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L'anello magico

AuthorItalo Calvino
Book TitleFiabe italiane
Publication Date1956
ATU560
LanguageItalian
OriginItaly

Un giovane povero disse alla sua mamma: - Mamma, io vado per il mondo; qui al paese tutti mi considerano meno d'una castagna secca, e non combinerò mai niente. Voglio andar fuori a far fortuna e allora anche per te, mamma, verranno giorni più felici.

Così disse, e andò via. Arrivò in una città e mentre passeggiava per le strade, vide una vecchietta che saliva per un vicolo in pendìo e ansimava sotto il peso di due grossi secchi pieni d'acqua che portava a bilancia appesi a un bastone. S'avvicinò e le disse: - Datemi da portare l'acqua, non ce la fate mica con quel peso -. Prese i secchi, l'accompagnò alla sua casetta, salì le scale e posò i secchi in cucina. Era una cucina piena di gatti e di cani che si affollavano intorno alla vecchietta, facendole le feste e le fusa.

- Cosa posso darti per ricompensa? - chiese la vecchietta.

- Roba da niente, - disse lui. - L'ho fatto solo per farvi piacere.

- Aspetta, - disse la vecchietta; uscì e tornò con un anello. Era un anellino da quattro soldi; glielo infilò al dito e gli disse: - Sappi che questo è un anello prezioso; ogni volta che lo giri e gli comandi quello che vuoi, quello che vuoi avverrà. Guarda solo di non perderlo, che sarebbe la tua rovina. E per esser più sicura che non lo perdi, ti do anche uno dei miei cani e uno dei miei gatti che ti seguano dappertutto. Sono bestie in gamba e se non oggi domani ti saranno utili.

Il giovane le fece tanti ringraziamenti e se ne andò, ma a tutte le cose che aveva detto la vecchia non ci badò né poco né tanto, perché non credeva nemmeno a una parola. "Discorsi da vecchia", si disse, e non pensò neanche a dare un giro all'anello, tanto per provare. Uscì dalla città e il cane e il gatto gli trotterellavano vicino; lui amava molto le bestie ed era contento d'averle con sé: giocava con loro e li faceva correre e saltare. Così correndo e saltando entrò in una foresta. Si fece notte e dovette trovare riposo sotto un albero; il cane e il gatto gli si coricarono vicino. Ma non riusciva a dormire perché gli era venuta una gran fame. Allora si ricordò dell'anello che aveva al dito. "A provare non si rischia niente", pensò; girò l'anello e disse: - Comando da mangiare e da bere!

Non aveva ancora finito di dirlo che gli fu davanti una tavola imbandita con ogni specie di cibi e di bevande e con tre sedie. Si sedette lui e s'annodò un tovagliolo al collo; sulle altre sedie fece sedere il cane e il gatto, annodò un tovagliolo al collo anche a loro, e si misero a mangiare tutti e tre con molto gusto. Adesso all'anellino ci credeva.

Finito di mangiare si sdraiò per terra e si mise a pensare a quante belle cose poteva fare, ormai. Non aveva che l'imbarazzo della scelta: un po' pensava che avrebbe desiderato mucchi d'oro e d'argento, un po' preferiva carrozze e cavalli, un po' terre e castelli, e così un desiderio cacciava via l'altro. "Qui ci divento matto, - si disse alla fine, quando non ne poté più di fantasticare, - tante volte ho sentito dire che la gente perde la testa quando fa fortuna, ma io la mia testa voglio conservarmela. Quindi, per oggi basta; domani ci penserò". Si coricò su un fianco e si addormentò profondamente. Il cane si accucciò ai suoi piedi, il gatto alla sua testa, e lo vegliarono.

Quando si destò, il sole brillava già attraverso le cime verdi degli alberi, tirava un po' di vento, gli uccellini cantavano e a lui era passata ogni stanchezza. Pensò di comandare un cavallo all'anello, ma la foresta era così bella che preferì andare a piedi; pensò di comandare una colazione, ma c'erano delle fragole così buone sotto i cespugli che si contentò di quelle; pensò di comandare da bere, ma c'era una fonte così limpida che preferì bere nel cavo della mano. E così per prati e campi arrivò fino a un gran palazzo; alla finestra era affacciata una bellissima ragazza che a vedere quel giovane che se ne veniva allegro a mani in tasca seguito da un cane e da un gatto, gli fece un bel sorriso. Lui alzò gli occhi, e se l'anello l'aveva conservato, il cuore l'aveva bell'e perduto. "Ora sì che è il caso di usare l'anello", si disse. Lo girò e fece: - Comando che di fronte a quel palazzo sorga un altro palazzo ancora più bello, con tutto quel che ci vuole.

E in un batter d'occhio il palazzo era già lì, più grande e più bello dell'altro, e dentro ci stava già lui come ci avesse sempre abitato, e il cane era nella sua cuccia, e il gatto si leccava le zampine vicino al fuoco. Il giovane andò alla finestra, l'aperse ed era proprio dirimpetto alla finestra della bellissima ragazza. Si sorrisero, sospirarono, e il giovane capì che era venuto il momento d'andare a chiedere la sua mano. Lei era contenta, i genitori pure, e dopo pochi giorni avvennero le nozze.

La prima notte che stettero insieme, dopo i baci, gli abbracci e le carezze, lei saltò su a dire: - Ma di', come mai il tuo palazzo è venuto fuori tutt'a un tratto come un fungo?

Lui era incerto se dirglielo o non dirglielo; poi pensò: "È mia moglie e con la moglie non è il caso di avere segreti". E le raccontò la storia dell'anello. Poi tutti contenti s'addormentarono.

Ma mentre lui dormiva, la sposa piano piano gli tolse l'anello dal dito. Poi s'alzò, chiamò tutti i servitori, e: - Presto, uscite da questo palazzo e torniamo a casa dai miei genitori! - Quando fu tornata a casa girò l'anello e disse: - Comando che il palazzo del mio sposo sia messo sulla cima più alta e più scoscesa di quella montagna là! - Il palazzo scomparve come non fosse mai esistito. Lei guardò la montagna, ed era andato a finire in bilico lassù sulla cima.

Il giovane si svegliò al mattino, non trovò la sposa al suo fianco, andò ad aprire la finestra e vide il vuoto. Guardò meglio e vide profondi burroni in fondo in fondo, e intorno, montagne con la neve.

Fece per toccare l'anello, e non c'era; chiamò i servitori, ma nessuno rispose. Accorsero invece il cane e il gatto che erano rimasti lì, perché lui alla sposa aveva detto dell'anello e non dei due animali. Dapprincipio non capiva niente, poi a poco a poco comprese che sua moglie era stata un'infame traditrice, e com'era andata tutta quella storia; ma non era una gran consolazione. Andò a vedere se poteva scendere dalla montagna, ma le porte e le finestre davano tutte a picco sui burroni. I viveri nel palazzo bastavano solo per pochi giorni, e gli venne il terribile pensiero che avrebbe dovuto morire di fame.

Quando il cane e il gatto videro il padrone così triste, gli si avvicinarono, e il cane disse: - Non disperarti ancora, padrone: io e il gatto una via per scendere tra le rocce riusciremo pur a trovarla, e una volta giù ritroveremo l'anello.

- Mie care bestiole, - disse il giovane, - voi siete la mia unica speranza, altrimenti preferisco buttarmi giù per le rocce piuttosto che morir di fame.

Il cane e il gatto andarono, si arrampicarono, saltarono per balze e per picchi, e riuscirono a calar giù dalla montagna. Nella pianura c'era da attraversare un fiume; allora il cane prese il gatto sulla schiena e nuotò dall'altra parte. Arrivarono al palazzo della sposa traditrice che era già notte; tutti dormivano d'un sonno profondo. Entrarono pian pianino dalla gattaiola del portone; e il gatto disse al cane: - Ora tu resta qui a fare il palo; io vado su a vedere cosa si può fare.

Andò su quatto quatto per le scale fin davanti alla stanza dove dormiva la traditrice, ma la porta era chiusa e non poteva entrare. Mentre rifletteva a quel che avrebbe potuto fare, passò un topo. Il gatto l'acchiappò. Era un topone grande e grosso, che cominciò a supplicare il gatto di lasciarlo in vita. - Lo farò, - disse il gatto, - ma tu devi rodere questa porta in modo che io possa entrarci.

Il topo cominciò subito a rosicchiare; rosicchia, rosicchia, gli si consumarono i denti ma il buco era ancora così piccolo che non solo il gatto ma nemmeno lui topo ci poteva passare.

Allora il gatto disse: - Hai dei piccoli?

- E come no? Ne ho sette o otto, uno più vispo dell'altro.

- Va' a prenderne uno in fretta, - disse il gatto, - e se non torni ti raggiungerò dove sei e ti mangerò. Il topo corse via e tornò dopo poco con un topolino. - Senti, piccolo, - disse il gatto, - se sei furbo salvi la vita a tuo padre. Entra nella stanza di questa donna, sali sul letto, e sfilale l'anello che porta al dito.

Il topolino corse dentro, ma poco dopo era già di ritorno, tutto mortificato. - Non ha anelli al dito, - disse.

Il gatto non si perse d'animo. - Vuol dire che lo avrà in bocca, - disse; - entra di nuovo, sbattile la coda sul naso, lei starnuterà e starnutando aprirà la bocca, l'anello salterà fuori, tu prendilo svelto e portalo subito qui.

Tutto avvenne proprio come il gatto aveva detto; dopo poco il topolino arrivò con l'anello. Il gatto prese l'anello e a grandi salti corse giù per la scala.

- Hai l'anello? - chiese il cane.

- Certo che ce l'ho, - disse il gatto. Saltarono fuori dal portone e corsero via; ma in cuor suo, il cane si rodeva dalla gelosia, perché era stato il gatto a riprendere l'anello.

Arrivarono al fiume. Il cane disse: - Se mi dài l'anello, ti porto dall'altra parte -. Ma il gatto non voleva e si misero a bisticciare. Mentre bisticciavano il gatto si lasciò sfuggire l'anello. L'anello cascò in acqua; in acqua c'era un pesce che l'inghiottì. Il cane subito afferrò il pesce tra i denti e così l'anello l'ebbe lui. Portò il gatto all'altra riva, ma non fecero la pace, e continuando a bisticciare giunsero dal padrone.

- L'avete l'anello? - chiese lui tutto ansioso. Il cane sputò il pesce, il pesce sputò l'anello, ma il gatto disse: - Non è vero che ve lo porta lui, sono io che ho preso l'anello e il cane me l'ha rubato.

E il cane: - Ma se io non pigliavo il pesce, l'anello era perduto.

Allora il giovane si mise a carezzarli tutti e due e disse: - Miei cari, non bisticciate tanto, mi siete cari e preziosi tutti e due -. E per mezz'ora con una mano accarezzò il cane e con l'altra il gatto, finché i due animali non tornarono amici come prima.

Andò con loro nel palazzo; girò l'anello sul dito e disse: - Comando che il mio palazzo stia laggiù dove è quello della mia sposa traditrice, e che la mia sposa traditrice e tutto il suo palazzo vengano quassù dove sono io ora -. E i due palazzi volarono per l'aria e cambiarono di posto: il suo giù nel bel mezzo della pianura e quello di lei su quella cima aguzza con lei dentro che gridava come un'aquila.

Il giovane fece venire anche sua madre e le diede la vecchiaia felice che le aveva promesso. Il cane e il gatto restarono con lui, sempre con qualche litigio tra loro, ma in complesso stettero in pace. E l'anello? L'anello lo usò, qualche volta, ma non troppo, perché pensava con ragione: "Non è bene che l'uomo abbia troppo facilmente tutto quello che può desiderare".

Sua moglie, quando scalarono la montagna la trovarono morta di fame, secca come un chiodo. Fu una fine crudele, ma non ne meritava una migliore.


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