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Giufà

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
LanguageItalian
OriginItaly

Giufà e la statua di gesso C'era una mamma che aveva un figlio sciocco, pigro e mariolo. Si chiamava Giufà. La mamma, che era povera, aveva un pezzo di tela, e disse a Giufà: - Prendi questa tela e valla a vendere; però se ti capita un chiacchierone non gliela dare: dàlla a qualcuno di poche parole.

Giufà prende la tela e comincia a strillare pel paese: - Chi compra la tela? Chi compra la tela?

Lo ferma una donna e gli dice: - Fammela vedere - Guarda la tela e poi domanda: - Quanto ne vuoi? - Tu chiacchieri troppo, - fa Giufà, - alla gente chiacchierona mia madre non vuol venderla, - e va via. Trovò un contadino: - Quanto ne vuoi?

- Dieci scudi.

- No: è troppo!

- Chiacchierate, chiacchierate: non ve la do.

Così tutti quelli che lo chiamavano o gli si avvicinavano gli pareva parlassero troppo e non la volle vendere a nessuno. Cammina di qua, cammina di là, s'infilò in un cortile. In mezzo al cortile c'era una statua di gesso, e Giufà le disse: - Vuoi comprare la tela? - Attese un po', poi ripeté: - La vuoi comprare la tela? - Visto che non riceveva nessuna risposta: - Oh, vedi che ho trovato qualcuno di poche parole! Adesso sì che gli venderò la tela -. E l'avvolge addosso alla statua. - Fa dieci scudi. D'accordo? Allora i soldi vengo a prenderli domani, - e se ne andò.

La madre appena lo vide gli domandò della tela. - L'ho venduta.

- E i quattrini?

- Vado a prenderli domani?

- Ma è persona fidata?

- È una donna proprio come volevi tu: figurati che non mi ha detto neppure una parola.

La mattina andò per i quattrini. Trovò la statua, ma la tela era sparita. Giufà disse: - Pagamela -. E meno riceveva risposta più s'arrabbiava. - La tela te la sei presa, no? E i quattrini non me li vuoi dare? Ti faccio vedere io, allora! - Prese una zappa e menò una zappata alla statua da mandarla in cocci. Dentro la statua c'era una pentola piena di monete d'oro. Se le mise nel sacco e andò da sua madre. - Mamma, non mi voleva dare i danari, l'ho presa a zappate e m'ha dato questi.

La mamma che era all'erta, gli disse: - Dammi qua, e non raccontarlo a nessuno.

II.

Giufà, la luna, i ladri e le guardie Una mattina Giufà se ne andò per erbe e prima di tornare in paese era già notte. Mentre camminava c'era la luna annuvolata, e un po' s'affacciava, un po' spariva. Giufà si sedette su una pietra e guardava affacciarsi e sparire la luna e un po' le diceva: - Vieni fuori, vieni fuori, - un po': - Nasconditi, nasconditi, - e non la smetteva più di dire: - Vieni fuori! Nasconditi!

Lì sottostrada c'erano due ladri che squartavano un vitello rubato e quando sentirono: - Vieni fuori! - e - Nasconditi! - si presero paura che fosse la giustizia. Saltano su, e via di corsa; e la carne la lasciano lì.

Giufà, sentendo correre i ladri, va a vedere che c'è, e trova il vitello squartato. Prende il coltello e comincia a tagliar carne anche lui; se ne riempie il sacco e se ne va.

Arrivato a casa: - Mamma, apri?

- È questa l'ora di tornare? - fa la mamma.

- Mi s'è fatto notte mentre portavo la carne e domani me la dovete vendere tutta, che mi servono i quattrini.

E sua madre: - Domani te ne torni in campagna e io vendo la carne.

La sera dell'indomani, quando Giufà tornò, chiese alla madre: L'avete venduta, la carne?

- Sì. L'ho data a credito alle mosche.

- E quando ci pagano?

- Quando avranno da pagare.

Per otto giorni Giufà aspettò che le mosche gli portassero dei soldi. Visto che non gliene portavano, andò dal Giudice. - Signor Giudice, voglio che sia fatta giustizia. Ho dato la carne a credito alle mosche e non mi hanno più pagato.

Il Giudice gli disse: - Per sentenza, appena ne vedi una sei autorizzato ad ammazzarla.

Proprio in quel momento si posò la mosca sul naso del Giudice e Giufà gli menò un pugno da schiacciarglielo.

III.

Giufà e la berretta rossa A Giufà il lavoro non andava a genio. Mangiava e subito usciva per la strada a fare il vagabondo. Sua madre gli diceva sempre: - Giufà, così non si va avanti! Non tenti nemmeno di far qualcosa? Mangi, bevi e vai a spasso! Adesso basta: o ti guadagni da te la tua roba, o ti caccio in mezzo a una strada.

Giufà se ne andò al Càssaro (Nota 1 Càssaru: "strada principale di Palermo".) per guadagnarsi la sua roba. Da un mercante pigliò una cosa, dall'altro un'altra, finché non si rivestì di tutto punto. E a tutti diceva: - Mi faccia credito, che uno di questi giorni vengo a pagare.

Per ultimo si prese anche una bella berretta rossa.

Quando si vide ben rimpannucciato, disse: - Ah, ce l'ho fatta, mia madre non mi dirà più che sono un vagabondo! - Ma poi, ricordandosi che doveva pagare i mercanti, decise di far finta di morire.

Si buttò sul letto: - Muoio! Muoio! Son morto! - e mise le mani in croce e i piedi a pala. La madre si mise a strapparsi i capelli: - Figlio! Figlio! Che sciagura! Figlio mio! - Alle grida venne gente, si misero tutti a compiangere la povera madre. Si sparse la notizia,, e anche i mercanti vennero a vedere il morto. - Povero Giufà, - dicevano, - mi doveva, - (mettiamo), - sei tarì per un paio di calzoni... Glieli rimetto e pace all'anima sua! - E tutti venivano e gli rimettevano i suoi debiti.

Quello della berretta rossa invece non la mandava giù: - Io la berretta non ce la voglio rimettere -. Andò a vedere il morto e lo vide con la berretta nuova fiammante in testa. Gli venne un'idea. Quando i beccamorti presero Giufà e lo portarono alla chiesa per seppellirlo, gli andò dietro, si nascose in chiesa e restò ad aspettare la notte.

Venne notte, e nella chiesa entrarono dei ladri che dovevano spartirsi un sacchetto di danari rubati.

Giufà stava fermo nel suo cataletto e quello della berretta stava nascosto dietro la porta. I ladri rovesciano il sacco dei denari, tutte monete d'argento e d'oro, e ne fanno tanti mucchietti quanti loro sono. Restava fuori una moneta da dodici tarì e non si sapeva a chi toccava.

- Per non litigare tra noi, - dice uno dei ladri, - facciamo così: qui c'è un morto, tiriamo al bersaglio con la moneta. Chi lo piglia in bocca, se la tiene.

- Bello! Bello! - approvarono tutti.

E si misero in posizione per tirare. Giufà, sentendo questo, s'alzò in piedi in mezzo al cataletto, e con una vociaccia gridò: - Morti! Risuscitate tutti!

I ladri lasciano i soldi e via di corsa.

Giufà, appena si vide solo, corse ai mucchietti, ma in quel momento saltò fuori anche quello della berretta, pure lui con le mani tese sui denari. Se li divisero e restò solo una moneta da cinque grani.

Giufà dice: - Questa me la piglio io. - No: la piglio io.

E Giufà: - Tocca a me!

- Vattene che è mia!

Giufà prende uno spegnimoccoli e lo alza contro quello della berretta gridando: - Qui i cinque grani! Voglio il cinque grani!

I ladri, piano piano, stavano girando intorno alla chiesa per vedere cosa facevano i morti: lasciarci tanti danari rincresceva a tutti. Origliano alla porta e sentono questo gran diverbio per cinque grani.

- Poveri noi! - dicono, - quanti devono essere questi morti usciti dalle tombe! Gliene tocca appena cinque grani a ciascuno, e ancora i danari non gli bastano! - E via a gambe in spalla.

Giufà e quello della berretta tornarono a casa ognuno con un bel sacchetto di danari e Giufà con i cinque grani in più.

IV.

Giufà e l'otre La madre di Giufà vedendo che di questo figlio non se ne poteva far bene, lo mise a garzone da un taverniere. Gli disse il taverniere: - Giufà, va' al mare e lavami quest'otre, ma bene, sai, se no le pigli -. Giufà andò al mare con l'otre. E lì, lava che ti lava, continuò a lavarlo per tutta la mattina. Poi si disse: "Ora come faccio a sapere se è ben lavato: a chi lo chiedo?" Sulla spiaggia non c'era nessuno, ma in mezzo al mare andava un bastimento salpato ora dal porto. Giufà tira fuori un fazzoletto, e comincia a fare segni disperati, a gridare: - Ehi voi! Venite qua! Venite qua!

Il Capitano dice: - Dalla riva ci fan segno. Accostiamo: chissà cosa voglion dirci: avremo scordato qualche cosa... - Vengono a riva con una scialuppa e c'è Giufà. - Ma che c'è? - chiede il capitano.

- Mi dica vossignoria: è ben lavato l'otre?

Il capitano saltò in aria: uno era e cento si fece: prese un bastone e suonò a Giufà quante legnate poteva.

E Giufà, piangendo: - Ma come dovevo dire?

- Devi dire: Signore, fateli correre! Così ci rifaremo del tempo che ci hai fatto perdere.

Giufà si mise l'otre sulle spalle calde dalle legnate e prese a camminare per la campagna, ripetendo forte: - Signore fateli correre, Signore fateli correre, Signore fateli correre.

Incontra un cacciatore che prendeva di mira due conigli. E Giufà: - Signore fateli correre, Signore fateli correre... - I conigli saltarono su e scapparono.

Il cacciatore: - Ah, figlio d'un cane! Proprio tu ci mancavi! - e gli dà il calcio del fucile in testa.

E Giufà, piangendo: - Ma come dovevo dire?

- Devi dire: Signore, fateli uccidere!

Giufà con l'otre in spalla se ne andò ripetendo: - Signore fateli uccidere... - E chi incontra? Due litiganti venuti alle mani. E Giufà: - Signore fateli uccidere... - A sentir questo, i due litiganti si separano e si buttano contro Giufà: - Ah infame! Vieni ad attizzare la lite! - e d'amore e d'accordo cominciano a picchiare Giufà.

Appena poté parlare, Giufà, singhiozzando, chiese: - Ma come devo dire? - Come devi dire? - Devi dire: Signore, fateli dividere!

- Allora, Signore fateli dividere, Signore fateli dividere... - cominciò Giufà riprendendo il suo cammino.

C'erano due sposi che uscivano di chiesa allora allora dopo le nozze. Appena sentono: - Signore fateli dividere, - lo sposo salta su, si toglie la cintura, e giù frustate su Giufà, gridandogli: - Uccellaccio di malaugurio! Mi vuoi far dividere da mia moglie!

Giufà non potendone più si buttò per morto. E quando andarono per tirarlo su e lui aprì gli occhi, gli chiesero: - Ma che t'è venuto in testa di dire, agli sposi?

E lui: - Ma cosa dovevo dire?

- Dovevi dire: Signore, fateli ridere! Signore, fateli ridere!

Giufà riprese l'otre e se ne andò, ripetendo quella frase. Ma in una casa c'era steso un morto, con intorno le candele, e i parenti che piangevano. Quando sentirono passare Giufà che diceva: - Signore fateli ridere, - uscì uno con un bastone e Giufà quelle che non aveva ancora avute se le prese.

Allora Giufà capì che era meglio star zitto e correre alla taverna. Ma il taverniere, che l'aveva mandato a lavar l'otre di prima mattina e se lo vedeva tornare alla sera, aveva anche lui la sua parte di legnate da dargli. E poi lo licenziò.

V.

Giufà, scemo com'era, nessuno aveva per lui un gesto come dire d'invitarlo o chiedergli se vuol favorire. Una volta andò a una masseria, a vedere se gli davano qualcosa, ma come lo videro così malmesso gli slegarono contro i cani. Sua madre allora gli procurò una bella palandrana, un paio di calzoni e un gilecco di velluto. Vestito come un campiere, Giufà andò alla stessa masseria. Gli fecero delle gran cerimonie e lo invitarono a tavola con loro, e lì lo subissarono di complimenti. Giufà quando gli portarono il mangiare, con una mano lo portava in bocca, con l'altra se ne riempiva le tasche, i taschini, il cappello e diceva: - Mangiate, mangiate, vestitucci miei, che a voi hanno invitato, non a me!

VI.

Giufà, tirati la porta!

Giufà doveva andare al campo con sua madre. La madre uscì di casa per prima e disse: - Giufà, tirati dietro la porta!

Giufà si mise a tirare, a tirare, finché la porta si staccò dai gangheri. Lui se la caricò in spalla e andò dietro a sua madre. Dopo un po' di strada, cominciò a dire: - Mamma, mi pesa! Mamma, mi pesa!

La madre si volta: - E che hai che ti pesa? - e vide che teneva la porta di casa sulle spalle.

Con quel carico fecero tardi, venne notte che erano lontani da casa e per paura dei briganti, madre e figlio s'arrampicarono su un albero. E Giufà teneva sempre la porta sulle spalle.

Sotto quell'albero, a mezzanotte, ecco che vengono i briganti a spartirsi i soldi. Giufà e la mamma stavano col fiato sospeso.

Dopo un po' Giufà comincia a dire sottovoce: - Mamma, mi scappa di far acqua. - Cosa?

- Mi scappa.

- Trattieniti.

- Non ne posso più. - Trattieniti.

- Non posso.

- E falla!

E Giufà la fece. I briganti quando sentirono scendere acqua, dissero: - To', tutt'a un tratto s'è messo a piovere!

Dopo un po' Giufà disse ancora sottovoce: - Mamma, mi scappa di fare un bisogno. - Trattieniti.

- Non ne posso più.

- Trattieniti.

- Non posso. - E falla!

Mangiate, vestitucci miei!

E Giufà la fece. I briganti si sentirono cadere addosso quella cosa e dissero: - Cos'è, manna del cielo? O son gli uccelli?

Poi Giufà, che teneva sempre quella porta sulle spalle, cominciò a dire sottovoce: - Mamma, mi pesa. - Aspetta.

- Ma mi pesa!

- E aspetta!

- Non posso più, - e lasciò andare la porta che piombò addosso ai briganti.

Pigliali, i briganti! Misero le gambe in collo e via.

Madre e figlio scesero dall'albero e trovarono un bel sacco di monete d'oro che i briganti stavano spartendo. Portarono a casa il sacco e la madre gli disse: - Non dire a nessuno questa storia, che se lo sa la Legge, ci manda tutti e due in galera.

Poi, essa andò a comprare uva passa e fichi secchi, salì sul letto e appena Giufà uscì di casa, prese a fargli cadere manciate d'uva e fichi sulla testa. Giufà si riparò. - Mamma! - chiamò dentro casa. E la madre, dal tetto: - Cosa vuoi?

- C'è uva passa e fichi!

- Si vede che oggi piove uva passa e fichi, cosa vuoi che ti dica?

Quando Giufà fu andato via, la madre tolse le monete d'oro dal sacco e ci mise chiodi arrugginiti.

Dopo una settimana Giufà andò a cercare nel sacco e trovò chiodi. Cominciò a sbraitare con la madre: - Dammi i soldi che sono miei, altrimenti vado dal Giudice!

Ma la madre diceva: - Che soldi? - e faceva finta di non dargli ascolto.

Giufà andò dal Giudice. - Eccellenza, avevo un sacco di monete d'oro e mia madre mi ci ha messo dei chiodi arrugginiti.

- Monete d'oro? E quando mai hai avuto monete d'oro? - Sì, sì, era il giorno che pioveva uva passa e fichi secchi. E il Giudice lo fece mandare nell'ospedale dei matti.


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