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La contadina furba
Author | Italo Calvino |
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Book Title | Fiabe italiane |
Publication Date | 1956 |
ATU | 875 |
Language | Italian |
Origin | Italy |
Un giorno, un contadino, zappando la sua vigna, dà col ferro nel duro. Si china e vede che ha zappato fuori un bel mortaio. Lo solleva, si mette a stropicciarlo e sotto la crosta di terra s'accorge che è tutto d'oro.
- Questa è roba da Re! - dice. - Lo porto al Re e lui chissà cosa mi dà in regalo!
A casa lo aspettava sua figlia Caterina, e le mostrò il mortaio d'oro dicendole che lo voleva regalare al Re. Dice la Caterina: - Bello è bello, non si può dir di no. Ma se lo porterete al Re, troverà da ridire perché ci manca qualcosa, e magari ci andrete di mezzo voi.
- E che cos'è che ci manca? Cosa può trovarci da ridire, anche un Re, mammalucca?
E Caterina rispose: - Vedrete che il Re dirà: Il mortaio è grande e bello, / Ma villanaccio, dov'è il pestello?
Il contadino scrollò le spalle: - Figurati se il Re parla a questo modo! Ti credi che sia scemo come te?
E preso il mortaio sottobraccio il contadino andò al palazzo del Re. Le guardie non lo volevano far passare, ma lui disse che portava un regalo meraviglioso, e lo condussero alla presenza di Sua Maestà. - Sacra Corona, - disse il contadino, - ho trovato nella mia vigna questo mortaio d'oro massiccio, e m'è parso che fosse degno di stare soltanto nel suo palazzo; e perciò eccoglielo qui, perché intendo fargliene regalo, se le garba d'accettarlo.
Il Re prese il mortaio nelle sue mani e cominciò a rigirarlo e a sbirciarlo da tutte le parti. Poi scosse il capo e parlò. Disse: Il mortaio è grande e bello, / Ma mi manca il suo pestello.
Tutto come aveva detto la Caterina, solo che non gli diede del "villanaccio" perché i Re sono persone educate. Il contadino si dié una mano sulla fronte e gli scappò detto: - Proprio così! L'ha indovinata!
- Chi è che l'ha indovinata? - chiese il Re.
- Mi scusi, - disse il contadino, - ma è mia figlia, che m'aveva detto che il Re mi avrebbe risposto così, e non le ho voluto dar retta.
Disse il Re: - Questa vostra figlia dev'essere una ragazza di cervello fino. Voglio provare quant'è brava. Tenete questo lino. Ditele che me ne faccia, ma presto, perché ne ho bisogno subito, camicie per un reggimento di soldati.
A quel comando il contadino restò di sale: ma comando di Re non si discute; pigliò l'involto, in cui non c'erano altro che tre lucignoli di lino, e fatta la riverenza a Sua Maestà se n'andò a casa lasciando il mortaio e senza riceverne un soldo di mancia.
- Figlia mia, - disse a Caterina, - ti sei tirata in capo una bella disgrazia! - E le disse cos'aveva ordinato il Re.
- Voi vi sgomentate di poco, - dice Caterina. - Date qua -. Piglia il lino e comincia a scuoterlo. Si sa che nel lino ci sono sempre delle lische, anche se è scardassato da un maestro; e le cascarono in terra tre lische, piccole che quasi non si vedevano. La Caterina le raccattò e disse a suo padre: - Tenete qui: tornate subito dal Re e ditegli da parte mia che la tela per le camicie gliela faccio; ma siccome mi manca il telaio, lui me lo faccia fare con queste tre lische, e poi sarà servito come vuole.
Il contadino dal Re non aveva coraggio di tornarci, con quella ambasciata, ma la Caterina tante gliene disse, che finalmente si decise.
Al Re, sentendo quant'era furba la Caterina, venne voglia di vederla. Disse: - Brava, questa vostra figliola! Mandatemela a palazzo, che ho piacere di discorrere un po' con lei. Ma si badi: che venga alla mia presenza né nuda né vestita, né digiuna né satolla, né di giorno né di notte, né a piedi né a cavallo. Che obbedisca punto per punto, pena la testa a tutti e due.
Il contadino arrivò a casa più morto che vivo. Ma la sua figliola, come fosse niente: - Babbo, so io quel che mi tocca fare. Basta che mi troviate una rete da pescatori.
Alla mattina prima che albeggiasse, la Caterina s'alza dal letto e si mette addosso la rete (così non era né nuda né vestita), mangia un lupino (così non era né digiuna né satolla), prende la capra e le monta a cavalcioni con un piede che toccava terra e uno no (così non era né a piedi né a cavallo) e conciata in questa guisa arrivò a palazzo del Re che schiariva appena (non era né di giorno né di notte). Le guardie la presero per matta e non volevano lasciarla passare: ma quando seppero che obbediva a un comando del Sovrano la condussero alle stanze reali.
- Maestà, io sono qui secondo il suo volere.
Il Re non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere, e disse: - Brava Caterina! Sei proprio la ragazza che cercavo: ora ti sposo e ti faccio Regina. Però a una condizione, ricordatela: bada bene di non entrare mai nei fatti miei -. (Il Re aveva capito che la Caterina la sapeva più lunga di lui).
Quando lo seppe, il contadino le disse: - Se il Re ti vuole in sposa, non c'è nulla da opporre. Però tu bada a quel che fai, perché il Re se fa presto a volere fa anche presto a disvolere. A ogni modo lasciami questi tuoi panni di lendinella che li terrò qui appesi a un cavicchio; caso mai dovessi ritornartene a casa, li troverai al loro posto per rimetterteli.
Ma Caterina era tutta felice, e lo sposalizio fu concluso dopo pochi giorni con feste per tutto il Regno, e nella città si fece anche una gran fiera. I contadini che non potevano albergare al coperto, dormivano per le piazze, fin sotto alle finestre del Re.
Un contadino venne a vendere una vacca pregna, e non trovò una stalla per mettercela la notte. L'oste gli disse che poteva alloggiarla sotto il portico, e che la legasse per la cavezza al carro d'un altro contadino. Ecco che nella notte, la vacca fa un vitello; e il padrone della vacca al mattino, tutto allegro, andò per condurre via le sue due bestie. Ma salta fuori il padrone del carro e comincia a sbraitare: - La vacca sta bene, è vostra; ma il vitello lasciatelo pure, perché è mio.
- Come vostro? Se l'ha figliato stanotte la mia vacca?
- Eh, no? - replica quell'altro. - La vacca era legata al carro, il carro è mio, e il vitello è del padrone del carro.
Ne nacque un litigio che non finiva più, dalle parole ai fatti ci corse poco; agguantarono il puntello del carro, e giù botte da ciechi. Al rumore si radunò gente, corsero gli sbirri, separarono i due e li portarono difilato al tribunale del Re.
Bisogna sapere che nella città reale una volta costumava che nel tribunale anche la moglie del Re dicesse il suo parere. Ma ora, con Caterina regina, era accaduto che ogni volta che il Re sentenziava, lei gli era sempre contraria e al Re la cosa venne subito a noia. E le disse: - T'avevo avvertita di non mettere bocca negli interessi dello Stato: d'ora in avanti non entrerai più in Tribunale -. E così ormai facevano; dunque i contadini comparvero dinanzi al Re da solo.
Dopo aver sentito le ragioni dell'uno e dell'altro, il Re sentenziò così: - Il vitello è del carro.
Il padrone della vacca non poteva capacitarsi d'una sentenza tanto ingiusta, ma non ci fu verso di far rimostranza: il Re disse che comandava lui e la sua parola era sacra per tutti. L'oste, vedendo così confuso il contadino, lo consigliò d'andare a sentire la Regina, che forse un rimedio l'avrebbe trovato.
Il contadino andò al palazzo reale, s'accostò a un cameriere e gli domandò: - Galantuomo, mi sai dire se è possibile dire due parole alla Regina?
- È impossibile, - disse il cameriere, - perché il Re le ha proibito di dare udienza.
Il contadino allora prese a girare intorno al muro del giardino. Vide la Regina, saltò il muro, e scoppiò in singhiozzi davanti a lei, dicendole l'ingiustizia che aveva subito dal marito. Disse la Regina: - Il mio consiglio è questo. Il re domani va a caccia fuori porta. Là c'è un lago che di questa stagione è secco, senza un filo d'acqua. Voi fate così: mettetevi una zucca da pescatore alla cintola, tenete una rete in mano e fate le mosse di pescare. Il Re, a vedervi pescare in quel lago così arido, prima riderà, poi vi domanderà perché pescate dove non c'è acqua. Allora voi dovete rispondergli: "Maestà, se può essere che un carro partorisca un vitello, può anche darsi che io prenda pesci all'asciutto".
La mattina dopo, il contadino con la zucca penzoloni sulle reni e la rete in mano se n'andò al lago senz'acqua, si sedé sulla sponda, e buttava la rete e la ritirava come se dentro ci fossero dei pesci. Appare il Re col suo seguito e lo vede. Rise, e poi gli domandò se aveva perso il cervello. E il contadino gli rispose come la Regina gli aveva suggerito.
Esclamò il Re, al sentire quella risposta: - Galantuomo, questa non è farina del tuo sacco. Tu sei stato a consiglio dalla Regina.
Il contadino non glielo negò, e il Re rifece la sentenza e gli assegnò il vitello.
Poi chiamò Caterina e le disse: - Tu hai messo bocca nei miei interessi, e lo sai che te l'avevo proibito. Dunque, puoi tornartene subito a casa da tuo padre. Prendi nel palazzo la cosa che più ti piace, e stasera tornatene a casa tua, al tuo mestiere di contadina.
Rispose Caterina, tutta umile: - Come vuole Sua Maestà; non ho che da obbedire. Le chiedo solo una grazia, di aspettare a domani per partirmene. Di sera sarebbe troppa vergogna per lei e per me, e nascerebbero molte chiacchiere nel popolo.
Dice il Re: - La grazia sia concessa. Ceneremo per l'ultima volta insieme e domattina partirai.
Cosa fa quella furba di Caterina? Ordina ai cuochi che preparino carni arrostite, prosciutti, tutta roba da caricar la testa e metter sete, e che servano in tavola il miglior aleatico delle cantine reali. A cena il Re mangiò da non poterne più e la Caterina gli faceva scolare una bottiglia dopo l'altra. Prima gli s'annebbiò la vista, poi cominciò a farfugliare, e da ultimo s'addormentò come un maiale sulla sua poltrona.
Allora Caterina disse ai servitori: - Pigliate la poltrona con quel che c'è sopra e venitemi dietro. Guai a chi di voi dice parola, - e uscì dal palazzo, si diresse fuori porta e non si fermò che a casa sua, a tarda notte.
- Apritemi, babbo, che son io, - gridò.
Il vecchio contadino, sentendo la voce della figliola, s'affacciò subito: - Tu a quest'ora? Ah, te l'avevo detto! Ho fatto bene a serbarti i panni di lendinella. Sono sempre qui, appesi al cavicchio in camera tua!
- Apritemi, via! - disse la Caterina, - meno discorsi!
Il contadino apre e vede i servitori che reggono la poltrona col Re sopra; Caterina lo fa portare in camera, lo fa spogliare e mettere nel suo letto. Poi licenzia i servitori e va anche lei a letto accanto al Re.
Verso mezzanotte il Re si destò: gli pareva che il materasso fosse più duro del solito, e le lenzuola più rustiche. Si mosse, e sentì la moglie vicino. Disse: - Caterina, non t'avevo detto d'andare a casa tua?
- Sì, Maestà, - rispose lei, - ma non è ancora giorno. Dorma, dorma.
Il Re si riaddormentò: alla mattina si svegliò al raglio dell'asino e al belato delle pecore, e vide la luce del sole attraverso il tetto. Si scosse, e non riconosceva più la camera reale. Chiede alla moglie: - Caterina, ma dove siamo?
E lei: - Non m'aveva detto, Maestà, di tornarmene a casa mia e di portarmi con me la cosa che più mi piaceva? Io ho preso lei e me lo tengo.
Il Re si mise a ridere e fecero la pace. Tornarono a palazzo reale, e ancor oggi ci vivono, e da quel giorno il Re non compare mai in tribunale senza la moglie.
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