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Il palazzo della regina dannata

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Viveva nei tempi passati una vecchia vedova che faceva la filatrice, e aveva tre figliole, filatrici pure loro. Per quanto s'affaticassero a filare mattino e sera, le tre filatrici non giungevano mai a mettere da parte un centesimo, perché il guadagno bastava appena alle loro spese.

Intanto, alla vecchia venne una gran febbre, e in due o tre giorni la ridusse in fin di vita. Chiamò intorno al letto le figliole tutte in lagrime, e disse:

- Non piangete; sono vecchia e piú che vecchia non si campa, sicché un giorno o l'altro vi doveva toccare di vedermi morta. Quello che mi rincresce è di lasciarvi cosí povere, ma avete un mestiere e potete campare; io intanto pregherò Dio che vi aiuti. Di dote non posso lasciarvi altro che i tre gomitoli di canapa filata che sono nell'armadio, - e detto questo, la madre spirò.

Dopo qualche giorno le sorelle discorrevano tra loro.

- Domenica è Pasqua, - dissero. - E non abbiamo da fare un pranzo come si deve.

Disse Maria, che era la maggiore:

- Venderò il mio gomitolo e ci compreremo il pranzo -.

Difatti, il giorno di Pasqua, portò il gomitolo al mercato. Era canapa filata come si deve, e lo vendette molto bene. Comprò pane, un quarto d'agnello e il vino. Tornava a casa con tutta questa roba, quando le corse addosso un cane, le addentò il quarto d'agnello e il pane, ruppe il fiasco, e scappò via, lasciandola mezza tramortita dalla paura. Maria tornò a casa a raccontare il fatto alle sorelle, e per quel giorno si sfamarono con un po' di pane nero.

- Domani voglio andare io, - disse Rosa, la mezzana, - vedremo se il cane mi darà noia.

Andò, vendette il suo gomitolo, comprò una coratella, il pane e il vino, e s'avviò a casa per un'altra strada. Ed ecco che quel cane corse addosso anche a lei, portò via la coratella e il pane, ruppe il fiasco e scappò. Rosa, che era piú coraggiosa di Maria gli corse dietro, ma non poté raggiungerlo e tornò a casa trafelata, a raccontare tutto alle sorelle. Anche quel giorno bisognò che facessero pranzo col pane nero.

- Domani ci andrò io, - disse Nina, la piú piccola, - e vediamo se il cane riesce a farla anche a me.

La mattina dopo, piú presto delle altre volte, prese il suo gomitolo, lo vendette e fece una buona provvista. Mentre tornava a casa per un'altra strada, le andò addosso quel cane, ruppe il fiasco e portò via tutto il resto. Nina prese a corrergli dietro, e corri, corri lo vide entrare in un palazzo.

Nina pensò: " Se mi vede qualcuno di qui dentro, gli dirò del cane che ci ha rubato il pranzo per tre giorni e mi farò ridare il danaro ", e cosí pensando entrò.

Salí le scale e c'era una bella cucina col fuoco acceso, e roba che bolliva in pentole e in tegami e uno spiedo con un quarto d'agnello. Nina alzò il coperchio d'una pentola e ci vide la carne che aveva comprato poco prima; guardò in un tegame e vide cuocere la coratella; nella madia c'erano i tre pani. Continuò a girare la casa e non vide anima viva; ma in tinello c'era una tavola apparecchiata per tre. " Pare proprio che ci abbiano apparecchiato il pranzo, - pensò Nina, - e con la nostra roba, per giunta! Se ci fossero le mie sorelle mi metterei a tavola! "

In quel momento sentí passare un barroccio per la strada; s'affacciò alla finestra e siccome il barrocciaio era uno di sua conoscenza, lo pregò d'avvisare le sue sorelle che le aspettava lí, e che c'era pronto un bel pranzo.

Quando le sorelle arrivarono, Nina raccontò loro ogni cosa e disse:

- Mettiamoci a tavola. Se vengono i padroni, spiegheremo che mangiamo del nostro.

Le sorelle non si fidavano tanto, ma la fame stringeva dappresso, cosí si misero a tavola. Era venuto buio, e d'improvviso le tre ragazze videro chiudere le finestre e accendersi i lumi. Non s'erano ancora riavute dalla meraviglia, quando videro il pranzo venire a posarsi da sé sulla tovaglia.

- Chiunque sia che ci risparmia la fatica, - disse Nina, - noi lo ringraziamo. E ora, sorelle mie, buon appetito, - e addentò l'agnello.

Le sorelle, con la paura in corpo che avevano, masticavano a fatica, e si guardavano intorno aspettandosi che da un momento all'altro saltasse fuori qualche mostro.

Nina invece diceva: - Se non ci volevano a pranzo qui, non dovevano apparecchiare per noi, accenderci i lumi, e servirci a tavola.

Dopo cena, cominciarono ad aver sonno e Nina le portò in giro per la casa, finché non trovarono una camera con tre bei letti preparati. - Ora andiamo a dormire, - disse.

-0 piuttosto, - dissero le sorelle, - torniamo a casa nostra, perché qui abbiamo paura.

-Brave grulle! - disse Nina. - S'è trovato il verso di star bene e dovremmo andarcene! Io per me vado a letto, sarà quel che sarà!

Le aveva già convinte a restare, quando dal fondo delle scale si sentí una voce:

- Nina, fammi lume.

Le sorelle si spaventarono. - Gesummaria! Chi sarà? Non ci andare, Nina!

-Io ci vado, - disse Nina. Prese il lume e scese le scale. Si trovò in una stanza dov'era una Regina incatenata che buttava fuoco dalla bocca dagli orecchi e dal naso.

-Nina, dimmi: vuoi far fortuna? - disse la Regina, parlando tra le fiamme.

- Sí.

-Ma bisogna che t'aiutino anche le tue sorelle.

-Glíelo dirò.

-Ma bada che dovete fare cose terribili, e se vi viene paura morirete.

- Le persuaderò.

-Va bene. Apri quei tre cassoni: sono pieni di vestiti da regina, tutti d'oro e di gemme. Sappi che io ero la Regina di Spagna; m'innamorai d'un giovane di questa città ed è per colpa sua che mi trovo dannata. Ora, dopo il male che m'ha fatto, vorrebbe sposarsi un'altra, ma io voglio che venga a soffrire con me com'è giusto. Domani mettiti il mio abito, acconciati a mia immagine e somiglianza, e poi affacciato alla ringhiera con un libro in mano. Vedrai che a una cert'ora passerà quel giovane e ti dirà: " Signora, gradisce una mia visita? " Tu digli di sí, invitalo a prendere il caffè, e dàgli questa tazza avvelenata. Quando cadrà morto portalo quaggiú, apri questo cassone, buttalo dentro, e accendigli intorno quattro candele. lo ero ricchissima: questo è il libro dei miei beni, col quale potrai rilevarli dalle mani dei fattori, che ora mi scroccano ogni cosa.

Nina tornò su e raccontò tutto alle sorelle. - Giurate d'aiutarmi, se no guai a voi! -

La mattina dopo si vestí da regina, divenne tutta simile alla morta e si affacciò alla ringhiera sfogliando un libro.

A una cert'ora senti un cavallo: veniva avanti un bel giovane e si fermò a guardarla. Nina gli fece un cenno di saluto.

-Gradirebbe una visita, Signora?

-Sì...

Il giovane smontò di cavallo e sali le scale.

-Ora berremo assieme una tazza di caffè.

-Volentieri -. Bevve dalla tazza avvelenata e cadde morto.

Nina chiamò le sorelle perché l'aiutassero a portar giú il cadavere, e poiché quelle si rifiutavano, disse:

- Se non venite ammazzo anche voi! -

Lei prese il morto per il capo, le sorelle per le gambe, scesero le scale, e c'era il cassone chiuso con le quattro candele accese ai lati.

Le sorelle tremavano e volevano lasciar cadere il morto e fuggire.

- Provate a scappare, - disse Nina, - e vedrete cosa vi faccio!

Le sorelle, che l'avevano vista alla prova, sapevano che non scherzava, e le obbedirono.

Nina aperse il cassone: dentro c'era la Regina seduta su un trono di fiamma. Le misero vicino il suo innamorato e lei lo prese per mano e gli disse:

- Vieni con me all'Inferno, scellerato. Cosí non m'abbandonerai mai piú.

E in quel momento il cassone si rinchiuse e sprofondò sotto terra con un gran frastuono.

Nina soccorse le sorelle che s'erano svenute, le riportò su e le fece riavere.

Poi rivendicarono tutti i beni dalle mani dei fattori e restarono padrone d'ogni cosa.

Le sorelle dopo qualche anno presero marito e Nina diede loro una dote da principesse; poi prese marito anche lei, e stette come una regina.


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