Folk Tale

La Rosina nel forno

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU510
LanguageItalian
OriginItaly

A un pover'uomo morì la moglie giovane e lui restò con una bella bambina di nome Rosina. Ma lui dovendo lavorare non poteva badarle, perciò si scelse un'altra donna come seconda sposa, e anche da questa seconda ebbe una bambina, chiamata Assunta, che venne su bruttina. Le bambine crebbero assieme, andavano assieme a scuola e in giro, e ogni volta l'Assunta tornava a casa piena d'astio. - Mamma, - diceva a sua madre, - io con la Rosina non voglio uscire più. La gente che c'incontra fa tanti complimenti a lei, dice che è bella che è rosata che è garbata, e a me dice che sono nera come un tizzo di carbone.

- Che cos'importa, se sei mora? - le rispondeva la madre. - Nasci da me che sono un po' scura di carnagione. È quella la tua bellezza.

- Pensatela come volete, mamma, - replicava l'Assunta. - Io a ogni modo con la Rosina non ci esco più.

Vedendo sua figlia struggersi per l'invidia, la madre che per lei avrebbe dato gli occhi, le disse: - Ma che cosa posso fare?

E l'Assunta: - Mandatela a pascolare le vacche e datele una libbra di canapa da filare. Se torna alla sera con le vacche affamate e senza la canapa filata perbene, picchiatela. Picchia oggi picchia domani, diventerà brutta.

Benché un po' a malincuore, la matrigna si piegò ai capricci della figlia, e chiamata la Rosina le disse: - Tu con l'Assunta non occorre che ci vai più. Andrai a badare alle vacche e a fargli l'erba, e intanto filerai anche questa libbra di canapa. Se torni a casa la sera senza che la canapa sia filata e senza che le vacche siano satolle, ti farò vedere io. Patti chiari, amici cari.

La Rosina, che non era abituata a sentirsi comandare con quel tono, restò ammutolita dallo stupore. Ma poiché la matrigna aveva già preso un bastone in mano, non le restò che ubbidire. Andò nei campi con le vacche, con la rocca piena di canapa, e per strada ripeteva: - Vacchine mie! Come farò a segarvi l'erba, se ho da filare tutta questa roccata di canapa? Qualcuna bisognerà che ci rimetta!

A queste parole una delle vacche più vecchie voltò il muso e le disse: - Non sgomentarti, Rosina: tu falciaci l'erba e noi ti fileremo e ammatasseremo tutta la canapa. Basta che tu dica: Vacchicina, vacchicina, / Con la bocca fila fila, / Con le corna annaspa annaspa, / Fammi presto la matassa.

Quando la Rosina ritornò, a buio, riportò le vacche nella stalla ben pasciute, e in testa aveva un bel fastello d'erba, e sotto il braccio una matassa da una libbra di canapa filata. L'Assunta, a quella vista, la rabbia se la mangiava viva. Disse alla madre: - Domani mandatela di nuovo con le vacche, ma di canapa datele due libbre, e se non la fila tutta, legnate.

Ma anche stavolta, bastò che la Rosina dicesse: Vacchicina, vacchicina, / Con la bocca fila fila, / Con le corna annaspa annaspa, / Fammi presto la matassa, e la sera le vacche erano satolle, il fastello dell'erba raccolto e le due libbre di canapa filate e ammatassate.

- Ma come fai, - le chiese l'Assunta, verde di bile, - a far tutte queste cose in una giornata!

- Cosa vuoi, - le disse la Rosina, - s'incontrano sempre delle buone creature. M'hanno aiutato le mie vacchine.

L'Assunta corse subito dalla madre: - Mamma, domani la Rosina tenetela in casa a far le faccende, che con le vacche ci vado io, e datemi pure la canapa da filare.

Sua madre l'accontentò e l'Assunta andò con le vacche. Teneva una bacchetta in mano, e per farle andar avanti, giù botte sul groppone e sulla coda. Arrivata al prato mise la canapa sulle corna delle vacche. E quelle, ferme.

- Avanti! Perché non filate! - gridava l'Assunta, e giù botte con la sua bacchetta. Le vacche incominciarono a rigirare le corna e fecero arruffare tutta la canapa, tanto che diventò un batuffolo di stoppa.

L'Assunta non si poteva dar pace e un giorno disse alla madre: - Mamma, ho voglia di mangiar raperonzoli. Stasera mandate la Rosina a coglierli nel campo di quel contadino.

Sua madre, per contentarla, comandò alla Rosina d'andare a cogliere i raperonzoli da quel contadino. - Come? - fa la Rosina. - Volete che vada a rubare? Ma queste son cose che io non ho mai fatte. Senza contare che il contadino, se vede qualcuno che gli entra nel campo così di notte, mi spara dalla finestra!

Era proprio quello che sperava l'Assunta; e le disse, perché ora aveva preso a comandarla anche lei: - Sì, sì, devi andare, se no sono legnate!

Così la Rosina si mise ad andare per la notte, e scavalcò la siepe, entrò nel campo del contadino, e invece dei raperonzoli trovò una rapa. S'attaccò alla rapa, per sradicarla, e tita tira, finalmente la strappò via, e scoperse un nido di rospi che era lì sotto, con cinque rospette piccine piccine. - Uh, che carine! - fece e le prese in grembo, facendo loro un mucchio di moine; ma una le cascò in terra e si ruppe uno zampino. - Oh scusami, rospicina, non l'ho fatto apposta! - disse.

Le quattro rospette che aveva fatto accoccolare in grembo, vedendola così gentile, dissero: - Bella ragazza, tu sei gentile, vogliamo ricompensarti. Che tu diventi la più bella del mondo e splenda quanto il sole, anche quando è nuvolo. E così sia.

Ma la rospetta azzoppata brontolò: - Io no che non la trovo tanto gentile: a me m'ha azzoppata, poteva star più attenta! Che appena vede un raggio di sole si trasformi in una serpe, e non possa mai ritornare donna se non entrerà in un forno infuocato.

La Rosina tornò a casa mezzo allegra e mezzo spaventata; e intorno a lei nella notte ci si vedeva come di giorno, perché la sua bellezza mandava una gran luce. La matrigna e la sorellastra quando la videro ancora tanto imbellita da splendere come il sole, rimasero a bocca aperta. E lei raccontò loro tutto quel che le era successo nel campo dei raperonzoli. - Di tutto questo io non ho colpa, - concluse. - Fatemi almeno la carità di non mandarmi al sole, se no divento serpe.

Da allora in poi Rosina non usciva mai di casa quando c'era sole ma solo dopo il tramonto, o quando il cielo era nuvoloso. E passava le giornate alla finestra, in ombra, lavorando e cantando. Da quella finestra si partiva un gran chiarore, che si vedeva tutt'intorno.

Un giorno passò per strada il figlio del Re e a quel gran chiarore alzò gli occhi e la vide. "Chi può essere una tal bellezza in una capannuccia da contadini?" Ed entrò in casa. Così si conobbero, e la Rosina gli raccontò tutta la sua storia, e la maledizione che le pesava sul capo.

Il figlio del Re disse: - A me di quel che potrà succedere non m'importa: voi siete troppo bella per stare in questa capannuccia. Ho deliberato che diventiate la mia sposa.

Intervenne la madre: - Maestà, faccia attenzione, lei si mette in un impiccio. Rifletta un po' sul fatto che la prima volta che la tocca un raggio di sole, diventa serpe.

- Questi non sono affari vostri, - disse il figlio del Re. - Mi pare che voi a questa ragazza le vogliate male. Ma io vi comando di mandarmela a palazzo: io farò venire una carrozza tutta chiusa perché per la strada non la tocchi il sole. Per voi, d'ora in avanti i quattrini non vi mancheranno certo. Arrivederci e siamo intesi.

La matrigna e l'Assunta, a denti stretti, non potendo disubbidire al figlio del Re, si misero a fare con mal garbo i preparativi per la partenza di Rosina. Finalmente arrivò la carrozza, una di quelle carrozze all'antica, tutte chiuse, con solo un occhio in cima, e con dietro un cacciatore tutto in fronzoli, con le penne sul cappello e la spada penzoloni. La Rosina entrò in carrozza e la matrigna montò con lei per tenerle compagnia. Ma prima di salire, aveva preso da parte il cacciatore e gli aveva detto: - Galantuomo, se volete dieci paoli di mancia, aprite l'occhio della carrozza quando ci batte sopra il sole.

- Sissignora, - aveva risposto il cacciatore, - come lei comanda.

La carrozza correva correva, e quando fu mezzogiorno e il sole ci batteva sopra a picco, il cacciatore spalancò l'occhio e un raggio picchiò sulla testa della Rosina, che subito si trasfigurò in una serpe e fuggì via fischiando per il bosco.

Il figlio del Re quando aperse la carrozza e non trovò Rosina, e seppe quel che era successo, sgomento e lacrimante stava per ammazzare la matrigna. Ma poi, gli dissero e gli ripeterono che il destino della Rosina era quello, e che se non succedeva questa volta sarebbe successa un'altra; e lui finì per rabbonirsi, pur rimanendo tutto triste e sconsolato.

Intanto i cuochi avevano già tutta la roba nei forni e sui fornelli e sugli spiedi per il banchetto di nozze, e gli invitati erano già tutti a tavola. Saputo che la sposa era scomparsa, nondimeno pensarono: "Visto che ci siamo, il banchetto facciamolo lo stesso!" E i cuochi ebbero ordine di scaldare il forno. Un cuoco stava mettendo dentro al forno acceso un fastello di stipa che gli avevano portato allora allora dal bosco, quando vide che nel fastello c'era rimpiattata una serpe. Non fece in tempo a levarla, perché il fastello aveva già preso fuoco. Lui continuava a guardare nella bocca del forno per vedere la serpe, ed ecco che dalle fiamme salta fuori una ragazza senza vesti, fresca come una rosa, splendente più del fuoco e del sole. Il cuoco restò come di sasso, poi cominciò a gridare: - Correte! Correte! M'è apparsa una fanciulla nel forno!

A quel grido, il figlio del Re si precipitò nella cucina, e dietro di lui tutta la Corte. Riconobbe Rosina, la prese tra le sue braccia, e così si fecero le nozze e Rosina visse da allora felice e contenta e senza più dispetti da nessuno.


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