Folk Tale

I Reali sfortunati

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

C'era un Re a Napoli che aveva tre figli. Essendo vecchio volle dar moglie al maggiore e lo sposò con la Regina di Scozia. Poco dopo le nozze del figlio, il Re vecchio morì e il figlio ereditò il trono. Gli altri due fratelli male sopportavano il fatto d'obbedirlo, e tanto lo presero in odio che volevano ammazzarlo. Pensarono tutti i mezzi e finalmente uno dei due propose: - Facciamo così, diamo fuoco al palazzo: moriranno tutti gli abitanti e il Re con loro. Di palazzo noialtri poi ce ne costruiremo un altro -. Così, insieme ad altri birbanti della città, fecero una congiura per incendiare il palazzo reale. Ma uno dei congiurati si pentì e andò dal Re a fare la spia. Vedendolo entrare a fare la spia i congiurati capirono che non c'era tempo da perdere: circondarono il palazzo e gli diedero fuoco.

La Regina, che stava a pianterreno, appena vide le fiamme si buttò dalla finestra e scappò nel giardino con la sua damigella Lisabetta. In fondo al giardino c'era un uscio: l'apersero e furono in salvo. Di lontano si vedeva il palazzo in fiamme che rovinava con tutti quelli che c'erano dentro.

Le due donne entrarono in una macchia: camminarono tutta la giornata, ma la Regina aspettava un bambino e si stancava. Verso sera incontrarono dodici assassini. - Ehilà, donne! Che fate qui per questa macchia?

- La nostra disgrazia ci ha portate fin qui, - disse la Regina.

Gli assassini presero la damigella, la legarono a un albero e la lasciarono lì; la Regina invece la portarono a casa e la tennero con loro. Le facevano far da cucina e i servizi di casa; le insegnarono anche le medicine che tenevano in un armadietto, per quando tornavano feriti. La Regina, mentre era sola, un giorno, frugando nell'armadietto vide una boccetta con su scritto: Veleno da morire in 12 ore. Prese la boccetta e si mise a innaffiare con quel veleno tutte le pietanze. Quando gli assassini vennero per desinare, lei mise tutto in tavola e scappò. Gli assassini lì per lì non ci badarono, si misero a mangiare e morirono tutti avvelenati.

La Regina andava per la macchia cercando se ritrovava la damigella, ma cammina cammina non ne vedeva traccia. Era stanca, si sentiva male: in fondo al bosco trovò un albero cavo, ci entrò per riposarsi e tutto a un tratto le vennero le doglie e diede alla luce un bambino. Rimase nell'albero tutta la notte dandogli il latte. Alla mattina passarono di là due pastori, sentirono il bambino piangere e s'avvicinarono all'albero. Vista la donna con il neonato la soccorsero, la portarono a casa loro e dicevano: - Qui sarete come la padrona di casa, e non vi faremo mancare nulla -. Così la Regina col figlioletto si fermò a vivere nella casa dei pastori, mentre a Napoli i due cognati traditori s'erano fabbricato un palazzo nuovo e regnavano tranquilli.

Erano pastori ricchi, con una grande casa, e un giorno, mentre loro erano fuori, la Regina si mise a girare per le stanze.

Aperse un uscio e vide una scala lunga lunga. Salì e giunse a una porta socchiusa, aperse: c'era un giovane pensoso che sedeva con la fronte tra le mani. La Regina fece per ritirarsi ma lui alzò il capo e le disse di entrare. S'interrogarono l'un l'altro sul perché si trovavano in quella casa e si raccontarono le loro storie.

- Io sono figlio del Re di Portogallo, - disse il giovane. - Mio padre e il suo ciambellano si sposarono il medesimo giorno. Il giorno che io nacqui, alla moglie del ciambellano nacque una bambina, da piccoli stavamo sempre insieme e così crescendo ci innamorammo l'uno dell'altro. Nessuno era a conoscenza del nostro amore, ma io giurai che non sarei andato all'altare con nessun'altra donna che la mia bella Adelaide (così si chiamava). Intanto mio padre s'era fatto vecchio e mi volle dar moglie: mandò ambasciatori alla Regina d'Inghilterra per concludere le nozze. Io non ebbi coraggio di dirgli che amavo Adelaide e lasciai che le trattative procedessero. Un giorno fui costretto a confessarle che stavo per sposarmi con un'altra; non c'è ricordo più amaro per me che il dolore e la collera della mia amata nell'udire le mie parole. Mi cacciò via disperata e indignata, e me lo meritavo. Mio padre faceva fare intanto grandi preparativi per lo sposalizio. Nella sala delle nozze fece fare tre porte: una per i Principi, una per le Damigelle, e una per i Paggi. Durante la cerimonia la sposa s'accorse della mia malinconia. "Senti", mi disse, "se tu non mi prendi volentieri, io sono disposta a tornare a casa mia". Io le risposi con gentilezza che ero così malinconico di natura. E la sposai. Dopo le nozze ci sedemmo in trono: sfilò la Corte, e da una porta venivano avanti tutti i Principi, dall'altra tutte le Damigelle e dalla terza tutti i Paggi. Ultimo dei Paggi era un fanciullo vestito di bianco, con un gran mazzo di fiori. Venne ai piedi del trono, fece una riverenza e salì i gradini per offrire i fiori alla sposa. Mentre ella tendeva la mano per prenderli, il paggetto trasse di tra i fiori un pugnale e la uccise lì sul trono al mio fianco. Il paggio fu afferrato dalle guardie e portato al cospetto di mio padre: appena fu davanti a lui cavò fuori un altro pugnale e si trafisse il petto. Cercarono di soccorrerlo e s'accorsero che era una donna: io m'accostai al paggio e allora riconobbi Adelaide. Era già morta. Nella commozione del momento, raccontai a mio padre il perché di quella sua vendetta. Mio padre, uomo severissimo, appena intese il mio racconto, comandò che io fossi subito rinserrato in una torre, e le chiavi fossero gettate in mare. Là io stetti rinchiuso finché non riuscii con l'aiuto di una lunga fune a calarmi giù e a scappare nel bosco. Dopo molto camminare nel bosco, stanco, m'addormentai in un tronco d'albero cavo. E la mattina fui svegliato da questi due pastori che s'impietosirono della mia sorte e mi condussero in questa casa, dove mi trattarono come un loro figlio. Ma voi, come siete capitata qui?

Allora la Regina gli raccontò la sua storia, ed essi si riconobbero entrambi come perseguitati da un triste destino. - Sentite, - disse il Principe, - poiché a voi è morto il marito e a me la moglie, e la sorte ci ha fatto incontrare, sposiamoci. Pregheremo i pastori di darci due cavalli, e raggiungeremo la Scozia vostra patria.

La Regina approvò e tornati che furono i pastori domandarono loro i due cavalli: da parte loro promettevano che appena tornati alle loro condizioni regali li avrebbero fatti nobili, per tutto il bene che ne avevano ricevuto. I pastori procurarono loro i due cavalli e il Principe prese il bambino della Regina sulla sua sella, e partirono.

Dovevano passare le montagne, e la strada era piena di pericoli. Il cavallo della Regina a un tratto ombrò, fece un passo falso e precipitò giù per i burroni che s'aprivano sotto la strada. Il povero Principe vide in questo fatto un altro segno della disgrazia che lo perseguitava e, affranto, proseguì verso la Scozia a portare il bambino in salvo, e la notizia della Regina ritrovata e poi miseramente morta.

Invece, non era morta. Era precipitata giù, ma rotolando su certi prati s'era salvata, e, seppur malconcia, era viva. Rinvenne, si guardò attorno e là in mezzo a quei precipizi scorse una casina. La raggiunse, bussò, nessuno rispondeva. Tornò più tardi, già a buio, picchiò ancora, non c'era nessuno. S'appostò lì ad aspettare: verso mezzanotte venne un uomo tutto peloso con un carico di bestie morte sulle spalle.

- Tu qui cosa ci fai? - domandò alla Regina.

- Cerco asilo per stanotte, - disse lei.

L'uomo peloso bussò e stavolta venne la moglie ad aprire. La Regina entrò in quel buio, e le diedero da dormire. Al mattino l'uomo peloso uscì a caccia e la moglie portò una tazza di brodo alla Regina. Appena la vide al chiaro, la Regina disse: - Ma tu sei Lisabetta! - E la moglie dell'uomo peloso disse: - Sì. Era appunto la damigella della Regina, Lisabetta, che l'uomo peloso aveva trovato legata all'albero come l'avevano lasciata gli assassini, e se l'era portata a casa e le portava ogni sera bestie da spellare che lui cacciava in giro. E la maltrattava, perché lei non c'era verso che gli volesse bene.

Le due donne s'abbracciarono e si fecero festa e si raccontarono le loro storie. - Ma come facciamo a scappare di qui? - chiese la Regina, - di oppio non ne hai?

- Sì, posso trovarne, - disse Lisabetta e difatti oppiarono il vino all'uomo peloso, e quando cadde addormentato l'ammazzarono e lo sotterrarono.

In fondo alla montagna c'era un uscio che a passar di lì si andava dritti in Scozia, e la chiave di quell'uscio l'aveva l'uomo peloso. Lisabetta prese la chiave, aperse l'uscio e insieme con la Regina arrivarono in Scozia. A veder la Regina che per due volte avevano creduta morta, tutta la Scozia fu messa in allegria. Il padre della Regina era contento di dar la figlia al Principe di Portogallo, ma prima di celebrare le nozze voleva far la guerra ai due usurpatori che regnavano a Napoli. Mandò ambasciatori al padre del Principe perché gli fosse alleato in quella guerra, e difatti il Re di Portogallo mandò una buona armata.

Prima di partire per la guerra tutti i Generali si radunarono attorno al trono a prestare giuramento. Accanto al Re erano i due fidanzati: e i Generali venivano a tendere la spada di fronte a loro. Quando toccò al Generale del Portogallo, tutt'a un tratto la Regina corse giù dal trono, l'abbracciò, lo baciò, ed entrambi caddero svenuti. Aveva riconosciuto nel Generale suo marito il Re di Napoli, che invece di morire nell'incendio s'era salvato e, fuggito dalle mani dei fratelli, s'era messo sotto falso nome al servizio del Re di Portogallo.

Allora la Regina disse al Principe: - Io non posso sposarvi, perché questo è mio marito, ed è vivo. Ma se vi contentate, la mia damigella Lisabetta è figlia del Re di Spagna, ed è pure una moglie degna di voi.

Il Principe si contentò e mandarono a chiamare il Re di Portogallo con la scusa che il suo Generale stava male. Venne il Re e quando vide il figlio che non sapeva più se era vivo o se era morto, si commosse e si disse pentito d'averlo fatto rinchiudere nella torre.

Fecero la spedizione contro gli usurpatori di Napoli, li vinsero, li uccisero e rimisero sul trono il Re con la Regina e il figlioletto. Lisabetta sposò il Principe di Portogallo e così felicemente finirono tutte le disgrazie.


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