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La bella addormentata ed i suoi figli

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU410
LanguageItalian
OriginItaly

Una volta c'era un Re e una Regina, e non avevano figli; e perciò la Corte era come in lutto, tutti disperati. La Regina pregava notte e giorno, ma non sapeva più a che Santo votarsi, perché tutti i Santi facevano i sordi, e finalmente un giorno pregò così: - Madonna mia, fammi avere una figlia anche se fosse per farmela morire a quindici anni per essersi punta col fuso!

Ed ecco che si mise ad aspettare e le nacque una bambina che era una bellezza. Fecero una gran festa di battesimo, e le misero nome Carola: non c'era nessuno al mondo più contento di quel Re e di quella Regina per la grazia che avevano avuto.

La creatura cresceva in un giorno per quattro giorni e si faceva sempre più graziosa. Quando stava per compiere i quindici anni, alla Regina venne in mente il voto che aveva fatto. Andò a parlarne al Re e non si può dire il suo dolore. Subito fece gridare un bando che fossero distrutti i fusi di tutto il Regno, pena la testa a chi gliene venisse trovato uno in casa, e chi campava lavorando col fuso andasse dal Re che avrebbe dato loro di che vivere. Non bastandogli il bando, per maggior sicurezza, il Re fece chiudere a chiave la figlia nella sua stanza, che non vedesse nessuno.

Sola nella sua stanza, Carola si divagava affacciandosi alla finestra. Bisogna sapere che una vecchia che abitava là di fronte (si sa come sono fatti certi vecchi: pensano ai fatti loro e perisca il mondo non s'incaricano d'altro) s'era conservata un fuso e un batuffolo di bambagia, e quando le veniva voglia, quatta quatta, faceva una filatina.

Filando alla finestra, per prendere un po' di sole, la vecchia fu vista dalla figlia del Re. Tutta incuriosita, Carola, vedendo per la prima volta quest'armeggìo, le disse: - Zia! Zia! Che stai facendo?

- Filo questo batuffolino di bambagia, - rispose la vecchia, - ma non dirlo a nessuno!

- E mi fai provare un poco anche a me?

- Ma certo, figliola! Basta che non ti fai vedere!

- Allora, zia, io calo un panierino in strada, tu mettici dentro quell'arnese. Nel panierino troverai un regalo per te.

Così fece: calò una borsa di danari alla vecchia e tirò su il fuso e la bambagia. Tutta contenta, provò a filare. Fa il primo filo, fa il secondo, ma al terzo, il fuso le sfugge di mano e la punta le si conficca sotto l'unghia del pollice destro. La ragazza cadde in terra e morì.

Quando il Re bussando alla porta della figlia non intese risposta, e sentì che era chiusa col paletto dall'interno (l'aveva chiusa per non farsi sorprendere a filare), la fece buttar giù e trovò Carola stesa in terra inanimata, vicino al fuso.

Non si può raccontare la disperazione del Re e della Regina. Poverina, la figlia, bella com'era sempre stata, pareva che dormisse, il suo viso non diventava neppure freddo: solo non respirava più né le batteva il cuore, come fosse incantata.

Il povero padre e la povera madre aspettarono al suo capezzale per settimane intere, sperando che risuscitasse.

Non volevano crederla morta e non la vollero seppellire: fecero costruire un castello in cima a una montagna, senza porta, solo con una finestra alta da terra. E dentro ci coricarono la figlia, in un gran letto a baldacchino ricamato d'oro e pieno di fiori, e le misero il suo vestito da sposa, che era fatto di sette sottane coi campanellini d'argento. Dopo aver baciato per un'ultima volta quel viso fresco come una rosa, lasciarono il castello per una porta che fu subito murata.

Un giorno, molto tempo dopo questo fatto, un altro Re che era giovane ed era rimasto orfano con la

Regina sua madre, andò a caccia da quelle parti, e capitò per caso sotto quel castello. "Cosa può essere? - si chiese. - Un castello senza porte e con una sola finestra? Cosa mai sarà?" I cani non finivano più d'abbaiare girando attorno al castello, e il giovane si struggeva dalla curiosità di vedere cosa c'era dentro. Ma come fare? Il giorno dopo tornò con una scala di seta: la gettò alla finestra e così riuscì ad arrampicarsi fin lassù.

Quando trovò quella giovane bella come il sole coricata in mezzo ai fiori, col viso fresco come una rosa, e quelle guance che parevano sangue e latte, mancò poco che non cadesse a terra svenuto. Si fece forza, s'avvicinò pian piano, le mise una mano sulla fronte e sentì che era ancor calda. "Allora, non è morta!", pensò, e non si poteva saziare di guardarla. Restò lì fino a sera, attendendo che si svegliasse, ma lei non si svegliava. Tornò anche l'indomani, e il giorno dopo: ormai non poteva star lontano da lei un'ora: e la baciava e pareva mangiarsela con gli occhi. Era innamorato di lei, insomma, e la Regina madre non riusciva a capire il tormento che divorava suo figlio e lo faceva stare sempre fuor di casa.

Tanto fu l'amore di questo giovane Re, che all'addormentata nacquero due gemelli, un maschietto e una femminuccia, belli che così non se n'erano mai visti. Nacquero e avevano fame, ma chi gli dava il latte, se la loro mamma era lì stesa come morta? Piangevano, piangevano, ma la mamma non li sentiva. Con la boccuccia cercavano qualcosa da succhiare, e così capitò che il maschietto trovò la mano della mamma e si mise a succhiare il pollice, e succhia succhia, la punta del fuso che era conficcata sotto l'unghia uscì e l'addormentata si svegliò.

- Oh, che bel sonno ho fatto! - disse stropicciandosi gli occhi. - Ma... dove sono? In una torre? E chi sono questi due bambini? - e si stava disperando in queste domande, quando il giovane Re, salito come al solito alla finestra con la scala di seta, saltò dentro la stanza.

- Chi siete? Che volete da me?

- Oh! Sei viva! Parli! Sono felice! Amore mio!

Passata la prima meraviglia, si misero a discorrere, si conobbero tutt'e due come di famiglia reale, si fecero festa e s'abbracciarono come due sposi. E ai due bambini misero nome Sole al maschio e Luna alla femminuccia.

Il Re tornò a Corte promettendo che sarebbe venuto a prenderla con dei magnifici regali, e avrebbe combinato le nozze. Ma la povera ragazza era proprio nata sotto una cattiva stella: il Re appena arrivato a Palazzo cadde ammalato, una malattia così grave che stava quasi senza coscienza e rifiutava il cibo, e solo ripeteva: O Sole, o Luna, o Carola, / Se vi avessi alla mia tavola!

Sua madre, sentendo queste parole, sospettò che il figlio fosse stato stregato e fece battere i boschi fino a scovare il posto in cui egli si recava tutti i giorni. Quando seppe che in un castello sperduto viveva una giovane sconosciuta di cui il figlio era pazzamente innamorato e ne aveva avuto due creature, fu presa da un odio feroce, da quella donna spietata che era. E mandò due soldati a quel castello, a dire a quella giovane che desse loro suo figlio Sole, perché il Re, malato, lo voleva vedere. Carola non voleva, ma piangendo, dovette acconsentire, e lo affidò ai soldati.

I soldati tornarono a Palazzo e la Regina li aspettava sulla scala. Prese il bambino e lo portò al cuoco: - Questo, - gli disse, - devi cuocerlo arrosto per il Re.

Ma il cuoco era un brav'uomo e non ebbe cuore d'ammazzarlo: lo consegnò a sua moglie, che lo tenesse nascosto e l'allattasse, e in sua vece arrostì un agnello e lo portò al Re ammalato. Il Re, come al solito, vedendo il cibo, sospirò e disse: O Sole, o Luna, o Carola, / Se vi avessi alla mia tavola!

E sua madre porgendogli il piatto gli disse: - Mangia, caro, che mangi del tuo!

Il giovane sentì queste parole e sollevò gli occhi su di lei, ma non capiva cosa volesse dire.

La mattina dopo, quella donna crudele mandò gli stessi soldati al castello, a prendere la femminuccia.

Anche questa fu salvata dal cuoco e data a balia a sua moglie, e in vece sua, fu arrostito un altro agnello. E di nuovo, la madre disse al Re: - Mangia, che mangi del tuo! - e lui con un filo di voce le chiese cosa voleva dire, ma la madre non rispose.

Il terzo giorno, i soldati furono mandati con l'ordine di portare la giovane. La poveretta, tutta intimorita, seguì i due uomini vestita con il suo abito da sposa, dalle sette gonne coi campanellini d'argento.

La Regina era ad aspettarla sulle scale e appena le fu davanti la prese a schiaffi. - Perché mi battete? - chiese quella poveretta.

- Perché? Hai stregato mio figlio, brutta strega, e ora sta morendo! Ma vedi dove farai la tua fine? - e le indicò una caldaia di pece che bolliva.

Il Re, intanto, non sentiva niente, perché nella sua stanza c'era una banda di suonatori, che la madre aveva fatto venire dicendo che l'avevano ordinato i medici per distrarlo.

Non si può dire lo spavento della povera giovane, quando vide la caldaia preparata per lei e seppe di dover morire. - Togliti queste sottane! - disse la Regina, - e poi ti butterò nella pece.

La giovane tremando ubbidì. Si tolse la prima sottana e i campanellini d'argento suonarono. Il Principe avvertì confusamente il suono dei campanellini e gli parve un suono conosciuto; aperse gli occhi, ma intanto la banda suonava la grancassa e pensò di non aver sentito bene.

La giovane si tolse la seconda sottana e i campanellini suonarono più forte; il Principe alzò il capo e gli pareva proprio il rumore delle sottane di Carola, ma la banda suonava i piatti e non riusciva a prestar ascolto. Gli parve di sentire ancora uno scampanellìo più distinto e tese l'orecchio. Così la giovane si toglieva a una a una le sette sottane e ad ognuna i campanellini suonavano più forte, finché all'ultima squillarono da far echeggiare tutto il palazzo.

- Carola! - gridò il Re e saltò dal letto, debole e tremante com'era, scese abbasso e vide la sua innamorata che stava per esser gettata nella caldaia.

- Fermi! - gridò, afferrò la spada, la puntò contro la Regina e le disse: - Confessa i tuoi peccati! Quando seppe che i figli gli erano stati dati in pasto, corse per uccidere il cuoco, ma in cucina gli dissero subito che i bambini erano sani e salvi e fu preso da una tale contentezza che rideva e ballava come un matto.

Intanto, nella caldaia era stata gettata la Regina e ben le sta. Il cuoco ebbe un bellissimo regalo. E il Re con Carola, Sole e Luna stettero contenti tutta la vita.

Favola lunga e favola stretta / Conta la tua che la mia l'ho detta.


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