Folk Tale

Testa di Bufala

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU900
LanguageItalian
OriginItaly

Un contadino nel campo s'arrovellava a zappare la sua grama terra, quando diede col ferro in qualcosa di duro. Scalzò adagio dai lati e venne fuori una testa di bufala, grande il doppio di tutte le teste di tutte le bufale, con le corna ritte, il pelo lucido e gli occhi aperti, che pareva viva. E non pareva soltanto: difatti, mentre il contadino, a quella brutta vista, faceva per vibrarle addosso una zappata, la testa parlò e disse: - Fermati, non m'ammazzare. Io sarò la fortuna d'una delle tue figlie. Mettimi da parte.

Il contadino, fiutando l'incantesimo, prese con riguardo la testa, la mise da una parte del campo, e la coperse con la sua giubba. E quando la sua figlia maggiore venne a portargli una focaccia per colazione, le disse: - Guarda che c'è sotto la mia giubba.

La ragazza alzò la giubba e lanciò un urlo: - Oh! che brutto mostro! - e scappò via a casa sempre urlando.

La mamma, a vederla tornare così impaurita, pensò fosse successo qualcosa al suo uomo, e disse alla figlia mezzana: - Va' tu dal babbo e senti se ha bisogno di qualcosa.

Anche a lei il contadino comandò di guardare sotto la giubba, e anche lei fuggì come il vento gridando: - Oh! Che grugno spaventoso!

Allora la mamma chiamò la più piccola, che era anche la più svelta e coraggiosa, e mandò lei sul campo. La bambina, quando il padre le disse d'alzar la giubba, ubbidì, e si mise a sorridere, e a carezzare con la mano la testa di bufala. - Oh, che bella testina! Che belle cornine! Che bei baffetti! Babbo, dove l'avete trovata questa bella testa di bufala?

La testa di bufala a quelle carezze si alzò a muso all'aria mugolando dalla gioia, e disse: - Ci verresti a stare con me, bella bambina?

E la bambina: - Se il babbo mi dà il permesso, io per me ci vengo subito.

Il contadino non seppe dir di no. La testa di bufala si mise a camminare facendo capriole sulle corna, e la bambina le andava dietro saltando e battendo le mani.

In mezzo a un bosco, c'era una botola in un prato, la testa di bufala l'aperse con un corno, e sprofondò giù a balzelloni. Dal fondo la bambina sentì la sua voce che diceva: - Levati gli zoccoli e scendi anche tu. Bada di far piano, perché la scala è di vetro -. La bambina scese la scala di vetro e si trovò in un salone principesco; la testa di bufala era lì su una poltrona.

In quella casa sotterranea la bambina si trovava molto bene. La testa di bufala le insegnava lavori d'ogni sorta, a tener pulite le stanze, a far da cucina, a stirare, meglio d'una mamma vera e propria; e la sua scolara veniva su brava in ogni cosa, anche a leggere e a scrivere, e cresceva a vista d'occhio, sicché presto si fece una gran bella ragazza, e s'era affezionata tanto alla testa di bufala che la chiamava "mamma".

Dopo un po' d'anni che era in quella buca, la ragazza cominciò a dire: - Mamma, mandatemi un momento su nel prato, a prendere un po' d'aria.

Testa di Bufala pareva contrariata, ma la ragazza insistette e allora le diede una veste d'argento, una seggiolina, e le permise di sedersi sul prato a far la calza.

Mentre faceva la calza in mezzo al prato, passò un cacciatore che aveva perso la strada e la vide. Era il figlio del Re di quei paesi. Attaccò discorso e ci mise poco a innamorarsene.

- Bella ragazza, - le disse, - voi mi piacete troppo in tutti i modi, e se non dite di no, io a voi vi sposo.

Rispose la ragazza: - Io per me di no non lo dico, ma prima voglio sentire la mia mamma -. S'allontanò e scese giù per la scaletta di vetro della botola.

Testa di Bufala non disse di no: - Fa' pure quel che più ti piace; e se vuoi lasciarmi, lasciami. Ricordati però di non essere ingrata. Tutto quel che hai avuto lo devi a me, anche se hai subito trovato un figlio di Re per sposo.

Il figlio del Re promise di tornare di lì a otto giorni, a prendere la sposa con le dame e i cavalieri e le carrozze reali, e la sposa intanto preparò il corredo con l'aiuto di Testa di Bufala, ed era proprio un corredo da regina. - Ricordati, - le diceva Testa di Bufala, - quando starai per lasciare questa casa; sta' attenta a non dimenticare nulla. Se dimenticherai qualcosa, ti potrà succedere una gran disgrazia.

Ma quando venne il figlio del Re col suo corteo, tanta fu l'ansia e la furia della sposa, che non solo dimenticò di prender con sé il pettine, ma anche di salutare Testa di Bufala, e corse via senza nemmeno richiudere la botola.

Il corteo s'era già molto allontanato, quando a un tratto la sposa si batté la fronte con la palma. - Torniamo indietro, torniamo indietro, Maestà! Ho dimenticato il pettine.

Disse il figlio del Re: - Hai paura di non trovare pettini nel mio palazzo? O che le botteghe della città ne siano rimaste senza?

Ma lei, col pianto nella voce, gli rispose: - Ho paura che mi succeda qualche disgrazia, perché la mia mamma m'ha detto che non dovevo dimenticar nulla a casa, se non volevo capitare male. La supplico, Maestà, torniamo -. E il Principe fece voltare i cavalli e tornarono nel bosco.

La botola era sempre aperta; la sposa corse giù e si mise a cercare il pettine.

- Oh, eri andata via? - chiese Testa di Bufala.

- Sì, mamma, - rispose lei, - e nella fretta m'ero scordata del pettine, ed ora non mi riesce di trovarlo. - Il pettine, ti eri dimenticata, eh? - disse Testa di Bufala. - Solo il pettine? Cercatelo da te.

La sposa, tutta affannata, aperse un cassetto del comò e ci cacciò la testa per frugarci dentro.

Quando si rialzò, si vide nello specchio e diede un grido. La testa le s'era trasformata in una gran testa di bufala. - Mamma! Mamma! - gridò. - Ohimè che disgrazia! Correte, salvatemi!

Disse Testa di Bufala: - Io non posso. Questo è il premio che ti aspetta per la tua riconoscenza. Te n'eri andata senza nemmeno dirmi addio.

- E cosa dirà il mio sposo, adesso?

- Dovrà tenerti come sei. Ormai ha promesso di sposarti.

Insomma, la ragazza non poté far altro che avvolgersi intorno alla testa un fitto velo e così presentarsi al Principe. - Come mai ti sei imbacuccata in questo modo? - lui le chiese. E la ragazza rispose che le era venuta una gran flussione agli occhi.

A Corte, la madre del Principe e tutte le gran dame aspettavano, curiose di vedere questa gran bellezza. Ma lei, col pretesto della flussione, arrivò col velo e non si fece vedere da nessuno. Venne il momento che restò sola col Principe e dovette alzare il velo; e figuratevi com'egli rimase, al vedere che la sua sposa era diventata un mostro! Si mise le mani sugli occhi e non la volle più vedere. Dapprima pensò d'ordinare un rogo e bruciarla; ma si consigliò con sua madre, che lo persuase a chiudere quella creatura nelle soffitte del palazzo. Così fece, e a Corte sparse la voce che la teneva rinchiusa per gelosia. Solo sua madre conosceva il suo segreto, e a vederlo sempre più malinconico, ci pativa. Un giorno gli disse: - Figlio mio, quella testa di bufala bisognerà pur mandarla via, e pensare a sceglierti una sposa come si deve.

E lui: - Come faccio a mandarla via, se le ho dato la mia parola di sposarla?

- Il modo c'è, stammi a sentire, - disse sua madre. - Ci sono a Corte due belle damigelle che non sognano altro che di farsi sposare da te! Facciamo una gara tra loro due e la testa di bufala. Che in capo a otto giorni ognuna fili una libbra di lino; quella che l'avrà filato meglio, prendila per sposa.

Il Principe seguì il consiglio. Le damigelle si misero a filare la loro libbra di lino con grande diligenza, chiuse ognuna in una stanza. La povera sposa invece non concludeva nulla, non sapeva che piangere sulla sua mala sorte. Il sabato sera si calò con una fune giù dalla soffitta e corse nel bosco, fino alla botola di Testa di Bufala. - Mamma, mamma, - le disse, - aiutatemi in qualche modo, levatemi da queste pene, voi che potete. M'avete ridotta così, da fortunata che m'avevate fatta con la vostra bontà, e ora sono la più sfortunata di tutte le donne!

Rispose Testa di Bufala: - E ti pare una colpa da nulla, l'ingratitudine? Aiutarti non posso. Solo posso darti questa noce. Domani porgila al figlio del Re e digli che ne mangi il gheriglio, in cambio della libbra di lino che t'ha dato da filare.

La domenica le damigelle presentarono al giudizio della Regina il loro lino filato filo a filo, e la Regina disse: - Eh! non c'è male. Ma c'è pure qualche difetto: non è tutto ben uniforme. Vediamo ora il lavoro di quest'altra.

La sposa presentò la noce. - Mi vuoi anche canzonare? - disse il figlio del Re. Ma aperse la noce e dentro ci trovò una matassa di lino da una libbra, filato alla perfezione, che non se n'era mai visto l'uguale.

Disse però la Regina: - Il lino, sì, è bello, non si può negare. Però non vorrai mica tenerti per sposa un mostro per via d'una libbra di lino? Bisogna fare un'altra prova. Ora daremo a queste dame una camicia di tela da cucire, e chi la cuce meglio entro otto giorni, quella sarà la tua sposa.

Ecco le donne daccapo chiuse in camera e accanite sul lavoro: un puntino per volta, minuto per minuto le damigelle; mentre la sposa invece, sempre a piangere, e senza nemmeno toccare la tela. Il sabato sera, ridiscende con la fune e torna da Testa di Bufala. - Mamma, aiutatemi! Perdonatemi per quel che ho mancato. Avete perso davvero tutto l'amore per vostra figlia?

- Non sai che piangere e lamentarti, - dice Testa di Bufala. - Non ho mica colpa io se ti trovi così. Non t'ho avvertita forse a suo tempo? Tutto quel che posso fare eccolo qui. Tieni questa nocciola, dàlla al figlio del Re: che la schiacci e se la mangi, e se non è contento, la sputi.

Quando il figlio del Re schiacciò la nocciola, uscì fuori una camicia tutta ricamata in oro, con certi puntini così sottili e fitti che non c'erano occhi che li potessero scoprire.

La Regina disse: - Allora, facciamo la prova decisiva. Tra otto giorni si darà un gran ballo. Comanda a queste tre dame che cerchino di farsi belle, e chi sarà la più bella, quella sia la tua sposa.

Le due damigelle, appena furono nelle loro stanze, cominciarono ad arrabattarsi per diventare le più belle; e lì a strofinarsi con acque odorose, rossetto sulle gote, pettinature d'ogni sorta, vestiti provati e riprovati, e non dormivano più, e se lo specchio si potesse consumare, a quest'ora non ne sarebbe rimasto neanche un briciolino. La sposa, cosa volete che facesse, con quella testaccia di bufala sul collo? Passò la settimana a piangere, e il sabato sera tornò alla botola nel bosco.

- Sei qui daccapo a frignare? - disse Testa di Bufala.

- Mamma, che volete che faccia, ora? Se non mi perdonate, ormai col mio sposo non c'è più rimedio. - Hai quel che hai voluto. Te ne andasti via come un cane, dopo il bene che ti avevo fatto!

- Non fu malanimo, mamma, che volete? Ero così allegra, spensierata, non avevo testa a nulla.

- E adesso, se tu dovessi andar via come quel giorno, cosa faresti?

- Oh, mamma! Vi saluterei e bacerei e abbraccerei, e non mi dimenticherei nulla, e chiuderei la botola per benino.

- Andiamo, allora: ti perdono, - disse Testa di Bufala, - cerca pure il tuo pettine.

La sposa andò al comò, aperse il suo cassetto, ci frugò dentro e trovò il pettine. Alzandosi, quale fu la sua meraviglia vedendo nello specchio la sua testa di prima, ma il doppio più bella e più splendente. Saltando e gridando dall'allegria, corse da Testa di Bufala, l'abbracciò e baciò, le fece mille carezze e ringraziamenti.

Alla domenica nella Sala Reale c'era radunata tutta la Corte col Re e la Regina seduti nel trono lassù in aria, e il loro figlio ai piedi dei gradini. Ecco che vengono innanzi le tre donne, coperte d'un fitto velo da capo a piedi. Il Principe alza il velo alla prima, e dice: - Ché! È tutta imbottita di stracci!

S'avanza la seconda e il Principe alza il velo: - Ché! È tutta nastri e tinture! - Il velo della sua sposa non osava alzarlo, ma quando l'alzò restò di stucco. - Eccola mia moglie! Eccola come la trovai seduta a far la calza in mezzo al bosco. È ancor più bella d'allora! Cara madre, la scelta l'ho fatta: la mia sposa è quella che m'incanta con le sue bellezze e buone grazie.

La prese per mano e la mise a sedere accanto a sé sul trono, e tutta la Corte l'acclamò Regina. Da quel giorno se ne stettero insieme trionfanti, e camparono felici come pasque.


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