizza e mangiala: domattina verrò a svegliarti e ti porterò il latte.

Menichino ringraziò e andò verso la capanna. Ma il cane aveva più fame di lui e faceva salti intorno alla pizza che lui teneva in mano; allora sbeccò la pizza e ne buttò un cantuccio al cane. Bello lo prese al volo, e appena l'ebbe ingoiato, cominciò a tremare, si buttò a pancia all'aria, allungò le zampe e morì. Menichino lo guardò a bocca aperta, gettando via il resto della pizza. Poi si riscosse ed esclamò: - Ma questo può essere il principio dell'indovinello: Pizza ammazza Bello / E Bello salva me.

Non mi resta che trovare il seguito.

Proprio in quel momento, tre corvi che volavano in cielo, vedendo il cane morto, calarono a posarglisi sulla pancia e cominciarono a beccare. Dopo un minuto erano tutti e tre stecchiti.

"Ecco come continua", si disse Menichino.

Un morto ammazza tre Prese i tre corvi e se li legò a tracolla col guinzaglio del cane. A un tratto, dal bosco escono dei ladri armati e coi musi lunghi dalla fame. - Cos'hai, con te? - chiesero a Menichino. Menichino che aveva solo quei tre corvi, non si spaventò: - Tre uccelli da fare allo spiedo, - disse.

- Dàlli a noi, - dissero i ladri e glieli portarono via. Menichino si nascose su un albero per vedere cosa succedeva. I ladri fecero i corvi allo spiedo e morirono tutti e sei.

Così Menichino andò avanti un altro pezzo: Pizza ammazza Bello / E Bello salva me. / Un morto ammazza tre / E tre ne ammazzan sei.

Ma vedere i ladri mangiare gli aveva ricordato che aveva fame, e lì c'era lo spiedo già preparato. Prese il fucile a uno dei ladri morti e mirò a un uccello su un albero. Era un uccello che stava covando, e la cartuccia invece di colpire l'uccello colpì il nido, che cascò a terra. Dalle uova rotte uscirono degli uccelletti ancora implumi; lui li mise sul focolare che era servito per i corvi e per accendere il fuoco strappò le pagine d'un libro che era nel bottino d'uno dei ladri morti. Poi tornò sull'albero e s'addormentò tra i rami. Adesso aveva in testa tutto il suo indovinello.

Quando arrivò in Portogallo, nella Città Reale, sporco e stracciato com'era per la lunga strada, subito volle presentarsi alla Principessa. La Principessa si mise a ridere: - Ma che faccia tosta questo straccionello! Pretende di vincere me, e di diventare mio marito.

- Aspetti a giudicarmi di aver sentito l'indovinello, Principessa, - disse Menichino, - ché il decreto del Re suo padre è dedicato a tutti e non fa distinzione tra le persone.

- Sì, parli proprio bene, - disse la Principessa, - però se vuoi ritirarti sei ancora in tempo, e ti risparmieresti un carico di bastonate.

Menichino esitò un po', poi ripensò a quel che gli aveva detto la Fata e si fece coraggio.

- Allora il mio indovinello è questo, - disse.

Pizza ammazza Bello / E Bello salva me. / Un morto ammazza tre / E tre ne ammazzan sei. / Io sparai a chi vidi / E presi chi non vidi. / Mangiai carne non nata / Cuociuta con parole. / Ho dormito né in cielo né in terra, / Indovinate voi, mia Reginella.

Appena Menichino ebbe finito la principessa esclamò: - Sì, sì, sì, è facilissimo. Dunque: c'è un tuo fratello, o un amico, che si chiama Pizza: e per salvarti dalle mani di Bello, tuo nemico, l'ha ucciso, e Bello, con la sua morte ti salvò, perché non poteva farti più del male. Eh, va bene? Ma prima di morire, quel Bello, ne ha ammazzati tre, uhm, e poi questi tre... Aspetta...

Poggiò i gomiti sulle ginocchia, poggiò il mento sulle mani, e cominciò a grattarsi la collottola, a prender delle pose poco adatte per una Principessa, nello sforzo di pensare. - Carne non nata... Già... cuociuta con parole... Vuol dire... Riuscissi a trovar il bandolo... - Finalmente, s'arrese: - Mi do per vinta. È un indovinello impossibile. Spiegamelo un po' tu.

Allora Menichino raccontò per filo e per segno la sua storia, e chiese che fosse mantenuta la promessa reale. La Principessa disse: - Be', hai ragione, rifiutarmi non posso, però di diventare sposa tua non ne ho proprio voglia. Se però tu ti mettessi d'accordo con mio padre per un accomodamento, io sarei molto più contenta.

E Menichino: - Vediamo quest'accomodamento. Se ci trovo la mia convenienza, io ci sto. Guardate però che io giro il mondo per mutare la mia fortuna, e se non sposo la Principessa bisogna che abbia qualcosa che valga il cambio.

- Anzi, ci guadagni, - disse la Principessa, - diventerai ricco sfondato e potrai realizzare ogni tuo desiderio. Vuoi mettere, con l'avere per moglie una Principessa che non ti vuole, sempre scontenta e irritata contro di te? In cambio sai cosa ti do? Il Segreto del Mago della Montagna del Fiore, e quando hai questo segreto in mano, sei a posto.

- E dov'è, questo Segreto?

- Devi andarlo a prendere tu di persona, dal Mago, sulla Montagna del Fiore. Ci andrai a nome mio, e te lo darà.

Menichino stette un po' a pensare se gli conveniva lasciare il certo per l'incerto, ma essere il marito della Principessa gli faceva più paura che piacere, e si fece spiegare la strada per la Montagna del Fiore.

La Montagna del Fiore era una montagnaccia impenetrabile, e Menichino faticò molto ad arrivare fino in cima. Lassù, su quelle rocce, e non si capiva come avessero potuto costruirlo, c'era un immenso castello circondato da giardini. Menichino bussa e gli aprono certi esseri smisurati, né uomini né donne, brutti da far paura alla paura in persona. Menichino se li aspettava ancora peggio e li guardò in faccia tranquillo, chiedendo che lo introducessero dal Mago. Venne il maggiordomo del Mago, che era un gigante mostruoso, e disse: - Ragazzo, tu coraggio ne hai da vendere, però col mio padrone è meglio che non cerchi di far conoscenza, perché ha il vizio di mangiarsi i cristiani belli e crudi!

E Menichino: - Sia come sia, ho bisogno di parlare col Mago faccia a faccia. Perciò fate il piacere d'annunziarmi.

Il Mago se ne stava sempre in panciolle su ricchi tappeti e cuscini, e a sentirsi annunciare la visita di un ragazzo, pensò: "Questo è un buon boccone di cristiano fresco fresco per colazione!" Entrò Menichino, e il Mago: - Chi sei? Cosa vuoi da me?

- Non si preoccupi, signor Mago, - disse Menichino, - non vengo da lei per nulla di male. Sono un povero ragazzo in cerca della sua fortuna, e m'hanno indirizzato da lei che è così caritatevole coi poveri sfortunati.

Il Mago, a udir questa battuta, scoppiò in una risata che fece tremar tutto il palazzo. - Ma si può sapere chi ti ha mandato? - E Menichino gli raccontò tutta la storia. Il Mago si alzò su un gomito per vederlo meglio: - Però, - disse, - sei un ragazzo di fegato e poi sei sincero: ti meriti questo premio. Il mio segreto è questa bacchetta fatata. Io te la do, ma guai se te la lasci rubare o se la perdi. È una bacchetta che ogni volta che tu la batti in terra e chiedi quel che vuoi, l'avrai subito. Tienila, e vattene pure sano e salvo.

Scendendo dalla Montagna del Fiore, Menichino rifletté per bene, e decise che meglio di tutto era tornare a casa in veste da signore e vedere se i suoi erano vivi e si ricordavano ancora di lui. "Questa sarà la prima prova della bacchetta fatata", si disse. La picchiò in terra e sentì una voce che diceva: - Comandi! - Rispose Menichino: - Comando una carrozza con tiro a quattro, lacchè, staffieri e vestiario da gran signore -. Ed ecco che davanti ai suoi occhi c'era una carrozza con bellissimi cavalli, e i servitori gli porgevano i vestiti all'ultima moda perché si cambiasse. I cavalli erano fatati e fecero tutta la strada fino alla città di Milano senza bisogno del cambio.

Arrivato a Milano, trovò che i genitori non stavano più nel palazzo di prima. L'affare di Francia invece che in un guadagno s'era risolto per suo padre in un grosso imbroglio, e ci aveva rimesso tutte le ricchezze. Adesso s'erano ridotti a pigione in una catapecchia quasi fuori della città. Menichino ci arrivò con cavalli e servitori, e fece restare a bocca aperta i genitori. Non fece parola della verga; disse d'aver fatto fortuna negli affari, e che d'ora innanzi avrebbe provveduto lui per tutti. Difatti, con la bacchetta fece apparire un gran palazzo e raccontò che era stato costruito da operai molto esperti e veloci che erano ai suoi ordini. La famiglia vi s'alloggiò, in mezzo a una gran dovizia di mobili, vestiti, cavalli, servi, camerieri, per non parlare dei quattrini.

Regnava la contentezza, ma il fratello di Menichino era roso dall'invidia. Lui che era il maggiore, il beniamino di suo padre, doveva starsene lì sottoposto e mantenuto dal fratello minore. E s'arrovellava per scoprire donde veniva la ricchezza di Menichino. Cominciò a spiarlo dal buco della chiave: e così lo vide almanaccare con quella bacchetta e decise di rubargliela. Menichino teneva la bacchetta nel cassettone di camera sua, e un giorno che era fuori suo fratello entrò in camera e la portò via. Quando fu nelle sue stanze, cominciò a batter la bacchetta in terra per provarne le virtù. Ma era inutile perché nelle sue mani la bacchetta non contava più nulla. Il fratello si disse: "Mi sarò sbagliato: non è questa la bacchetta magica". E andò a rimetterla nel cassettone di Menichino e a frugare se ne trovava un'altra. Ma era appena entrato nella stanza, che udì il passo di Menichino per le scale. Per paura d'essere scoperto, spezzò in due la bacchetta e la buttò dalla finestra che dava sul giardino.

Menichino la bacchetta non l'adoperava tutti i giorni ma solo quando ne aveva bisogno; così non s'accorse subito della sparizione. Ma la prima volta che la cercò, fu lì lì per diventare matto. Si vide perduto, pensò che da tanta ricchezza sarebbe presto finito in rovina. Prese a passeggiare per il giardino in preda a pensieri disperati, quando sui rami d'un albero vide posata una bacchetta stroncata in due. Il cuore gli balzò in petto. Scosse la pianta, i pezzi caddero a terra e nel momento in cui caddero, una voce disse: - Comandi! - Menichino passò sull'istante dalla disperazione a una gran felicità: quella era la sua bacchetta, e anche rotta conservava le sue virtù! Legò insieme i due pezzi e si ripromise d'esser più prudente per l'avvenire.

In quel tempo successe che il Re di Spagna mandò un bando in tutti i paesi: la sua figlia unica era in età da marito, e s'invitavano i più bravi cavalieri d'ogni nazione a combattere una giostra per tre giorni di fila: il vincitore avrebbe avuto la mano della figlia e l'eredità del Regno. Menichino pensò che questa fosse la volta buona per diventare Principe della Corona e poi Re. Con un colpo di bacchetta fece comparire un'armatura splendente, cavalli e scudieri e partì per la Spagna. Non volendo palesare il suo nome e la sua nascita, prese alloggio in una locanda fuori mano, e aspettò il giorno della giostra.

La giostra si teneva in uno spiazzo battuto, e tutt'intorno di là dello steccato s'affollavano signori e signore d'ogni sorta, e in una tribuna col baldacchino si vedeva il Re e la Principessa in conversazione coi più gran Baroni. Tutt'a un tratto la folla si volta e suonano le trombe: entrano a lancia puntata i cavalieri, cominciano a darsele, e tutte quelle che uno pigliava eran le sue: così piovevano botte da orbi contro le corazze ma nessuno cascava mai in terra perché erano tutti ugualmente forti e valorosi, quando nella pista entra al galoppo un nuovo cavaliere, con la visiera calata, l'arme mai vista prima, e uno per uno sfida quegli altri a combattere con lui. Uno ci si prova, cozza e va giù in terra: ci si prova un altro ed è sbudellato; un terzo gli si spezza la lancia: un altro gli va via l'elmo; e così li metteva fuori combattimento tutti. Si volta per fare il giro del vincitore e invece infila la porta dello steccato e galoppa via. Tutti rimasero sbalorditi, a cominciare dal Re e non restavano più dall'almanaccare su chi poteva essere, ma non cavavano un ragno dal buco.

- Vedremo se si ripresenterà domani, - dicevano. E difatti il cavaliere ignoto si ripresentò, disarcionò tutti come il giorno prima, e scappò via senza farsi conoscere.

Il Re, un po' incuriosito, e un po' offeso, diede ordine che il terzo giorno lo arrestassero, e fece raddoppiare le guardie allo steccato. Il cavaliere venne e ottenne la vittoria finale, andò a inchinarsi alla tribuna reale e quando la Principessa tutta ammirata gli buttò il suo fazzoletto ricamato lo prese al volo e prese il galoppo per uscire. Le guardie gli si fecero sotto, ma lui con pochi colpi di spada si aperse la via e scappò, malgrado che un colpo di lancia gli si fosse affondato in una coscia.

Il Re fece frugare tutta la città, dentro e fuori le case e le locande, e finalmente trovarono in quell'alberguccio Menichino, a letto per una ferita alla coscia. Dapprima non erano sicuri fosse lui lo sconosciuto, perché non si capiva come un gran cavaliere avesse scelto un alloggio così modesto, ma poi videro che la sua ferita era fasciata col fazzoletto ricamato della Principessa e non ebbero più dubbi. Condottolo dal Re, questi gli chiese di palesare l'esser suo, perché se non v'erano macchie sul suo onore sarebbe diventato Principe ed erede del Regno.

- Macchie io non ne porto, - disse Menichino, - ma non sono cavaliere di nascita, bensì figlio di un mercante di Milano.

Dai Principi e Baroni si levò un raschiar di gola, uno stropiccìo di piedi, che aumentò via via che lui raccontava la sua storia.

Quand'ebbe finito, parlò il Re. Disse: - Voi siete non cavaliere ma figlio di mercante e ogni vostro bene è frutto di incantesimo. E se l'incantesimo si perde che ne sarà di voi e dei vostri averi?

E la Principessa: - Ecco in che rischio lei m'ha messo, signor padre, col suo editto di giostra!

E i Baroni: - Dovremmo noi accettare per sovrano uno che è nato più in basso di noi?

E il Re: - Zitti tutti! Cos'è questo brusìo? Non c'è dubbio che questo giovane, conforme alla mia parola di Re, ha diritto alla mano di mia figlia e al Regno in eredità. Ma se lui si contentasse, visto che nessuno di voi qui l'accoglie bene, e ci resta ancora da vedere come la prende il popolo, io gli propongo di rinunciare a mia figlia e d'accettare uno scambio di premi.

- Faccia delle proposte, Maestà, - disse Menichino, - perché se trovo convenienza, io accetto.

- La mia idea, - disse il Re, - sarebbe di concedervi una pensione di mille lire all'anno fino a che campate.

- Allora accetto, - disse Menichino, e fu chiamato subito un notaio per l'obbligazione. Menichino ripartì tosto per Milano.

A casa trovò il vecchio mercante ammalato, che di lì a poco rendé l'anima a Dio. Restarono i due fratelli con la vecchia madre, e il maggiore era sempre più invidioso, tanto più che le ricchezze accumulate erano tante, che non c'era più bisogno di bacchetta magica per continuare ad essere ricchi. Così il fratello maggiore divisò di far ammazzare Menichino e assoldò due sicari. Menichino soleva andare in visita a una villa d'amici fuori delle porte di Milano, e i sicari s'appostarono per via. Ma Menichino portava la bacchetta sempre con sé e appena fuori porta, la batté per terra.

- Comandi!

- Comando che il cavallo corra quanto il pensiero -. E i sicari si sentirono passare davanti il cavallo senza manco poter dire d'averlo visto.

- Lo fermeremo al ritorno, quand'è notte.

Ma Menichino anche al ritorno correva come il pensiero, e i sicari sentirono solo un movimento dell'aria, come un fischio.

Il fratello aperse loro il portone del palazzo e li condusse alla camera dove Menichino dormiva. Ma Menichino che fiutava l'aria d'insidia aveva comandato alla bacchetta che il suo uscio non si potesse aprire in nessun modo, e i sicari s'affannarono invano a scassinarlo tutta la notte, finché le prime luci dell'alba li misero in fuga.

Fu allora che Menichino commise un fatale errore. Pensò: "Se continuo a uscire con la bacchetta, finisce che mi assaltano a tradimento e me la portano via. Meglio che la nasconda in camera". Così fece e uscì a caccia coi suoi amici. Ma il fratello, che stava sempre all'erta, gli mise sossopra armadi e cassettoni finché trovò quella verga rotta in due pezzi: "Allora è proprio questa! - pensò. - Se no mio fratello non l'avrebbe raccattata dal giardino dove l'avevo buttata! Ora non la vedrà più". Corse in cucina e la scagliò nella brace. La bacchetta andò subito in cenere, e in quello stesso momento, palazzo, denari, cavalli, vestimenti, ogni cosa acquistata per sua virtù divenne cenere anch'essa.

A Menichino che era in mezzo al bosco, si incenerì lo schioppo che aveva in mano, il cavallo sotto di sé, i cani che correvano dietro la lepre, e ogni cosa portò via il vento. Ed egli capì che tutta la sua ricchezza era perduta per sempre, per sua imprudenza, e scoppiò a piangere.

Tornare a Milano, ormai era inutile. Pensò meglio avviarsi verso la Spagna, dove aveva pur sempre quella pensione di mille lire all'anno assegnatagli dal Re. E sospirando si mise in viaggio a piedi.

Al traghetto di un fiume incontrò un uomo, mercante di buoi. Come s'usa tra viaggiatori, si salutarono e presero a raccontarsi i loro casi, traversando in barca e poi accompagnandosi per via. L'uomo, impietosito della sfortuna di Menichino, lo invitò a venir con lui portando il bestiame ai mercati, secondo le richieste. Menichino s'accordò sul compenso e cominciarono a girare per le fiere. Già aveva cominciato a raggranellare un nuovo gruzzolo, quando una volta, dormendo in una locanda col compagno, venne una banda d'assassini ad assaltarli. Menichino, con l'oste ed il mercante di buoi, presero le armi per resistere, ma gli assassini erano in tanti e lo sopraffecero e li uccisero. Così ebbero fine le fortune e le sfortune di Menichino.

Non ebbe migliore fortuna suo fratello. Rimasto povero, tentò invano la mercatura, e di malestro in malestro finì a rubare insieme a dei ladri di mestiere. Ai ladri si sa, gliene vanno bene nove ma alla decima restano in trappola. Così successe a lui: gli sbirri gli fecero la posta e lo presero sul fatto. Finì in gattabuia incatenato: e non ne uscì che col prete accanto per raccomandargli l'anima prima di morire con la testa sotto la scure del boia.


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