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La tacchina

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU706
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta c'era un Re e una Regina. Dando alla luce un bambino la Regina morì. Il bambino campò e rimase con una sorella un po' più grandina. Il povero padre si accorò tanto di questa sventura, che passava piangendo i suoi giorni: un anno durò così, e morì anche lui.

Aveva un fratello, e prima di morire gli raccomandò quei poveri orfanelli. Lo zio promise e giurò: ma appena il Re fu morto, pensò solo a tenersi la corona per conto suo, e dominare il Regno. Era un Re tiranno: teneva i due nipotini chiusi in un sotterraneo, e quando il maschio arrivò a dieci anni, cominciò a mandarlo ogni giorno in campagna, a far la guardia agli uomini che gli lavoravano la terra.

Facendo ogni giorno questa vita, il ragazzo diventò grande, e arrivò a diciassett'anni senza sapere che lui e sua sorella erano figli di Re. Non sapevano neanche che il Re veniva ad essere loro zio, e credevano che li ospitasse solo per carità.

Così, avvicinandosi Natale, una buona vecchia che viveva allevando oche e tacchine e che sapeva di quale condizione essi erano, prese a commiserarli. Diceva tra sé: "Domani è la vigilia di Natale e quei poveri figlioli sono soli e abbandonati. Se campava il loro padre buonanima avrebbero avuto tavola imbandita e tutti i divertimenti! Gran cose avrebbe fatto la buonanima del vecchio Re! Tutti fanno Natale, anch'io che vivo con le mie oche! E loro, poverini, non hanno nulla! Adesso prendo una tacchina delle mie e la regalo alla ragazza, così faranno Natale pure loro! Ma come faccio a dargliela? Per il portone non posso passare, perché c'è la guardia... Chiamerò la ragazza alla finestra".

Difatti, la mattina della vigilia, la vecchia s'alza, prende la tacchina più grassa e comincia a chiamare alla finestra: - Signorina, o signorina! Oggi è la vigilia di Natale e io vi voglio regalare questa tacchina. Mangiatevela con vostro fratello, alla mia salute!

S'affacciò la ragazza: - Grazie, grazie, buona donna. Ma io cosa posso darvi? Non ho nulla... - e non la voleva prendere. Ma la buona vecchia tanto pregò e insistette che gliela fece accettare.

Quella mattina, essendo giorno di festa, il fratello non andava in campagna e portava i conti al Re. La sorella, aspettandolo, mise la tacchina in una stanza buia perché nessuno la vedesse e la chiuse lì. La tacchina, lasciata sola, si mise a razzolare con le sue zampette, a grattare la terra, a scavare; e scava che ti scava arrivò fino a scoprire l'apertura di una botola. Verso sera tornò il fratello e portò da mangiare. Si misero a tavola, fratello e sorella, e mentre mangiavano, lei disse: - Fratello, non sai? Stamattina una vecchia mi ha regalato una tacchina, con tanto buon cuore.

- E dove l'hai messa? - chiese il fratello.

- L'ho nascosta in quella camera buia e ora andrò a darle da mangiare.

Quando il fratello, stanco, si fu coricato, la ragazza prese la candela e andò dalla tacchina. Vide la fossa che aveva scavato, vide la botola, e disse: - Guarda cos'ha scoperto la tacchina! - Aperse la botola: c'era una scaletta. - Ora scendo, - disse la ragazza. Scese e vide un vestito da re: elmo, spada, corazza; ci mancava solo la corona. "E di chi è questa roba? - si chiese la ragazza. - Ma, sia di chi sia, io me la piglio", e se la portò nella sua stanza.

La mattina, svegliandosi, il fratello vede elmo, spada e corazza accanto al letto. - Da dove viene questa roba?

- Non sai? - risponde la sorella, - quella tacchina s'è messa a scavare, e in fondo c'era una scala, sono scesa in un sotterraneo e là c'era questa roba.

- Ma sono vestiti da Re! - dice il fratello.

- Ah sì! Che bello! Mettiteli indosso, fratello mio, che voglio vedere come ci stai. Mettiteli, mettiteli! - E aiutò il fratello a indossarli, e batteva le mani tutta contenta.

In quel momento si sentirono le trombe e i tamburi: siccome era la vigilia di Natale, erano venuti i suonatori a fare la musica sotto le finestre del palazzo reale.

La ragazza spalancò la finestra, e davanti a tutta la gente nella piazza apparve il ragazzo vestito da Re, con l'elmo, la spada, la corazza.

Tutti si misero a gridare: - Questo è il Re nostro! Questo è il Re nostro!

Le guardie del palazzo, sentendo queste grida, diedero l'allarme. Dalla folla cresceva un gran baccano. Tutta la Corte si mise a gridare: - Che cos'è? Che cos'è?

La gente di fuori, sentendo subbuglio dentro il palazzo, cominciò a gridare: - Abbasso! - oppure: - Evviva! - Intanto accorreva folla nella piazza da tutta la città, e più il chiasso cresceva, più gente veniva.

Il Re si fece sulle scale, pallido, e venne avanti per parlare al popolo ma la gente che per la sua tirannia lo odiava a morte, ora che aveva cominciato voleva farla finita, e gli si scagliarono contro a pietrate e a pugni, tirando ad ammazzarlo. Tante e tante gliene diedero, che finalmente morì, come si meritava. La corona di Re, lo stesso popolo la prese e la mise in testa al nipote, tra grandi feste e sparatorie.

Diventato Re, il giovane cominciò a governare con giustizia, e tutti erano contenti e gli volevano bene. Lui, poi, era tanto contento che fece un voto: ogni venerdì vadano a palazzo quanti poveri ci sono, che lui stesso, in persona, avrebbe fatto l'elemosina. Venivano poveri da tutte le parti e prendevano l'elemosina dalle sue proprie mani. Così per tanti venerdì, fin che lui s'era quasi stancato e una volta stava per andarsene, quando vide avvicinarsi in mezzo agli altri poveri una vecchia orba, con una giovinetta di una dozzina d'anni. Diceva, con una voce che faceva venire compassione: - Reale Maestà, fate la carità a questa povera orba, che Dio ve ne renda merito.

Il Re fece l'elemosina alla vecchia, ma intanto guardava la ragazza che era di grande bellezza, e disse: - Buona donna, tornate da me ogni venerdì, ma state discosta da tutti, senza mischiarvi con gli altri poveri, così che io vi possa vedere.

Le due donne se ne andarono benedicendolo, e il Re restò tutto malinconico, e gli pareva cent'anni prima che venisse l'altro venerdì, per vedere se ritornavano la vecchia con la giovinetta. Finalmente fu venerdì e il Re guardava tutti a uno a uno, fino a che vide le due donne, un po' più lontano, come lui aveva detto. Fece loro segno con la mano, diede loro un po' più di danari del solito, e poi disse alla giovane: - Butta via questi stracci, e fatti un vestito nuovo. Mettitelo venerdì, quando vieni.

Il venerdì dopo la giovane venne con una veste di cotone e le scarpe nuove, e il Re le diede ancora più danari. E così ogni settimana veniva meglio vestita, finché portò una veste di mussolina che la faceva come una rosa.

Il Re le disse: - Venerdì, vieni avanti tu per la prima.

Il Re era innamorato e a casa era sempre malinconico. La sorella se n'era accorta e gli domandava: -

Cos'hai, fratello mio?

E lui: - Niente... ho male al capo... - finché non resistette più a nascondere il suo amore e disse: - C'è una povera di cui sono innamorato e la vorrei per sposa.

Pensava che sua sorella non avrebbe mai acconsentito a lasciargli sposare una povera; ma la sorella, che era buona e voleva bene al fratello, ed era anche lei vissuta nella povertà, gli disse solo che voleva vederla.

Quel venerdì a dare l'elemosina col Re venne anche sua sorella, e la bella mendicante fu la prima. Era così bella, che la sorella disse al Re: - Fa' pure come il cuore ti comanda -. E il Re sposò la mendicante.

Il giorno delle nozze il Re disse alla sorella: - Io ora mi sposo, ma noi due, come eravamo resteremo, e tu rimani sempre la padrona.

Però la sposa, diventata ricca da povera che era, mise superbia. Diventò invidiosa della cognata, che faceva da padrona e teneva lei tutte le chiavi; e così, poco per volta, cominciò a mettere su il marito contro la sorella. Le fece togliere le chiavi, l'obbligò a rimproverarla senza che se lo meritasse: e la poverina era sempre più buona. Ma la sposa tante gliene disse al Re, che alla fine lui le disse: - Moglie mia, che vuoi che faccia?

E lei: - Nottetempo, falla portare nel bosco a uccidere; e per essere certo che l'abbiano uccisa, fatti portare indietro il cuore, le mani mozzate e la camicia insanguinata -. Il marito non seppe dire di no. Ordinò al boia che a mezzanotte conducesse la sorella in fondo a un bosco, e l'ammazzasse lì, e per segno gli riportasse poi il cuore e le mani e la camicia.

Così fu fatto: a mezzanotte quella povera giovane si vide svegliata e afferrata da due sgherri. - Che volete da me?

- Ordine di vostro fratello il Re! Dovete venire con noi!

La caricarono in carrozza, e via in campagna. Quando furono nel bosco i due sgherri si dissero: - Ora la dobbiamo ammazzare così, senza ragione: a noi non ci ha mai fatto nulla di male, questa povera giovane!

- Io non l'ammazzo di sicuro, - disse l'altro, - ammazzala tu.

- E allora come facciamo? Dobbiamo presentare al Re il cuore, le mani e la camicia imbrattata di sangue. Dobbiamo ucciderla per forza.

In quel momento si sentì un belato: era un agnellino che s'era perso ed era rimasto nel bosco nella notte. Lo afferrarono e dissero alla Reginotta: - Levatevi la camicia, che ora sgozzeremo il capretto e prenderemo il suo cuore. Ma le mani, ci dispiace tanto, dobbiamo tagliarvele: questo è l'ordine. Dovete aver pazienza! - Così fecero e si portarono via il cuore dell'agnello e le mani tutte sanguinanti nella camicia.

La Reginotta restò là col sangue che le zampillava dai polsi. Quando il Re vide quei miseri resti non poté trattenere le lagrime e diceva: - Sorella mia, eri tanto contenta alle mie nozze e ora sei morta per via di mia moglie! - Così, pensando a tutto il passato, si pentì di tutto quel che aveva fatto, e chiamava piangendo: - Sorella mia! Sorella mia!

Mentre lui si disperava, sua sorella era nel bosco che perdeva sangue dalle vene. Volle il caso che proprio in quel momento per il bosco passasse, con il suo carrozzino, un Lord inglese. Sentendo quei lamenti, si avvicinò, la vide, e le domandò da chi era stata ferita. La Reginotta gli rispose che gli animali feroci le avevano mangiato le mani, e l'Inglese, ricordandosi che nel suo carrozzino aveva della stoffa, gliela offerse, per far stagnare il sangue. Poi la invitò sul carrozzino e la portò con sé. Il Lord inglese era sposato senza figli; potete immaginare la vita felice che la ragazza faceva a casa sua. Perché non stesse così senza le mani, il Lord gliene fece mettere un paio di cera.

Con tutti i suoi dolori, la Reginotta, che era sui vent'anni, era bella e fresca come una rosa. Se ne stava affacciata al balcone quando per la strada passò un Re forestiero, e la guardò. Gli fece simpatia, e andò a chiederla all'Inglese. Il Lord accettò il partito, ma onestamente lo avvertì che la ragazza aveva le mani di cera. Il Re rispose che non gl'importava; e così la sposò e la portò con sé a Palazzo.

Dopo qualche mese, la Reginotta stava aspettando un bambino quando suo marito ebbe una guerra e partì contro i nemici col suo esercito.

Mentre lui era via, alla Reginotta nacquero due bei figli, maschio e femmina. I ministri però, che male sopportavano d'essere governati da una donna, che poi nemmeno sapevano da dove venisse, pensarono d'approfittare delle circostanze per liberarsi di lei.

Difatti, scrissero al Re una lettera in cui dicevano che sua moglie aveva partorito due cagnolini, perciò aspettavano gli ordini, per sapere cosa dovevano fare della Regina.

Il Re, mezzo morto dal dispiacere, rispose di aspettare il suo ritorno, che avrebbe visto lui il da farsi. I ministri però, che volevano disfarsi della Regina a tutti i costi, la svegliarono nottetempo, le misero una bisaccia a tracolla, ci misero dentro i figlioletti, uno da una parte e uno dall'altra, e la abbandonarono su una spiaggia deserta.

La poverina si mise a piangere; sola, digiuna ed assetata, con quei due mozziconi di braccia, non sapeva come fare. Trovò una pozza d'acqua, e si chinò per bere. Mentre si chinava, dalla bisaccia le cascò giù un bambino e le sparì sott'acqua. Figuratevi la sua disperazione: era senza mani e non lo poteva più ripescare.

In quel momento le comparve davanti un bel vecchio e le disse: Metti giù il tuo moncherino / Riavrai mano e bambino.

La Reginotta immerse il braccio mozzo in acqua e sentì ricrescerle la mano; afferrò subito il bambino e lo riprese in braccio. In quel movimento le scivolò dalla bisaccia l'altro bambino e sparì in acqua.

Il vecchio disse ancora: Metti giù il tuo moncherino / Riavrai mano e bambino.

E lei riebbe l'altra mano e ripescò il bambino e poté allattarli tutti e due. Poi il buon vecchio la condusse in cima a un monte dov'era costruita una bella casa. La fece entrare e le disse: - Stattene qui, che non ti mancherà niente. Io non t'abbandono.

Lasciamo la Reginotta e torniamo al Re suo marito. Terminata la guerra, tornò a casa, e quale non fu il suo dolore non trovando più sua moglie! Domandò notizie e gli dissero che non se ne sapeva più nulla: era partita di notte, coi due cagnolini che aveva partorito. Il Re non si dette pace di non poterla trovare e si mise a battere tutte le campagne.

Intanto il fratello della Regina, dal momento in cui s'era pentito, non uscì più di casa e si lasciò crescere una barba lunga fino ai ginocchi, per il dispiacere d'aver ucciso una sorella innocente. E la moglie, che era stata causa della sua ingiustizia, la fece cacciare in fondo a una prigione. I suoi ministri tanto dissero e tanto fecero che un giorno lo convinsero a uscire a caccia, così per muovere un po' le gambe. Quando fu per la campagna, immerso com'era nei suoi pensieri, s'allontanò dai ministri e perdette la strada. Tutt'a un tratto si mise a piovere, e il Re si riparò sotto una quercia.

Volle il caso che anche l'altro Re, il marito che cercava la moglie, si trovasse a girare per quel bosco, e cercò riparo sotto la quercia, e si incontrarono così per la prima volta, perché pur essendo tra re, non s'erano mai visti in vita loro. Videro una luce, e sotto la pioggia mossero i loro passi in quel verso. Quella luce era proprio la casa del buon vecchio, dove la loro sorella e moglie abitava.

Bussarono; aperse il vecchio e subito offerse loro asilo. Entrarono e c'era la Regina: lei li riconobbe, e loro no.

- Siccome piove, - le disse il vecchio, - qui ci sono due signori, che hanno bisogno di riparo e ci domandano ospitalità.

- Piacere nostro, - rispose lei, - stavo proprio preparando da mangiare per i miei figlioli.

- E allora mangeremo tutti insieme, - disse il vecchio.

Erano quasi alla fine della cena, quando il vecchio disse ai due bambini: - Bambini cari, ora raccontate una bella storia, così sentiamo parlare un po' anche voi.

Allora la femminuccia che era la più pronta cominciò a parlare; e raccontò la storia di sua mamma, dal momento in cui era stata portata nel bosco dagli sgherri, fino a quando si era sposata. Il fratello, a sentire questi fatti, diceva tra sé: "Ma allora, allora è mia sorella!"

Quando finì la bambina, cominciò il maschio, e raccontò il resto della storia, da quando sua madre aveva sposato il Re fino a quando il buon vecchio li aveva portati con sé sul monte, nella casa in cui ora stavano. Il Re, sentendo raccontare, diceva tra sé: "Allora, questa donna è mia moglie, questi due bambini sono i miei figlioli? E come mai m'hanno scritto che aveva fatto dei cagnolini?"

E quando il vecchio, finito che ebbero i bambini di parlare, disse: - Questa è la vostra storia, signori, - i due abbracciarono la donna, e l'uno chiedeva perdono, l'altro baciava i bambini con le lagrime agli occhi. A questa scena il vecchio, che era San Giuseppe, assisteva tutto contento, e come segno dell'opera buona il suo bastone sbocciò tutto di fiori. - Ora che la mia parte è finita, - disse, - vi do la santa benedizione, - e così dicendo sparì.


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